(testo letto al termine della Messa con Esequie di Carlo Scaltritti)
Grazie Carlo per la tua frequenza assidua alle attività del Gruppo di San Rocco cui si affida la tutela dell’Oratorio dedicato al Santo. Oratorio che raccoglie tante testimonianze della devozione di un quartiere e di tutti noi che abbiamo quella chiesa nel cuore. Erano preziosi i tuoi suggerimenti, sostenuti con la tenacia che ti era propria, perché tutto all’interno ed all’esterno fosse efficiente in ordine come il luogo richiede. Apprezzabile il tuo impegno perché la porta di ingresso fosse aperta, per la devozione di chi recandosi al cimitero, voleva pregare presso l’immagine delle Antica Vergine del Carmelo, accendere un cero, dire una orazione. Quanta soddisfazione coglievamo nel tuo sguardo, quando il giorno delle Palme osservavi la processione che prendeva le mosse proprio dal Sagrato sempre molto affollato per raggiungere la Chiesa Parrocchiale. Ti abbiamo visto ancora recentemente, con fatica, salire i gradini dell’ingresso aiutandoti a quel corrimani che proprio tu avevi insistito fosse installato per la necessità di chi col passare degli anni era diventato più debole.
Suoni ancora per te, oggi quella campana, con la quale ci invitavi alla Messa del Lunedi. Ti accolga con affetto la nostra Signora del Carmelo cui tanto eri devoto.
Il giorno 29 maggio 1945 arriva in Jerago parrocchia di San Giorgio, quale vicario spirituale, proveniente dal Collegio Nicolò Tommaseo di Vimercate, dove era direttore spirituale.
Era nato a Mezzago nel 1899 e consacrato sacerdote nel 1930 dal Card. Schuster, dopo aver prestato servizio militare. Ordinato sacerdote fu coadiutore di Inzago, nel 1933, assegnato alla parrocchia di S. Maria Nuova in Abbiategrasso e nel 1935 coadiutore a san Gioachimo in Milano. Sfollato a Vimercate per i bombardamenti di Milano, fu nominato direttore spirituale del Collegio Arcivescovile Niccolò Tommaseo. Il 5 agosto 1945, prese possesso canonico della Parrocchia presente il Prevosto di Gallarate Antonio Simbardi.
Il 30 sett. e il 1° ott. furono dedicati ai festeggiamenti molto belli e all’insaputa del festeggiato che aveva espresso il desiderio “che non si facessero spese“.
Mons. Cazzani nel libro Jerago traccia questo ritratto: ”La permanenza di don Carlo Crespi a Jerago non fu lunga. Assiduo al Confessionale, attento alle funzioni liturgiche, che celebrava con fervore e con dignità, si dimostrò particolarmente premuroso verso gli ammalati. Accanto al letto degli infermi dimenticava sè stesso, i suoi fastidi, la stanchezza: quasi ringiovaniva. Sorridente si accostava a loro comunicando serenità. Ogni ammalato aveva la certezza che don Carlo era venuto per lui e per lui solo.”
Durante la sua permanenza don Carlo Crespi accolse a Jerago il Card. Schuster in Visita Pastorale.
Nel 1952 don Carlo rinunciò alla Parrocchia e fu nominato cappellano dell’istituto per lo studio e la cura dei Tumori a Milano, dove per un ventennio profuse le sue energie nell’assistenza spirituale dei malati.
L’ultimo incarico e residenza fu al Cottolengo di Cerro Maggiore come cappellano e ospite, dove si spense il 25 luglio del 1975. La sua salma è sepolta a Mezzago.
Il presente testo, estratto dall’archivio parrocchiale di Jerago, è stato redatto da Anselmo Carabelli, che vuole aggiungere un ricordo personale: “Ero piccolo quando Don Carlo fu parroco di Jerago, lo conobbi all’ospedale dei Tumori. Non dimenticherò mai una festa del Corpus Domini all’Ospedale dei Tumori di Milano, quando Don Carlo portando il Santissimo in processione tra le camere e i malati dell’ospedale, lo avvicinò al letto della mia Mamma, lì ricoverata, arrecandole immenso conforto”.
