Gli affreschi della chiesa di san Giacomo a Jerago

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Al fine di rendere più comprensibile l’argomento ritengo sia utile riassumere lo stato degli studi,  degli scritti e delle scoperte relative alla chiesa di San Giacomo. Disponiamo di ricerche di archivio, grazie all’opera di Mons. Eugenio Cazzani [1], promossa e sostenuta dalla lungimiranza di don Luigi Mauri, già parroco di San Giorgio e da Mons. Francesco Delpini. Architettonicamente possiamo osservare un edificio prettamente romanico, dotato di portico originario ed abside con le classiche tre finestrelle monofore strambate[2], attribuibile nel suo aspetto attuale al sec XI. Gli  affreschi dell’interno sono fonte di grande interesse per gli studiosi, infatti non fanno parte di un unico ciclo, ma emergono singolarmente evidenziando origini temporali diverse che consentono di dilatare verso l’alto medioevo la storia della nostra chiesa. E’ possibile raffrontare gli affreschi o lacerti di essi a cicli lombardi estremamente importanti quali quelli di San Vincenzo a Galliano di Cantù, di  San Pietro al Monte di Civate–Lecco,  di Castelseprio- Santa Maria foris portas. I  tre affreschi  ancora interi e ben conservati  visibili presso l’ingresso   presentano (f.1) una Vergine con bimbo ed  orante inginocchiato- con cartiglio Mater Dei Miserere; 

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un San Giovanni Battista (f.2) nella  classica iconografia, vestito di pelli e barba incolta, con cartiglio ecce qui tollit peccata mundi;

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un San Giacomo (f.3) in veste episcopale, nella mano destra il bastone del pellegrino e nella sinistra il  Vangelo nell’atto medievale della benedizione[3].

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Sono attribuibili al XIV-XV sec. ed i due santi  allo stesso autore. Inequivocabilmente fanno riferimento al patrocinio esercitato dai Visconti sull’oratorio. Al XIV sec. si potrebbe attribuire anche il bassissimo rilievo litico in serizzo (f.4),

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visibile dall’esterno, posto nella nicchia semicircolare sopra la porta d’ingresso. In esso, col favore del sole di mezzogiorno nei giorni del solstizio invernale,  si intuisce chiaramente la Madonna della misericordia. La tipica Madonna dei Visconti con braccia tese e manto avvolgente a protezione degli oranti inginocchiati, che fu  rappresentata inizialmente nel Messale donato alla basilica di S. Ambrogio, in occasione dell’incoronazione di Gian Galeazzo Visconti e miniato dal comasco Anovelo da Imbonate .[4]

Le pareti  meridionale-sud ed aquilonaria–nord, grazie agli interventi voluti e finanziati dall’Ing. Gaetano Bruni, già sindaco di Jerago con Orago e proprietario del vicino Castello Visconteo, eseguiti dal 1956 in poi, hanno evidenziato lacerti di un ciclo presumibilmente riferentesi alla vita di San Giacomo. Il martirio del santo sul lato sud (f.5),

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la posizione di San Giacomo che porge la testa alla spada del martirio e i panneggi, la  composizione pittorica, con velature ed altre tecniche, portano a santa Maria foris portas di Castelseprio; si rinnovano così tutte le problematiche di attribuzione e datazione proprie degli affreschi sepriesi. La chiesa presenta inoltre a decoro elementi geometrici e floreali che si evidenziano nelle strombature delle finestre monofore (f.6),

