La storia conservata negli archivi, da San Carlo in poi, e quella intuita leggendo la struttura muraria del nostro campanile, ricorda che un suono di campana, fin dal X secolo, ha sempre scandito il dì, per chi si è trovato a vivere in questi luoghi. Persone ignote, tanto lontane nel tempo, con le quali condividiamo la comune fede cristiana, nell’anno mille di nostro Signore, avevano voluto edificare un campanile veramente imponente da impreziosire la chiesa più antica, sorta già nel VII sec., dedicata a quel san Giorgio, tanto, caro ai longobardi. Si pensi ai sacrifici che quegli abitanti si erano imposti nella realizzazione di questa torre. Vivevano in casupole di legno innalzate su un fondo perimetrale di sassi , e riservavano per il campanile tutte le pietre rese dalla roncatura e dalla coltivazione dei terreni. I trovanti di granito, (dono dei ghiacciai che si erano ritirati creando le nostre colline moreniche), venivano sapientemente tagliati e dimensionati per farne sassi squadrati da imposta e da angolo. Il tutto sarebbe stato elevato e consolidato con malta di calce, sabbia e inerti ricavati da frammenti di antichi mattoni, che sminuzzati a dovere, sostituivano il ghiaietto di difficile reperibilità. Questa osservazione legata alla quantità dei resti di tegole e mattoni di fattura latina (tegulae piatte, imbrices o coppi, suspensurae cilindri di cotto usati nelle termae latine) reimpiegati come ornamento a decoro nella facciata ovest del campanile ci hanno permesso di rilevare come su questo nostro territorio i latini o i celti romanizzati fossero presenti e numerosi. Dal greto del fiume provenivano solo i sassi bianchi, da cuocere in fornace per produrre la calce. Chi aveva costruito quel campanile era un maestro muratore-magister cum macinis, proveniente dalla Val d’Intelvi che dava i suoi servigi alla comunità, offrendo esperienza e una piccola squadra di uomini. Questi portavano nella loro dotazione: compassi, squadre, filo a piombo, funi lunghissime e pulegge per carrucole a più rinvii, capaci di sollevare i pesi e la malta fino alla cima del campanile medioevale (la parte tinta in giallo è una sovrapposizione barocca, dopo l’eliminazione della cuspide e dell’ultimo ordine romanico con finestra bifora a stampella). Tutta la manovalanza, era rappresentata dai locali che contribuivano in lavoro, mentre i notabili contribuivano in denaro. Solo una grande perizia costruttiva poteva garantire, la stabilità nel tempo di una costruzione che si eleva per 26 metri e alla base presenta mura di circa 120 cm di sezione ed una canna centrale che si rastrema fino alla cella campanaria. Solo un legante a presa lenta quale la calce idraulica può permettere l’assestamento progressivo del grande carico di materiali, evitando le crepe e consentendo al manufatto una presa tenacissima tale da sfidare anche l’incuria dei secoli ed il terremoto del 1117, l’unico della Lombardia. Costruito verso il X secolo, secondo le leggi dell’epoca (il riferimento è ai capitolari italici) solo una comunità che poteva garantire una vita decorosa ai suoi sacerdoti poteva edificare un luogo sacro. Dalle ricerche di archivio di Carlo Mastorgio nel 970 Allierago aveva almeno due uomini liberi (Ato e Taudalaberto, di evidente stirpe longobarda), come tali possessori di terreni e ricchezze, garanti di una vita civile che si svolgeva anche tra due chiese: la chiesa di San Giorgio e la chiesa di san Giacomo. E’ il periodo nel quale le nostre parrocchie territorialmente passano della pieve di Arsago alla pieve di Gallarate. Rimane l’incognita del perché la chiesa di San Giorgio non appaia nel liber notitiae Sanctorum Mediolani di Goffredo da Bussero 1370. Questo fa dedurre al Cazzani come la chiesa di san Giorgio in quanto non indicata, non solo fosse posteriore alla chiesa di San Giacomo, ma il suo campanile seppur citato nelle visite cinquecentesche fosse un campanilino. Sfugge al Cazzani un documento nel quale il visitatore di San Carlo, Leonetto Clivone lo definisce Turris Campanaria e non turricola e una torre è pur sempre una torre. Ma il Cazzani, che ha scritto la fondamentale storia di Jerago, abbraccia l’ ipotesi della ricostruzione totale del campanile nel 1820, all’epoca della costituzione del primo concerto delle campane. Tale osservazione peraltro definita ipotetica dal suo autorevolissimo estensore creò non pochi problemi a Don Angelo Cassani che riconoscendo come il campanile fosse di origini romaniche, mai demolito e solo rialzato, riteneva dovesse essere recuperato, ristrutturato riportato alla sua funzione originaria ed insieme ad esso dovesse essere recuperata l’antica chiesa, questa si più volte rimaneggiata. Per la precisione tra le osservazioni di Mons. Cazzani e le osservazioni di Don Angelo intercorre un lasso di tempo di circa 15 anni, anni nei quali l’antico complesso stava franando, ma il degrado degli intonaci di certe zone difficilmente raggiungibili, aveva messo a nudo parametri potenzialmente medioevali. Il campo delle opinioni si divise tra coloro che, sulla base della storia scritta non riconoscevano grande valore al campanile ed alla antica chiesa e coloro che ritenevano che il tutto andasse restaurato, tutelando la nostra memoria storica e il desiderio di sentire finalmente risuonare le campane per troppo tempo inattive.
La storia recente ci ha dimostrato come questi ultimi prevalsero, offrendo alla attenzione di chi visita il nostro borgo spunti per un logico e positivo apprezzamento verso un popolo che sa difendere e valorizzare le proprie radici.