Il mondo tessile

fonte immagine: wikipedia.it

La grande importanza che assunse l’attività tessile nel comparto gallaratese e bustese ebbe il culmine nella edificazione dell’edificio della mostra del tessile a Busto Arsizio. Luogo nel quale negli anni cinquanta si potevano incontrare, con ricorrenza annuale gli operatori di quel mondo, che con dizione moderna si potrebbero definire la filiera del tessile, infatti se escludiamo Biella, Schio e Prato prevalentemente lanieri, tutto il mondo cotoniero era proprio tra Gallarate, Busto, Castellanza con la Valle dell’Olona e Legnano, culle della prima industrializzazione locale. Si potrebbe osservare che industrie tessili erano diffuse in tutta Italia già negli stati preunitari, che potevano vantare quartieri di produzione tessile di valore strategico militari per la produzione di uniformi e casermaggio. Ma se le forniture militari furono la peculiarità di officine nate ad hoc, Caserta (Borbone), Varano Borghi (Austria-Lombardo Veneto), non così avvenne ai prodromi dell’industria tessile locale che fu prevalentemente impresa di uomini, poi riconosciuti come capitani d’industria, che puntarono tutto sul cotone quale fibra tessile di futura espansione. Anteriormente alla prima industrializzazione, si confinava l’attività tessile a funzione complementare della attività contadina, cui applicarsi nei momenti di stasi da lavori agricoli.  Quattro donne intente alla filatura manuale producevano il fabbisogno di un tessitore al telaio. Il tutto governato da una serie di commercianti che consegnavano il cotone in fiocco da filare presso le cascine e ritiravano i panni tessuti per una lunghezza standard di 15 metri. L’aumento della richiesta di panni di cotone, apprezzato e favorito presidio al miglioramento delle condizioni igieniche della popolazione, fu supportato dalla produzione dei filatoi meccanici Janette introdotti da Cantoni ad Arnate con motore a cavalli. Produzione, comunque, appena sufficiente per la richiesta dei nuovi telai a navetta volante. Navetta che dipanava il filo dalla spola continuamente sia che essa viaggiasse da destra a sinistra, che da sinistra a destra nella cassa battente del telaio. Operazione di continuità produttiva resa possibile da una chiocciola in materiale ceramico inserita nella navetta stessa, che la rendeva veloce, appunto da dirsi volante. E così con graduali miglioramenti ed accorgimenti tecnici, nasce il telaio meccanico automatico di grande produzione e si avvierà la produzione a carattere industriale, laddove un fiume come l’Olona potrà dare movimento alle macchine con la stessa tecnica di moto del molino ad acqua fluente. La curva di domanda di prodotti tessili di cotone sarà sempre in costante aumento per l’apprezzamento che tale fibra ha presso i consumatori.  La necessità di accaparrare la fibra, che deve essere acquistata in paesi esteri: America ed Egitto, spinge i commercianti ad impratichirsi in tecniche commerciali sempre più specialistiche. Rapporti finanziari sempre più fitti su scenari economici diversi, navigazioni e trasporti terrestri: in nuce si forma il comparto del credito bancario e dei trasporti di pari passo con lo sviluppo delle ferrovie. Ma se il telaio meccanico fa sparire il tessitore sotto casa, a breve la dismissione dei  primi telai ormai sostituiti con modelli sempre più produttivi con cambio automatico di spole, fa rinascere le piccole attività casalinghe, che hanno bisogno del solito commerciante che per affrancarsi dai grossi produttori distribuisce telai dismessi delle tessiture che si stanno modernizzando con i nuovi prodotti del meccano-tessile e con la possibilità di utilizzare il motore elettrico con la diffusione della corrente elettrica.  E un telaio dismesso può sempre prendere il posto nel portico di una cascina, opportunamente chiuso e la moglie diventare tessitrice, mentre il marito, assistente presso una tessitura, al ritorno potrà ben aggiustare i telai della moglie tessitrice in casa. Questo in breve, per la gran voglia di lavorare e di migliorare delle nostre popolazioni, diede avvio alla nostra avventura industriale. Uomini orgogliosi del proprio lavoro, normalmente usi a frequentare il circolo o il circolino di domenica, non mancavano mai di ritrovarsi, vestiti della festa, con giacche sovente strette, perché ancora quelle dello sposalizio, sì proprio nell’occasione di quelle mostre divenute ormai internazionali. L’originale, principiando dalla mostra del tessile di Busto, fu poi snobbata per la famosa ITMA, acronimo di rassegna internazionale dei prodotti dell’industria tessile, che si svolgeva ogni quatto anno nelle sedi dei paesi tessili per eccellenza: Parigi, Basilea, Hannover, Milano.