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ritrovabili a San Pietro al  Monte in Civate. Riferimenti molto lontani che sicuramente rimandano ad una frequentazione di pellegrini e ad un patrocinio di famiglie milanesi esercitato ancor prima della influenza viscontea ascrivibile al 1310. Se ci riferiamo a sant’Abbondio– notevole edificio romanico, ubicato nei pressi della stazione ferroviaria FS di Como, di cui il jeraghese Giampiero Visconti fu abate, ed ai suoi  possedimenti in tutto l’alto Lario e nella Valtellina, è immediato il riferimento al cammino di Santiago. La dedicazione del nostro oratorio non  risulta casuale, infatti è citato nel Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, redatto nel 1220 da Goffredo da Bussero. In esso, se si escludono i soli altari che onorano il Santo nelle varie chiese in tutta la Diocesi, sono indicate solo quattordici chiese intitolate all’apostolo Giacomo – Quindi è presumibile che segnassero il percorso dei Pellegrinaggi Maggiori. Il nostro San Giacomo si trovava sull’itinerario seguito dai  pellegrini provenienti dalla Germania che, attraverso la Retia[5], valicando lo Julier Pass raggiungevano l’alto Lario. Essi potevano usufruire dell’accoglienza e delle cure consentite dai numerosi ostelli ed ospizi  che ancora si vedono a mezza costa del lago, nei pressi delle chiese, quando con la navigazione si  risale in battello. Da  Como, proseguendo  per la Comum-Sivrium-Novaria[6]  si raggiungeva  Vercelli sulla Sesia, per inoltrarsi verso il Monginevro e scendere in Francia su Lione. E’ presumibile che il nostro San Giacomo rappresentasse un punto di riferimento indispensabile per informarsi sul percorso adatto  all’attraversamento del Ticino. Prendere  la via di Somma per Castelnovate o Golasecca- San Michele qualora le acque del grande fiume in magra ne avessero   consentito il guado[7], oppure seguire la via per Vergiate-San Gallo e Sesto- San Donato di Scozzola,  se il regime  di piena avesse reso  necessario l’attraversamento via lago, con barca ad Angera o Sesto. Da  Arona, o da Castelletto numerose  chiese romaniche testimoniano ancora l’ospitalità tra Ticino e Sesia : Invorio-San Martino, Agrate Conturbia,  Pombia , Abbazia di Dulzago, Abbazia di Briona, Vercelli.[8]

Tornando all’abside le tre finestre strambate simboleggiano la Trinità. L’inserimento delle tre finestre ritma quattro partiture murarie che consentono al pittore di rappresentare quattro terne di Apostoli (f.7) .

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E’ evidente il medioevale  riferimento alla missione apostolica rivolta verso i quattro angoli della terra. La  mano degli Apostoli porta al fedele un libro o un rotolo – Volumen o libro antico (supra nota 3). I riferimenti per questi affreschi si trovano sempre a Civate San Pietro e a San Vincenzo di Galliano[9]a Cantù. La luce che proviene con forza dalle finestrelle, simboleggia inequivocabilmente lo Spirito Santo che illumina gli apostoli[10]. Il catino  absidale molto ammalorato, ma cromaticamente vivace, offre la presenza intuibile  di un  Cristo in mandorla, contornato dai simboli zoomorfi degli evangelisti dei quali, si  riconoscono: il bue alato di San Luca e le fauci del leone di San Marco (f.8).

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Dalla osservazione di insieme dell’arco absidale e dei pilastri di imposta ci si accorge che essi sono impostati su due nicchie, simili a caminetti poggiati al pavimento, sul cui fondale ben chiari appaiono affreschi monocromatici, quasi sinopie di difficile interpretazione. Infatti la mancanza di studi archeologici relativi a ciò che giace sotto la chiesa, impedisce qualsiasi datazione. Il pavimento infatti, unica nota stonata di tutto il complesso è stato posto sopra il sedime originario. Si potrebbe rilevare come un pilastro non venga mai edificato su di un vuoto, per concludere , che se così è avvenuto,  voleva dire che quelle figurine di sinistra e i simboli grafici di destra erano preesistenti alla edificazione dell’arco e troppo belli per essere distrutti, quindi furono incorniciati da pietre atte a sostenere il nuovo pilastro. Comunque è tutto opinabile e ci asteniamo dall’unirci a chi vuole che queste appartengano alla cappellina paleocristiana. E’ questa una speranza che potrà essere suffragata solo dall’indagine archeologica [11]. Le figurine di sinistra sono a tratto in ocra, sono in piedi, una con mani protese in avanti, l’altra dietro a braccia aperte;  entrambe sono avvolte in  tuniche. Immediato il riferimento per tecnica pittorica al Giano Bifronte della Chiesa di Santo Stefano a Gornate (con tutti gli interrogativi che essa pone agli studiosi). Il vano di destra presenta una palma che è carica di frutti. Possiamo ipotizzare che la presenza di queste figure improprie e di altre , abbia giustificato la ricopertura con un pesante strato di intonaco di tutti quegli affreschi, previa picozzatura, colpi  che ancora si rilevano sui lacerti. Questo avvenne ancora prima della visita del cardinale Federico Borromeo che nel 1620 trova una cappella semplicemente intonacata e bianca all’interno, con la sola immagine mariana odierna. Ultima osservazione sul lato nord appare una sequenza di quattro personaggi (f.9),

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inseriti sotto un arco merlato, dipinto, sul quale insiste una chiesa, un recinto forte, una scritta con abbreviazioni difficilmente leggibile. Stupisce constatare come  quelle figurine siano identiche nei  tratti del volto, al viso di Ariberto che nella chiesa di Galliano offre su di un cuscino la stessa chiesa di San Vincenzo. Di fianco a questa scena, in un ulteriore riquadro si scopre il palmo sinistro di Cristo inchiodato sulla croce .

