Con questa frase in dialetto, dove gli accenti vanno messi sulla i di studìa, la e di “lengi” va allungata nella lettura e la ä con la “umlaut alla tedesca” si pronuncia come una o, facendo ricorso all’ormai noto tipico “dialett spatasciò- (dialetto grosso di una volta), i nostri nonni, si rivolgevano a noi nipoti per sollecitarci allo studio. A ben guardare, in questa frase, si poteva intuire tutta la sollecitazione agli studi classici, che doveva apparire loro come il mezzo necessario per la nostra elevazione. Lo studio poi era ritenuto un dovere pei ragazzi che studiavano e penso era la nota deprorevole per un cattivo comportamento scolastico accompagnata da compiti assegnati per castigo. Nessuno degli anziani disprezzava l’attività manuale che aveva consentito con l’avvento della industrializzazione diffusa di migliorare il modesto tenore di vita quotidiana prima strettamente legata al ciclo agricolo, però potevano sperare ed auspicare ai discendenti un avvenire diverso ad esempio quello: del medico condotto, del farmacista e anche del Sacerdote, visti come appartenenti ad un mondo, le cui difficoltà sembravano minori di quelle in cui la generalità delle persone si dibatteva. Per queste persone nutrivano una vera ammirazione, perché ritenute sempre vocate alla loro missione, in ispecie per il Sig. Parroco, ma la loro autorevolezza legata alla squisita disponibilità personale non si poteva disgiungere, dalla loro scienza e la scienza era comunque quella che si imparava sui libri di scuola. Ecco perché, non appena una famiglia si fosse affrancata dal risolvere i bisogni primari teneva nel cuore il desiderio di un figlio istruito. Affrontare questo discorso, vuol dire introdurci in un argomento sociologico, forse non condiviso ma che deve promuovere una riflessione, sulla permeabilità delle classi sociali nel nostro territorio. Infatti se si esclude la nobiltà, che tende a chiudersi in sé stessa, favorendo e obbligando matrimoni fra persone di pari rango, per le altre classi sociali, il passaggio da una classe all’altra è vincolato esclusivamente dall’acquisizione di una certa agiatezza, legata alla mercatura o alla intrapresa con conseguente proprietà di terre. Chi ha reminiscenze manzoniane si potrà ricordare la figura del padre di Ludovico poi fra Cristoforo, il quale si vergogna di provenire dalla cosiddetta nobiltà degli affari, ma questo atteggiamento, in Lombardia sparirà con la decadenza degli Spagnoli, perché con Maria Teresa d’Austria, verranno molto apprezzate le attività mercantili e i loro autori. Basti ricordare che nella costituzione delle camera di commercio di Gallarate, verrà codificato che l’abbandono della propria attività per assumere cariche pubbliche camerali dovrà essere limitato ad un periodo di 2 anni, ritenendo che ogni ulteriore permanenza nella carica, avrebbe potuto nuocere alla attività esercitata. In sostanza si chiede il contributo alla persona esperta, ma solo per un periodo limitato, impedendo quindi la nascita di cariche pubbliche a vita. Si deve notare che siamo agli inizi del 1800- e di questi problemi si dibatte ora solo nella vicina Svizzera. L’ acquisito benessere, permette al soggetto di frequentare ambienti diversi da quelli di provenienza. L’ambiente di provenienza, parla esclusivamente dialetto, l’ambiente di nuova appartenenza, parla Italiano e qui nascono quei grossi strafalcioni e ci si rende conto della difficoltà di accesso. Si ironizza sul “Trusa Trusa che il Zucchero sta sul Cullo della Chicchera– che una madre avrebbe suggerito alla figlia che sorbiva un caffè al bar di un ambiente elegante, facendo un po’ la figura di quello che si definava ul Vilan Rafaj (Il villico arricchito) o di colui che avesse bevuta l’aqua dul cude fina a jer. Ecco questa differenza, però era la normale conseguenza della carenza di preparazione scolastica. Da molti si sostiene una nostra impreparazione culturale, perché dediti esclusivamente ad arricchire, letta in un carente grado di scolarità negli anni passati . Quasi fosse una colpa se, privilegiando il lavoro che non mancava, e non mancava per quella straordinaria nostra voglia di fare, potevano aver trascurato forse gli studi superiori. Sarebbero stati i figli che poi avrebbero potuto riempire la lacuna. Come poi veramente è successo negli anni successivi alla seconda guerra mondiale. Da un punto di vista strettamente quantitativo l’affermazione di una nostra pretesa ignoranza non regge. Quella convinzione nasce da una affermazione del Cazzani (Jerago pag. 320) che commentando il fatto che nel 1863 gli elettori politici jeraghesi, iscritti nel collegio di Gallarate fossero solo 11 su 562 abitanti, ne traeva la considerazione che pochi sapessero leggere e scrivere cioè un elettore ogni 51 abitanti. Nei primi anni dell’Unità italiana, all’elettorato attivo furono ammessi i soli cittadini maggiorenni e alfabeti che fossero in possesso dei due requisiti aver il titolo di studio di terza elementare o aver pagato tributi per L. 19,80 ma il reddito di L. 19.80 non era poi una bazzecola anche per i piccoli proprietari locali, che furono esclusi per reddito e non per istruzione, solo con la legge del 1882 fu ammesso al voto chi fosse