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Ed era una vera gioia quel viaggio verso quelle mostre. Dove ci si trovava tutti, ma proprio tutti. Dove assistenti, titolati, maestranze tecniche, sfoggiavano il vestito bello e ci si attardava nella visita degli espositori dei macchinari più avanzati, con la segreta speranza che anche loro un giorno avrebbero potuto disporre dei macchinari migliori del mercato. E man mano che gli anni avanzavano, e le mete si alternavano, si andava dai primi viaggi avventurosi in macchina, a quelli in aereo per raggiungere Parigi, Hannover, Basilea.

Quante volte si partiva alla ventura, stipati nelle macchine di allora, le prime millecento o le giuliette, si passava il San Gottardo e via verso Basilea. Dove arrivavi e ti accorgevi che la mostra era si organizzata alla maniera svizzera, ma siccome non c’era ancora una vera sede per quella che poi sarebbe diventata la famosa Messegelände (area della mostra del tessile), ogni padiglione immetteva direttamente nelle vie della citta ed era strettamente serrato ad una entrata presidiata ed era necessario dotarsi di un pass, cioè di una bustina di plastica trasparente dove l’ufficio della Messe (fiera) aveva predisposto il tuo nome con tanto di indirizzo e di ditta. Già, ma era NECESSARIO disporre di questo titolo che doveva essere preventivamente prenotato. In breve, come avresti potuto visitare la tanto desiderata mostra, senza di esso e come disporre a breve del pass, se il tempo tra la prenotazione ed il rilascio era di tre giorni? Quindi niente pass, niente possibilità di accesso alla mostra, infatti ogni padiglione aveva la sua porta separata sulla pubblica via ed ogni accesso era quindi un nuovo accesso.

Mio papà ed io arrivammo e la prima persona che incontrammo fu un tessitore anch’egli del nostro paese cha aveva fatto la medesima esperienza nostra, che ci accolse con un: “Ma chi sem matt, ho fai quatarcent chilometri, par turnà indre e vide nient”. Come fare? L’attenzione si volge ad una disumana fila di centinaia di persone, che si apriva solo in prossimità di tavoli espositori dove degli schedari erano carichi dei famosi pass da ritirare, divisi per lettera alfabetica. In teoria l’organizzazione elvetica aveva pensato che chi era munito del permessino di accesso del costo di 29 franchi, richiesto tre giorni prima, presentava il tagliando all’addetto e poi questi lo ritirava da quegli schedari posizionati sui tavoli. Certo così era nella mente degli organizzatori svizzeri, ma svizzeri tedeschi. In effetti, la calca era così tanta ed il ritardo alla consegna del titolo così lento che alla fine, ognuno cercava di aiutare l’addetto nella ricerca del suo titolo. E fu così che l’italica e non solo italica furbizia prevalse sul lento incedere dell’addetto e ognuno si affrettò, aiutando a pescare il suo badge, ma per la verità capimmo subito che bastava, per semplificare, pescarne uno qualsiasi per poterlo attaccare alla giacca ed entrare. E pescato il badge cosa mi importava se invece del mio nome esponevo un altisonante nome francese di un dipendente di una altrettanto nota fabbrica di telai svizzera? L’importante era entrare…

fonte immagine: varesenews
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