Testo di Anselmo Carabelli
Il titolo di ragioniere, acquisito con esame di stato al termine degli studi superiori di ragioneria, identifica in modo inequivocabile nel vocabolario comune la persona che se ne fregia, assai diversamente da chi facendo altri studi non viene identificato col suo titolo. Il nostro ragiunat, per la gente, deve essere comunque uno che sa ragionare, quello cui si chiede volentieri un consiglio, anche perché sovente occupa posizioni di riguardo nella gestione amministrativa delle imprese, delle banche e della pubblica amministrazione. Se frequentano attività sociali o ricreative, anche lì, sono condannati alla amministrazione e a far quadrare i conti. E’ una damnatio nominis, nel titolo di studio si condensa la vita ed il proprio futuro. Bastano i nomi di partita doppia, di dare ed avere, per mettere in difficoltà tutti quelli che ragionieri non sono, per non parlare di bilanci. Ignora l’inesperto gli anni di computisteria, i conti, le sezioni, i mastri, gli articoli, il libro giornale, i ratei e i risconti, le scritture finali di esercizio. Ancora oggi il ricordo della tensione per la famosa quadratura di bilancio ha il potere di offrire notti insonni e dense di incubi ai nostri contabili. E perché, dunque, diffidare tanto di quei documenti consuntivi, nei quali annualmente si condensa tanta fatica e precisione, dubitando se saranno poi veri quell’utile o quella perdita che vi emergono? Il motivo è semplice, ognuno per natura fa i conti a casa sua e, solo quando non riesce più a trovare il bandolo della matassa, obtorto collo, deve ricorre ad un esperto. Questi, dopo aver esaminato la situazione economica, raccoglie i dati e trae le sue conclusioni che, se non sono catastrofiche, lo vedono spesso come il salvatore della patria; perciò anche il piccolo imprenditore capisce che del ragiunat non può fare a meno. Nasce così l’eterna lotta tra i tecnici e gli amministrativi, considerati gli ultimi come inutili e fastidiosi controllori di una attività che non ci sarebbe se i tecnici non producessero. Ma che senso avrebbe essere capaci da fag i gamb ai musc, di costruire protesi per le mosche se poi, alla fine, non ci fosse un ritorno economico. Quante discussioni ci sono state per il controllo dei tempi, ma come si potrebbero altrimenti conoscere i costi di produzione. Vi è sicuramente un orgoglio nel progettare e nel realizzare, una dignità nel costruire con le proprie mani, l’uomo non è una macchina, ma se l’attività non è quella artistica, è chiaro che essa debba misurarsi con l’economicità della gestione, pena il fallimento. Il ragioniere fa così onore alla sua radice latina di ratio, che sarebbe conto, essendo colui che sa far di conto, e proprio per questo, poi indica e consiglia, come farebbe presagire la radice tedesca di raten o consiglio (non è la Rathaus la casa dei consiglieri o municipio?).