I furnäs – le fornaci

Il nostro territorio presenta sedimentazioni argillose superficiali e fin dalla antichità fu caratterizzato da cave di argilla e fornaci per laterizi, confermate dal ritrovamento nel 1973 di formelle esagonali nuove in cotto, avvenuto durante l’edificazione dell’ufficio postale, in via G. Bianchi, salvate e documentate da Carlo Mastorgio, all’epoca Ispettore alle Antichità. Il materiale è ora esposto in una vetrina del Museo della Società di Studi patri in Gallarate.

Dal Teresiano del 1727 si può rilevare la presenza delle fornaci di Piero e Francesco Zeni con due siti : uno dietro l’attuale corso Europa verso Menzago, l’altro nella zona di via Padulazze. Quella fornace sarà rilevata da Protasio Riganti, Enrico mi parla, di lui come  patriarca dei Riganti di Jerago e suo progenitore: “lasciò la cascina del Gaggiotto nel 1760, molto prima della rivoluzione francese. Impiantò una seconda fornace sotto la cascina Cassani (Cassano Grosso) ai bordi della proprietà del Castello e la terza fornace sotto il monte Moscone sul lato ovest, che rimarrà nella proprietà del discendente Ambrogio”.

La Fornace di Carlo Tonelli Pred sotto via Madonnina, con estrazione e sosta di essiccazione nella zona della Pidrina, con fornace a carica manuale, del tutto simile a quella successivamente descritta.  Tonelli nasce nel 1862 , opererà con grande passione e competenza, purtroppo morirà giovane e la fornace sarà rilevata dalla famiglia Bianchi del castello. Il figlio Augusto ancor piccolo, si dedicherà alla attività meccanica con Scaltritti Eugenio.

La Fornace Bianchi fu ubicata in via Madonnina, nacque dalla acquisizione della fornace Tonelli e fu ammodernata agli albori del 1900 con l’introduzione di macchinario di  tipo americano, con forno continuo a virgin carbon per la produzione sia di mattoni che di tegole marsigliesi. La produzione di tegole marsigliesi non ebbe  successo, a causa di una argilla, la nostra, che  si rivelerà non idonea. Esauriti i campi  della Pidrina si continuerà il prelievo di argilla poco  oltre via Onetto, parallelamente al rià, sotto la collina del bacino, che verrà trasportata nei vagoncini di una decaville a cavallo fino a via Madonnina.

Fornace del Caverzasca– è probabile che anche questa sia derivata dalla primitiva fornace Zeni, in prossimità della cascina Roncacci. Una ricerca di Carlo Mastorgio, che prendeva in oggetto la petizione  presentata dal proprietario nel 1867 alla Deputazione Comunale per un collegamento diretto Jerago-alta con la stazione di Albizzate,  ha evidenziato il grande volume della sua produzione laterizia, quando era ormai di proprietà Caverzaschi. Quel collegamento non fu mai concesso dal Comune [1]. La domanda di mattoni  nell’ultimo quarto del secolo XIX era cresciuta in seguito alla enorme richiesta per opere di ingegneria ferroviaria.

