(di Anselmo Carabelli)
Queste osservazioni mi sono venute spontanee mentre cercavo di riportare in pari un orologio meccanico, di quelli di una volta a molla, che si era fermato. Oggi la misura del tempo si dà per scontata è elettronica e non vi è alcun apparecchio domestico che non sia dotato di funzione oraria. Ma questa ora è digitale, basta leggere un numero, non analogica con quadrante e lancette, osservando le quali avevi subito la nozione dell’ora e del tempo che intercorre all’appuntamento fissato. Quanta fatica si richiedeva alle maestre, per insegnare a noi piccoli allievi come leggere quel primo quadrante di un orologio falso, di legno. Noi però leggevamo anche i minuti, quando forse ai nostri nonni bastavano le ore ed i quarti. Sì perché si accontentavano dell’orologio della torre campanaria con una sola sfera che serviva loro per andare a prendere il treno in stazione a Cavaria. Per chi abitava lontano e per la notte un meccanismo a martello ripeteva le ore e le mezze battendole sulle campane. Il comune poi si premurava che un uomo ul reguladur lo tenesse funzionante, caricandone i pesi e fosse in sincronia, cun l’ura da a feruvia. Certo ormai questo tranquillizzante suono notturno è stato giustamente spento dalle 22 alle 7 della mattina, potrebbe disturbare, anche se poi non ci si fa scrupolo di supplire coll’implacabile e martellante ritmo notturno delle varie movide e fiere, che si protraggono ben oltre le 23 . Sicuramente la misura del tempo ed anche la sua nozione variano nelle epoche e rappresentano per l’appassionato ricercatore una fonte inesauribile di riflessione sulla saggezza popolare. Al contadino non serviva propriamente l’ora meccanica, perché il suo tempo si regolava su ritmi naturali. Per lui la natura stessa era ed è un orologio. Lo spazio temporale tra il levar del sole, e il tramonto, si accorcia e si allunga naturalmente ritmando le stagioni, consentendo il necessario lavoro dei campi. Non altrimenti si spiegherebbe l’infinità di proverbi antichi con riferimento astronomico, che sono il portato della nostra radice contadina. Anche l’antropizzazione antica, cioè l’uso del territorio agricolo per chi lo sappia leggere se non ancora distrutto con caterpillar, offrirebbe nel merito molte considerazioni. Si vedano per esempio i vari ronchi, ronchetti e le terrazzature vignate da nord a sud con affaccio prevalentemente ad est-sud- est. Oggi si parla di ecologia, di spreco delle risorse naturali, ma una casa contadina mai fu costruita a casaccio, solo per usare la massima volumetria, senza porre attenzione all’illuminazione solare o ai punti cardinali. Per riscaldarsi il contadino sapeva che la prima fonte di calore abbondante e gratis, era il sole; quindi il mezzogiorno era l’esposizione dei vani indispensabili alla vita: la cucina, il puntì dove si essiccavano le derrate per l’inverno, che poi dovevano essere stivate in cascina in luoghi aerati, perchè favoriti dalla brezza che normalmente soffia da nord a sud. Chiaramente questo crea un parallelismo naturale tra i luoghi di concentramento delle antiche abitazioni, ma l’accortezza era che la casa davanti non facesse ombra a quella di dietro e normalmente si osserva come limite alla costruzione arretrata l’ombra lunga del giorno più corto quello di Santa Lucia (nella credenza popolare). Per ogni casa, per quanto corto il dì, si ricercava la massima esposizione solare. E i tetti di cotto, che proteggevano il solaio col calpestio in legno dovevano essere sempre ripassati ricurù in corsi di coppi sovrapposti che garantivano l’isolamento dalle intemperie, producendo quell’effetto antico nella copertura delle nostre case, che oggi viene volutamente riproposto in tetti cosiddetti anticati, che persa l’ originale motivazione, in alcune soluzioni economiche oggi fa letteralmente schifo. Ma tornando all’ora, l’industrializzazione richiese la turnazione del lavoro, un orario di lavoro, ritmato dalla sirene; a sirena da a Rejna; a campanela di Sesa. Tutti si devono levare per tempo. E la vita trova ritmi diversi sempre uguali e gli uomini lottano per ridurre l’orario di lavoro, per sottrarsi ai cottimi, per rendere il lavoro compatibile con le necessità della vita, spostando le condizioni di marginalità. Nascono le industrie, le lotte sindacali, la conquista del tempo libero. Il desiderio di muoversi di conoscere il mondo dapprima consentito dalla ferrovia, col trasformarsi dell‘auto da veicolo elitario a mezzo popolare, offre a tutti la velocità compresi i viaggi aerei low cost. Si verifica sul campo il principio della fisica v= s/t la velocità è uguale allo spazio diviso il tempo- cioè piu´ si va veloci più il tempo per percorrere un certo spazio si riduce e il tempo se possibile pare quasi azzerarsi, così si possono fare molte più cose Ma attenti che se si va troppo veloci, il nostro tempo terreno si azzererebbe del tutto come si può evincere anche dall’equazione matematica. per v tendente ad infinito t tende a zero. Prudenza dunque.