(testo di Anselmo Carabelli – ricerche bibliografiche di Francesco Carabelli)
Al fine di apprezzare il personaggio in oggetto è bene rammentare come Orago all’epoca del governo Lombardo-Veneto fosse a capo della condotta medica che riuniva Orago-Jerago-Cavaria–Premezzo-Besnate–Santo Stefano–Oggiona, più vasta del solo Comune di Orago ed Uniti dove per uniti si intendono le frazioni di Cavaria e di Premezzo. La condotta sanitaria fu quindi presidio, scientifico e pubblico contemplato dall’apposito “statuto per i medici–chirurgi comunali del Regno Lombardo-Veneto”. Il dott. Minonzio, con laurea in Medicina e Chirurgia all’università di Pavia, presta servizio militare nella imperial Regia Marina (austriaca) con la qualifica di medico di fregata, che gli garantirà, a tempo debito, una pensione. Assolve il suo obbligo fra i marinai: “classe eletta di uomini, presso dei quali si onorerà sempre di aver servito….”, con essi solcherà i mari del mondo. Congedatosi, avrà titolo per concorrere ed ottenere l’assegnazione della condotta di Orago, ove eserciterà per circa tre anni e successivamente lascerà nel 1853 per la più importante condotta di Carnago. Ad Orago, che gli rimarrà sempre nel cuore e citerà sovente, fa le sue prime esperienze da medico civile e potrà annotare “come in questi nostri paesi di collina si possa vivere e si vive difatti anche lunga vita, ma che la vita che vi si vive vi è altresì, anche per l’ordinario e nella più parte degli individui, felicitata da abituale buona salute, pochi e radi tributi si pagano al medico ed allo speziale. Mentre che in altri paesi, meno felicemente ubicati di questi, non solo vi si ha vita più breve, ma sebbene anche più spesso e quasi inevitabilmente travagliata da ricorrenti malattie, come nelle basse regioni infestate da malaria, od altre dove l’aria non vi sia a sufficienza rinnovata, né vi abbia libero ed ampio accesso al sole. E conosco qui parecchi individui oltre ai 60 anni, e tra questi anche delle donne che filiarono più volte, quali mi assicurano in vita loro mai siano stati visitati dal medico”. Questi rilievi sulla felice situazione sanitaria della nostra zona e sulla sostanziale buona salute dei suoi abitanti, provengono niente meno che dal medico condotto, persona che per formazione deve essere particolarmente severa e scrupolosa ed è forse anche in considerazione di questa buona salute, che cercherà il trasferimento ad una condotta che ritiene più impegnativa e gratificante. Lascia ai posteri un volume di ben 595 pagine, dato alle stampe nel 1870 al termine di 21 anni di condotta i primi tre dei quali ad Orago. Lo studioso di storia della medicina può approcciare lo stato di salute di una popolazione periferica descritta con minuti dettagli anche statistici. Il Minonzio è, per pubblico ufficio, anche perito settore, quindi può eseguire direttamente lo studio su cadaveri di persone persino precedentemente da lui curate. Operazioni eseguite in loco negli appositi locali costruiti nei nuovi cimiteri, decentrati, imposti per obbligo napoleonico. In un passaggio del libro fa notare come la pratica dello studio sul cadavere, sia accettata dalla popolazione col favore degli stessi parroci che la approvano, quali il nostro don Francesco Allievi. Praticata in modo tanto esteso, si rivela utile al progresso scientifico nel migliorare quelli che oggi si direbbero i protocolli di cura. Il testo citato prende il titolo de’ Il medico di collina, quindici anni di servizio nella Condotta medico chirurgica di Carnago sui colli varesini, ma occorre precisareche a pag. 56 afferma che quanto detto per Carnago, Vicoseprio, Rovate, si intende pienamente estensibile anche ai paesi delle limitrofe condotte, quelle di tutta la catena dei colli che da Varese si estendono fin verso Gallarate fra i due fiumi Arno e Olona.
Questo libro torna utile per capacitarsi delle condizioni di vita degli abitanti di Orago prevalentemente contadini, legati a vario titolo alla conduzione delle proprietà del Castello in un territorio cui, prima dello scasso della ferrovia mediterranea Gallarate Varese, il cosiddetto catasto teresiano assegna 1565,92 pertiche delle quali non coltivabili, trattandosi di nuda brughiera, solo 206,8.