Fornaci Ambrogio Riganti. Queste cave e fornaci derivano direttamente da Protasio Riganti. La produzione era manuale, il sito ubicato sul lato nord ovest del monte Moscone. Vi si fabbricavano: coppi tondi, mattoni paramani del tipo a vista, sigillati col marchio F.R Fornace Riganti, pianelle per pavimenti in scè ròsa, lot mattoni di dimensioni grandi per tramezze, non cotti e solo seccati al sole. Nel 1908 quando il Sig. Ambrogio si fece vecchio, non avendo figli ed essendosi esaurita l’argilla, smise l’attività. Nelle parole di Enrico ricostruiamo l’antica produzione: “La lavorazione era tutta manuale, condotta da lavoratori della famiglia Battaglia: in particolare Remo e Carlo – Carlon, uomini molto robusti, capaci di accudire ai diversi lavori e di far funzionare la fornace. Durante l’inverno scavavano la creta, la ammucchiavano, perché il gelo cominciasse a sgretolarla, veniva poi portata vicino al luogo di essiccazione. Si faceva l’impasto ul palté, si bagnava la creta e la si amalgamava coi piedi e col badile, poi la si metteva negli stampi per i coppi. Si pressava con le mani e con una staggia, si rimuoveva la creta in esubero, un poco di sabbia in superficie, poi si rovesciava lo stampo sulla forma di legno e si passava la mano bagnata per lisciarla e togliere eventuali crepe. Ormai la tegola era fatta e aveva preso la sua forma. Veniva posata a terra sotto filari di graticci coperti di tegole e riparate dal sole con cannicci di lago, perché l’essiccazione non doveva essere rapida ad evitare crepe. Il giorno successivo i coppi crudi venivano messi in gambetta, due coppi in verticale ed uno sopra in orizzontale per completare l’essiccazione. Una volta essiccati venivano ammucchiati sotto il portico presso la fornace per far posto alle altre da essiccare. Sopra quelle tegole, non ancora cotte, lo Zio, mandava i ragazzi a giocare, e se non si fossero rotte quello sarebbe stato il primo collaudo. Poi si passava alla cottura. Il tipo di fornace si chiamava a pignoni- (da pigna – mucchio), era a legna. Si cominciò a cuocere con l’antracite, il carbon vergine da quando ci arrivò coi vagoni alla stazione di Albizzate. La fornace era circolare e si elevava con andamento tronco piramidale, aveva una camera inferiore per il riscaldamento, dove veniva acceso il fuoco, coperta da una volta di mattoni refrattari che facevano da suola per il forno vero e proprio in cui mettere i mattoni o le tegole in pigna. Questa suola era dotata di fori attraverso cui passava il calore della sottostante camera di combustione. La camera di cottura veniva riempita di mattoni e tegole accedendo da un portello di carico che veniva murato prima della accensione. L’aria rovente che dal sottostante focolare passava attraverso i fori della suola saliva per gli interstizi lasciati fra un mattone e l’altro cuocendoli, raggiungeva il tetto della fornace uscendo dal camino, opportunamente ridotto, con tegole vecchie e sabbia appoggiata sui sottostanti mattoni. La buona riuscita di una fornata era funzione della temperatura di cottura e della continuità della stessa. Si  dovevano raggiungere rapidamemte i 900° e mantenerli, comunque non si doveva mai scendere sotto i 500°, per scongiurare  il rischio che il materiale, non risultasse ben cotto e si dovesse buttare il tutto. Per questo quando la fornace era pronta, carica di mattoni, si sollecitava al Sig. Parroco una apposita Benedizione Eucaristica in san Giorgio. All’annunzio solenne che le campane diffondevano per l’avvenuta Benedizione, gli operatori davano il via all’accensione della fornace.  Il fuoco continuava senza sosta per una settimana intera. Le tegole e i mattoni diventavano roventi e l’incandescenza saliva dai livelli più bassi fino al vertice dove erano state coperte di terra. Terminata la cottura ci volevano alcuni giorni per poter raffreddare e vuotare il forno dalla sua carica di laterizi. E già fuori c’erano i carrettieri che impazienti attendevano il carico di tegole e i mattoni. Venivano da tutto il circondario, da Cardano, da Vergiate. Quelli di Cardano prendevano la strada del Moscone e scendevano da Premezzo. Gli operai, durante l’estate, lavoravano alla fornace per mesi interi senza tornare in paese Andavano a Messa a Premezzo e acquistavano gli alimenti e il pane a Cavaria. Terminata la scorta dei manufatti essiccati, verso fine ottobre o novembre, la fornace cessava l’attività. Veniva riparata e si tornava a scavare la creta per la stagione successiva.

L’attività delle fornaci ha caratterizzato l’economia del paese almeno dal 1700 fin verso il 1930 quando si sono spente. Rappresentarono un notevole aiuto alla nostra economia. I mattoni cotti nelle nostre fornaci furono di colore rosso arancio, e si distinguono dalle fornaci di Cassano e Cavaria  (zona Bozzone) di Ezio Curioni che sono di un colore rosso scuro quasi vinaccia, perché prodotte in forni del tipo Hoffmann.[2]

[1] Provenienti dal Caverzasca, i carri dovranno  percorrere obbligatoriamente la via dei Bossi- Cavour per raggiungere le stazioni ferroviarie: Albizzate, in un primo tempo, e  Cavaria. Per un collegamento stradale con Albizzate, escluso il sentiero boschivo non carrabile del sassone, sotto cascina San Pietro, bisognerà attendere la costruzione di Corso Europa 1964 (sindaco dott. Franco Carabelli).

[2] Lo studio sui colori delle argille cotte, inserite come mattoni nella nostra vecchia chiesa, fu utile per conoscere le varie fasi dei suoi ampliamenti.

 

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