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Foto allegate a conprensione del testi: rif dischetto foto Salvatore

f.1  DSC 3243 Madonna e orante

f.2   DSC 3271 S.Giovanni Battista

f 3   DSC 3245 S.Giacomo

f 4    DSC 3325 lunetta sopra ingresso

 f.5  ( infra allegato a parte) Martirio di San Giacomo

f 6  DSC 3332 finestrella strambata a motivi floreali

f.7  DSC 3252 Terna di Apostoli

f.8  DSC 3326 Arco, con catino, Cristo in mandorla, Leone Alato,sequenza Apostoli, finestrelle strombate, ai lati a livello pavimento vani di imposta dei pilastri dell’arco, a sinistra 2 figurine umane, a destra ramo di  palma e datteri

  1. 9 DSC 3278 leone alato
  2. 10 (infra allegato a parte) Giano bifronte della chiesa di Santo Stefano a Gornate

f 11  DSC  3277 Figurina blasfema ?

f.12 DSC 3249-3274  quattro figurine, castello, chiesa , palmo della mano sinistra di Cristo inchiodata alla croce

[1]Jerago la sua storia –Eugenio Cazzani- 1977 pag.  206 e seg.

[2]Strambate- piccole finestre inserite in un vano fortemente smussato su entrambe le  facce, che permette alla luce diurna  anche più fioca e radente di illuminare l’aula raggiungendo un effetto tipico. La finestra di dimensioni ridotte consente l’uso di cartapecora a tamponamento, detta stamegna.

[3]nelle immagini medievali secondo Chiara Frugoni in “La voce delle immagini” pillole iconografiche del medioevo Einaudi 2010- il libro recato nella mano del santo è un atto benedicente, perché indica il Vangelo che dice bene, dice cose buone, quindi l’atteggiamento del santo è benedicente.

[4]Non sfugga in questa descrizione il fatto che Giangaleazzo Visconti , Duca di Milano morì nel 1403 dando inizio alla   reggenza della moglie Caterina Visconti, richiesta dalla minore età dei figli di Gian Galeazzo: Giovanni Maria  e Filippo Maria . Durante la reggenza Francesco Barbavara, che aveva sposato Antonia Visconti, figlia  di Pietro , signore del Castello di Jerago, fu primo cameraio,  funzione equivalente a  primo ministro del ducato di Milano . Antonia, rimasta vedova, sposerà  nel 1417  Francesco  Bussone noto come il Carmagnola,  massimo uomo d’arme di Filippo Maria Visconti  figlio e successore di Gian Galeazzo. Figlio dello jeraghese Pietro e fratello di Antonia sarà Giampiero Visconti, priore di Sant’Egidio di Fontanella nel bergamasco e poi abate nel 1460 di Sant’Abbondio a Como. Questa digressione serve a suffragare la qualità  artistica dei pittori che possono aver operato nella fase quattrocentesca dell’edificio

[5]la zona della Confederazione Helvetica dove si parla ancora il reto-romancio.

[6]L’importanza della comum sivrium novaria che si incrociava con la via helvetica in prossimità del Pilatello, giustifica la memoria ancora  testimoniata dalla recente  cappellina mariana della B. V. del Pilatello, costruita a ricordo della precedete immagine ormai persa e documentata solo da foto.

[7]Non è un caso che a Golasecca la chiesa  in rovina di San Michele sul passaggio del Ticino offra anche un ampia zona di ospitalità

[8]Per tali problematiche e conoscenze, limitatamente al territorio comasco, rimando allo studio diAlberto Rovi- Archivio Storico della  Diocesi di Como estratto dal Vol 8- Como 1997

[9]Non si dimentichi che l’attributo di Galliano- viene dall’antico Gallicano, cioè basilica sulla via delle Gallie o Galizia terra di san Giacomo di Compostella.

[10]Se solo osserviamo il più recente oratorio di Albizzate cosiddetto di San Venanzio, deduciamo che molto si è perso di questa simbologia, non presenta le tre finestrelle nell’abside, ma due sole , consentendo solo tre coppie di 4 santi.

[11]Ricordiamo che una indagine archeologica condotta dalla Sopraintendenza per i beni archeologici della Lombardia, anno 1997 effettuata nel corso dei restauri della antica chiesa di San Giorgio arrivò al livello di una piccola chiesa possibilmente ascrivibile tra il VII e il IX sec.

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