Espressioni e modi di dire dialettali che vanno perdendosi, ma molto rilevano del nostro passato. Ad esempio:
A teu mié sa peu pu’ turna indre’- quando si prende moglie non si può più tornare sui propri passi. Teu è un verbo all’infinito con due possibili origini.
Uso barbarico, più simile al significato attuale di acquistare, che rimanda a due clan ed ai loro accordi matrimoniali. Si pensi ai famosi maneggi per maritare una figlia del teatro genovese di Gilberto Govi. In sostanza i genitori degli sposi si accordano sui beni dotali. Quasi il matrimonio fosse la compera della moglie facilitata di una adeguata dote detta schirpa ; bella espressione pure di origine longobarda. Se poi passiamo alla seconda accezione la si vorrebbe derivare dal verbo latino tollere, nel senso di sollevare- farsi carico di.. . In effetti sappiamo, dagli storici del diritto latino, che frequentemente il genitore, rientrato dal servizio legionario, riconosceva il figlio neonato presentatogli sulle sue ginocchia dalla moglie, prendendolo nelle sue mani e sollevandolo, perché tutti lo vedessero. Tale azione viene definita col verbo latino tollere-sollevare.
Non è forse vero che in un’altra espressione dialettale relativa agli sposi, quando sono gratificati da un figlio, si dice ca in andai a teu un fieu, cioè con delicatezza e pudore si annuncia la gioia di un figlio quasi fosse stato acquistato. E per noi bambini, senza troppe spiegazioni tutto si chiudeva li e citu . Ove citu vorrebbe dire silenzio mocciosi: è così e tanto vi basti.
Se poi torniamo al teu mié-, non ci sfugge che nel matrimonio concordatario sia lo stesso sacerdote a leggere agli sposi gli obblighi civili nati dal loro fatidico si.
Ma i nostri aggiungono che a teu miè sa peu pu turnà indre- cioe quando ci si sposa non si può più tornare sui propri passi, il cristiano cattolico è conscio che la chiesa rende questo vincolo sacramentale indissolubile per gli sposi. Quindi i nostri antenati come per noi cattolici vale l’indissolubilità.
Al ga ne leg ne fed. Il riferimento è ad una persona, poco o niente raccomandabile, perché nel suo orizzonte non è previsto il rispetto della legge sia essa umana che divina. Si riconosce implicitamente come un uomo ben formato sia contemporaneamente rispettoso della legge e dei precetti cristiani.
L’è mei un cativ giustament che na bona causa. Meglio un cattivo accordo che una buona causa, perché la pratica insegna, che quando si adisce alla vie giudiziarie, sicuramente ’avvocato con le sue parcelle ne trarrà vantaggio, per l’attore ed il convenuto in giudizio, si vedrà.
Quand che la merda la monta a scagn o che la spuza o che la fa dagn, espressione volgare, ma efficace nello stigmatizzare la persona ambiziosa e di poco spessore, che quando raggiunge una posizione di comando, sicuramente potrà essere fastidiosa e questo è tollerabile, ma può fare danni e questo è meno auspicabile.
Dadré dul brumm, dietro della carrozza perchè era la vettura di lord Brummel, ci deriva dalla frequentazione con Milano, dove brumista è il vetturino.
Bagna gio ca te fet tera, è indirizzato ai fanfaroni, i millantatori e i capitan Fracassa, letteralmente bagna il terreno perché hai sollevato un polverone.
Lasa sta ul cal cal dorma- se un potente è tranquillo non provocarlo-lett. Non stuzzicare il cane dormiente.
Dua ga ne gan va di solito è il ricco che si arricchisce- vale a dire che dove ci sono soldi sicuramente altri ne arriveranno.
Danè fan danè pieucc fan pieucc i soldi fan soldi e i pidocchi fanno pidocchi. Per il nostro dialetto pidocchio è sinonimo di poveraccio.
Taca su ul capell. Quando lo sposo era di una condizione meno agiata della sposa, per invidia o per cattiveria lo si irrideva con quell’aver appeso il cappello all’attaccapanni di una casa ricca.
A sta scriu su a porta dul dom che na bèla dona l’a spuso un brutt om. Spesso capita di vedere una donna bellissima accompagnarsi a un uomo brutto o viceversa, per i nostri vecchi questo era scritto anche sulla porta del Duomo.
Ca meur ga n’è, ma che naas. Lett. che muore ce n’è. Ma che nasce!! Questo non vorrebbe dire alcunchè se non si spiegasse il contesto in cui si dice. Tra amici per sorridere di una persona dotata di un naso a proboscide, quando la si vede, si pronuncia questa frase indugiando sul naas. Perché oltre al significato di nascere, il motto ha assonanza con naso.
Quand la cambia le sempar supa. Sempre zuppa anche se la mamma la chiama diversamente.
A toepia: pergola, dal latino. Infatti il giardiniere viene chiamato topiarius.
Tumatis – dall’ingleso tomato.
Pomm da tera sono le patate dal francese pommes de terre.
Vamos- andiamo– usato dai reduci dell’argentina
Sigurin –accetta dal latino securinus.
Strolig- astrologo o lettore del futuro, riferito agli zingari che bussavano alle case per vendere bottoni di madreperle su cartine di stagnola, e insistevano per leggere la mano.
Furgeron , forgiatore, dal francese forgeron-
Articiocc- carciofo dal francese artichaut.
Erbiuni- piselli.
Lanternin o lanternitt- storpiatura Eternit, coperture per tetti.
Dindo- poulon, tacchino fa dal francese dindon.
Ul giuli- pitale o vaso da notte, da Jules Richard produttore.
Gigleur- pompettina per preavviamento del motorino.
Pan tramwai- pane con l’uva tipico, portata da Milano col Tram. Arrivava a Gallarate dove ora c’è la stazione dei pullman STIE.
Pesa greca- pece greca, che serviva per incollare con un feltro la Sciavata–ciabatta le macchine utensili e i telai al suolo.
Levarin – leva.