Ecco allora che nella popolazione agricola a lui affidata, seppur in condizioni migliori che altrove, riscontra con maggiore frequenza le infiammazioni dei reni e di cuore nonchè malattie degli organi del respiro. Malanni causati dalli faticosi lavori cui sono costretti questi agricoltori e particolarmente da quello di vanga su terreni argillosi che, se asciutti risultano durissimi e, se umidi, pesantissimi, e della necessità del trasporto a spalla di materiali pesanti effettuati con continuità anche da donne e giovani per coltivare luoghi non agibili da carri. Egli si trova a diagnosticare e curare: peri ed endo mio carditi, carditi anche totali e nefriti, dagli esiti veramente gravissimi e spaventanti. E qui si dilunga sul tipo di intervento e sul successo delle sue azioni mediche, peraltro mutuate dalla precedente esperienza militare trattandosi di affezioni che colpiscono marinai addetti alle manovre delle vele, soggetti a sforzi atroci ed in condizioni metereologiche sovente pessime non dissimili da quelle dei nostri contadini. Vengono approntate cure ed interventi urgenti comunque ben descritti anche negli esiti; favorevoli nel 75% dei casi, che, nel dettaglio operativo, esulano da questa ricerca, salvo notare come statisticamente le malattie di cuore coprano il 5 % degli individui ( n. 1 pag. 397). Per quanto concerne le malattie respiratorie esse possono evolvere sia in forma acuta che cronicizzante. Le ritiene pressochè totalmente imputabili alla cattiva modalità della sosta dalla fatica agreste, riposo ricercato sdraiandosi al freddo del terreno o nei fossi all’ombra, anche in assenza di vento e senza l’accortezza di cambio dei vestiti, dei quali peraltro non si disponeva. Stigmatizza anche l’abitudine di soggiornare nei periodi invernali nelle stalle, causa di frequenti colpi d’aria subiti al momento di recarsi altrove. Sofferenza polmonare riscontrata pure in chi alleva i bachi da seta, per il continuo trasferimento da locali per la schiusa con elevata temperatura, al rigido clima esterno per la raccolta delle foglie di gelso, unico nutrimento delle voracissime larve. Affezioni per lo più cronicizzanti definite lente bronchiti che, grazie sempre all’aria fortemente ossigenata dei nostri luoghi, curate o non curate, non impedivano ai sofferenti di raggiungere la ragguardevole età di 70 od 80 anni.
Notazione particolare è riservata agli infanti i quali diventano oggetto di statistica solo dal secondo anno di vita (sic.pag. 63). L’ autore stima che mediamente i decessi della popolazione al di sotto del primo anno assommino, essi soli, ad un terzo della totalità delle morti. Di questo troviamo conferma nella consultazione del libro parrocchiale dei morti. Nel merito il nostro autore può osservare che la mortalità dei neonati é esente da influenze climatiche, ma piuttosto addebitabile a specificità dell’età stessa, favorita dalle condizioni di miseria in cui versano diverse famiglie di questi nostri contadini, per cui le loro donne incinte, oltre a non essere convenientemente nutrite, sono anche costrette ordinariamente a travagliare e faticare per tutto il tempo della gestazione e dell’allattamento. D’onde ne viene che mettano per solito alla luce degli esseri originariamente male costituiti e gracili, che peraltro non potranno rinvigorire col proprio latte scarso e di cattiva qualità. Non possono altresì offrire le necessarie cure di pulizia, per difetto di tempo e delle opportune lingerie (vesti). Quindi è facile comprendere come le creature siano facilmente suscettibili e aggredibili da ogni causa morbosa che li porta frequentemente a morte per convulsioni, diarree, vomiti, dissenterie, gastriti, enteriti ed entero-mesenteriti. Siamo nel 1870 ed è opportuno rilevare come queste osservazioni, produrranno negli anni, attività di supporto alla prima infanzia, come gli asili e tante opere delle quali uomini e donne di chiesa furono ispiratori e trascinatori, si pensi agli asili o alle mutue ed alle cooperative di consumo, caratteristiche delle nostre zone, nate agli albori del xx sec.
Il cibo della popolazione più povera era limitato a pane, minestra, zuppa, latte e uova, riservando la carne a sole tre o quattro feste per anno.
Le pagine dal 74 al 78 offrono un’interessante argomentazione di natura filosofica sugli interrogativi insiti nella sua professione, che alla verifica della acquisita esperienza professionale lo appalesa in profonda sintonia coi principi cristiani ed avverso al diffuso materialismo e scetticismo della classe medica. In merito all’origine della vita il suo riferimento va al Fiat di Dio Creatore ed afferma “per me basta e mi fermo alla spiegazione che ritraggo dal Sacro Testo, altri, vaghino pure nei campi dell’ipotetico a piacer loro”.
Interessante questa sua osservazione sul clima del 1870. “in quanto alle stagioni poi, si lamenta qui come altrove, che non tengono più nel loro corso quell’ordine e gradazione come per lo passato”
Sarà mica che il nostro abbia previsto pure anche il buco dell’ozono?