in possesso di uno dei due requisiti. A seguito di quella modifica si calcolò che in Italia da 628.000 elettori si passò a circa 2.000.000, quando la popolazione era di 29.500.000 abitanti, si passò, dunque, nel territorio nazionale da 1 elettore per 47 abitanti ad un elettore ogni 14. In conclusione i dati statistici quantitativi, raffrontando il 1863 per Jerago 1/51 al dato nazionale dell’82 prima della modifica elettorale 1/47 ci fanno ritenere che non vi fossero differenze col territorio nazionale. Liberato il campo da questo macigno interpretativo di una presunta nostra ignoranza si potrà affrontare il tema con maggiore calma accorgendosi che ciò che succede da noi non si scosta molto da ciò che succede nella Lombardia e nell’Italia, anzi chi come noi si è misurato, al capitolo artigiani e imprese, con l’ingegno di tante persone non poteva che ribellarsi a quelle infelici espressioni, perché di queste numerosissime persone ne capiva la grande intelligenza pratica e teorica. In ogni professione, in ogni attività, vi è sempre stata un punto di riferimento, una misura, che indicasse l’acquisizione di una capacità che trasforma il manovale in esperto. Per il tessitore, sarà la capacità di riparare il filo, senza che nel tessuto si notino i segni della fermata del telaio, per il falegname la capacità di costruire un cassetto che scorra nelle guide e non si incastri, per il rigonfiamento del legno, per il vignaiolo la capacità di travasare un vino senza che si inacidisca, per coloro che volevano proseguire negli studi tale ostacolo era rappresentato dal latino: il famoso “Latinorum di Manzoniana memoria” . Alla preparazione di base provvedevano le scuole elementari del paese, e (Cazzani pag. 287 ) “già sul finire della dominazione austriaca in Lombardia, si può rilevare che frequentavano le scuole elementari un terzo dei ragazzi e un quarto delle ragazze, e la maggior frequenza era data dai comuni dell’alta Lombardia.” Con l’unità d’Italia la scuola elementare aveva sede in piazza san Giorgio per i ragazzi, nel cortile del Fermin, per le ragazze in via Volta nella casa Cardani; poi nel 1919 furono trasferite nell’unico complesso di Via indipendenza.Fino al 1919 si frequentava solo fino alla terza elementare, mentre per gli anni successivi quarta e quinta si andava a Gallarate. Ampliando il Municipio dal 1919 al 1922 si poterono frequentare anche la quarta e la quinta cui si aggiunse la sesta nel 1922. Con l’istituzione della due ultime classi elementari la scuola venne frequentata da giovani di Cavaria, Albizzate, Solbiate, Oggiona. Nel 1928 (Comune di Jerago Con Orago – Svolgimento della pratica relativa al rigetto di Annessione a Cavaria) gli asili ospitavano a Jerago 85 bambini, e ad Orago 36 e sono arredati nella forma più diligente ed accurata fornendo anche la refezione calda. Il contingente scolastico supera i 315 alunni. Con il gentile aiuto della Maestra Sig, na Giuseppina Cardani, che oggi è la maestra più anziana di Jerago, e della Maestra Sig. na Rosa Cardani ho potuto ricostruire, si spera in successione esatta, anche se con molte lacune, l’elenco delle maestre delle scuole elementari, prima delle attuali insegnanti. Dalle originarie tre classi, alle cinque, dopo la 1^ guerra mondiale, e verso il 1970 dieci. Durante la Seconda guerra mondiale (1940-1945) due classi molto numerose per la presenza di ragazzi sfollati da Milano furono sdoppiate e ciò consentì l’insegnamento a due maestre, pure sfollate da Milano le Sig. ra Clerici e la Sig.ra Sartorelli. Di seguito ecco l’elenco dal 1915: Eugenia Gaffuri (da Gallarate)- Bertagna Quinta- Cervini Clementina- Ceriani Pierina – Lattuada Anna (da Besnate tutti i giorni a piedi) , Abbona Paola- Cardani Giuseppina (maestra per 45 anni) Cavagna Olga- Cavagna Rita- Cardani Giannina- Cardani Rosa- Milani Virginia- Bollini Laura- Moroni Piero- Cardani Anna- Aliverti Teresa- Ghiringhelli Miriam- Macchi Angela- Gianporcaro Milena- Cova Gabriella- Lodi Pasini Sandra
L’accesso alla scuola classica era consentito da un esame di ammissione al ginnasio, primi anni delle scuole medie, che aveva tra le sue bestie nere “L’analisi logica”, o analisi del periodo scritto, considerata indispensabile al successivo apprendimento del latino scolastico.
1 Nell’editto del 24 luglio 1786, istitutivo delle camere di commercio nella Lombardia austriaca a firma Wilzeck, al titolo VII si legge: affinché poi tutti quelli che si distingueranno per il buon credito della loro Ditta, per l’aumento dello spaccio, e per l’estensione del traffico principalmente dei prodotti, e delle Mercanzie di Prodotto Nazionale possano impiegare la loro attività in vantaggio comune della Patria, e dello stato, senza essere per troppo lungo tempo distratti dall’attenzione, e vigilanza sui privati loro interessi: si è stabilito che dopo un biennio da computarsi dal giorno della prima Sessione che dovranno immediatamente tenere dopo la pubblicazione del presente Editto, debbano scadere per metà…… per dar luogo alla elezione di altrettanti soggetti e l’altra metà di quelli che rimarranno in qualità di Seniori debba proseguire debba proseguire l’altro biennio unitamente ai nuovi Eletti, e così successivamente.