(testo e ricerche di archivio A. Carabelli)
La nascita dei Sacri monti avviene in concomitanza con l’obbiettiva difficoltà, intorno al XV e XVI sec, del pellegrinaggio in Terrasanta a causa dall’espansione ottomana. Si ricostruirono gli episodi della vita di Cristo e della sua Passione, in luoghi facilmente raggiungibili, ambientandoli in realtà architettoniche familiari. Si rendeva così più facile al pellegrino la memorizzazione della storia sacra, favorendo la continuità della sua formazione religiosa e la disciplina nella pratica cristiana. Tutto ciò in sintonia coi Vescovi e con quanto suggerito dalle “meditazioni della Vita di Cristo” attribuite a San Bonaventura. Ottemperando agli insegnamenti del Cardinale Carlo Borromeo i parrocchiani di San Giorgio nell’anno 1610, con atto rogato dal Notaio Jacopo de Brusatoribus de Ferno, si impegnarono “con voto annuale ad andare in processione al Sacro Monte sopra Varese ed a Santa Caterina del Sasso. L’atto rogato era un impegno ufficiale, del quale si vede ancora traccia in una tabella all’entrata della chiesa di Santa Caterina ove si annovera Jerago tra le parrocchie ivi accreditate. Da qui nasce l’annuale Visita al Sacro monte di Varese, persa invece quella a Santa Caterina.
Il Pellegrinaggio più impegnativo del quale si è completamente persa memoria è quello che le nostre nonne, accompagnate dai figli e da qualche anziano, iniziavano a piedi da Jerago, il 13 di agosto, con meta il Sacro Monte di Varallo Sesia. Così veniva descritto da Celeste Riganti papà di Enrico: “partivano da Jerago, il 13 di agosto, poco prima di mezzogiorno, a piedi. Portavano con sé lo stretto necessario, abito di ricambio, i zibrett bèi (ciabatte belle in pelle), culzét (calze) e qualcosa da mangiare per il viaggio. Seguivano la via per Arsago raccogliendosi in preghiera al Santuario della Madonna della Ghianda di Mezzana. Fatte le devozioni, prendevano il treno alla Stazione di Somma Lombardo per Arona. Da qui salivano al San Carlone e visitavano la chiesa che custodisce la casa dove nacque San Carlo. Dalla collina, accompagnati da una guida, sempre a piedi e per sentieri muovevano verso Orta. Raggiunta Orta, visitavano le Cappelle del Monte di San Francesco, salivano sulla barca per l’isola di San Giulio da dove, fatta la visita, attraversavano il lago approdando verso la sponda di Omegna. Da lì ancora per i sentieri, camminando tutta la notte, valicavano il monte Cavalasc (così lo chiamavano), trovavano montanari che vendevano frutta e offrivano loro da bere. Alle prime luci dell’alba tra la vegetazione e con grande meraviglia potevano individuare finalmente il santuario e le vie delle Cappelle. Rincuoratisi scendevano rapidamente verso il santuario, si lavavano alle fontane, indossavano gli abiti freschi e iniziavano la visita alle 45 cappelle recitando le devozioni. Le cappelle venivano illustrate dall’accompagnatore, scelto sul posto o tra le persone che quel pellegrinaggio avevano già precedentemente fatto. E siamo arrivati al pomeriggio del 14 di agosto: le confessioni, si prendeva del cibo e poi ci si coricava sotto i portici del Santuario. L’alba del giorno dell’Assunta li avrebbe ritrovati riposati e rinvigoriti. Ascoltavano la Santa Messa solenne, si comunicavano e scendevano dal S. Monte, non prima di aver asportato un pezzetto della grande Croce del Santuario, promesso come ricordo a qualche ammalato, una volta rientrati. In Varallo visitavano la Chiesa Madre e subito di fretta alla stazione per non perdere quel treno che li avrebbe riaccompagnati a casa. In treno, si passava da: Varallo- Romagnano-Arona-Sesto-Somma-Gallarate-Cavaria. Ecco finalmente la nostra stazione, che raggiungevano stanche ma felici, prima che scendesse la notte“. I nostri vecchi non si spaventavano per un viaggio di tre giorni, due lunghe camminate e due notti all’addiaccio; li sosteneva una grande devozione mariana. Parimenti non disdegnavano l’aiuto della modernità del treno e così come all’andata li aveva portati ad Arona, da Varallo, con i dovuti cambi di linea, li riportava a casa e ciò fin dal 1868. Nel 1933 fu inaugurata la funivia che dal centro di Varallo sale alla Basilica dell’Assunta e si parlò molto nei nostri paesi di quell’opera, fra le più ardite d’Europa che era stata costruita a Solbiate Arno anche dai nostri operai e tecnici alla Ceretti e Tanfani. Era nato in molti il desiderio di librarsi nell’aria chiusi in quella cabinetta di metallo e vetri provando emozioni riservate ai pochi piloti di aereo. Quale miglior occasione del Pellegrinaggio a Varallo che proprio grazie alla funivia, eliminando la lunga ascesa a piedi, si poteva ridurre ad un solo giorno. Siccome un simile viaggio impegnava diverse e costose tipologie di trasporto: auto pubbliche, ferrovie con tre linee, funivia, si rendeva necessario ottenere un biglietto collettivo con riduzioni concesse ai treni popolari. Perciò si ritenne opportuno riunire più Parrocchie, nella fattispecie: Besnate San Martino, Quinzano San Pietro e Jerago San Giorgio. Purtroppo il documento con i nomi dei partecipanti, non è datato, ma da una foto si può dedurre fosse il 1937. Si partiva dalla stazione di Somma, tutti dovevano rendersi riconoscibili con una Tessera: Bianca per coloro che utilizzavano trasporto con auto pubblica alla stazione di Somma, Blu per coloro che si recavano a Somma coi propri mezzi. Noto che tutti i partecipanti di Quinzano andarono in bicicletta. Lo sconto riservato all’uso del biglietto popolare collettivo consentì una spesa di 15 lire, 22 lire per chi si avvalse anche dell’autotrasporto. Attualizzate in euro sono 16 e 23 euro. Partenza da Somma alle 6,30 con arrivo a Varallo Basilica dell’Assunta per le 10 ed il ritorno a Somma per le 20. Parteciparono 131 pellegrini: 60 con tessera bianca, 70 blu, guidati dai rispettivi Parroci. Tutto fu fatto più celermente e le cronache non dicono se si poterono visitare tutte le cappelle, perché forse non ce ne fu il tempo.

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