Si ringrazia per le immagini la Fondazione don Angelo Cassani
Con don Angelo, va un pezzo della mia vita. Ho capito, vivendogli accanto nella quotidianità delle cose e degli avvenimenti che l’appartenenza religiosa, non può essere formale, ma è vita quotidiana, dove non necessariamente vi è bisogno di eroismo, ma è il misurarsi diuturno con una realtà alla quale devi dare una risposta da cristiano. Non si vivono due vite, una per la Chiesa ed una per il mondo. Si vive una vita unica che rende testimonianza in modo naturale della preziosa eredità di fede dei tuoi maestri. Dove per maestri riconosci tutte le buone persone, partendo dai tuoi genitori, dalla maestra delle elementari, dai professori a scuola, dai santi sacerdoti, da chi ti ha insegnato un lavoro; coloro cioè che ti hanno educato e ti sono stati amorosamente vicino nella tua vita di famiglia, e speri che a tua volta tu possa essere di aiuto per qualcuno, ma delicatamente senza la pretesa di esserlo per forza. Tutto questo puoi scoprire, se hai la fortuna, come è successo a me di vivere accanto a Don Angelo, perché ti accorgi che la motivazione della sua vita è l’appartenenza a Cristo ed alla Chiesa. E allora poi capire anche che il non ribellarsi alla malattia, come ha fatto lui e come ha aiutato tanti ad accettarsi malati, altro non è che la grande familiarità con Cristo Dio e uomo, la cui natura umana è passata attraverso la sofferenza del calvario, senza ribellione, elevando gli uomini tramite la croce alla dignità di figli di Dio. Ecco la preziosità della sua vita in mezzo a noi, ad indicarci sempre e costantemente il rispetto per il magistero della Chiesa che custodisce questi autentici insegnamenti e l’insistenza nell’affidarci alla Madonna come via sicura ed aiuto per la nostra salvezza.
Per don Angelo che ci è stato padre spirituale, m’è caro ricordare un passo dell’ecclesiastico che parla dell’educazione dei figli e recita”
Morto il padre
Non pare neppure ch’ei sia scomparso
Poiché ha lasciato dietro di sé
Un figlio che gli somiglia
E potremmo ben pensare di essere sui figli spirituali
Mi chiedo quale importanza abbia avuto l’incontro con Don Angelo e penso che esso sia valso a riscoprire ed a rinnovare l’entusiasmo della mia vita cristiana. Lui avrebbe detto: quel gusto di vita nuova. Più volte infatti, prima di incontrarlo, mi ero chiesto se con il diventare adulto non si fosse stemperata la mia natura di cristiano, nel mare immenso delle cose da fare, la vita di famiglia, l’impegno costante nella educazione dei figli. Ecco ebbene tornare a riconoscere la presenza di Gesù nella tua vita quotidiana tutto questo è stato merito di Don Angelo. Perché la vita del cristiano non è la vita del musone, dello scettico, ma è la vita di uno che sta nel mondo, ma non è del mondo, che è amico, è compagno di strada, ma non è compagno di baldoria, sa anche correggerti e non ha paura di perdere la tua amicizia se questo vuol dire scendere a compromessi con le proprie idee. Vi è un momento interessante che è la testimonianza, che devi rendere ai tuoi principi cristiani e questo a costo delle tua convenienza. Ho imparato questo anche dalla conversazione con Don Angelo, che se operi del bene, non lo fai per un ritorno, anzi molte volte coloro che tu hai aiutato sembrano irriconoscenti, ed allora soffri, ma capisci che li sta la bellezza dell’essere cristiano, perché a tua volta, senza accorgerti puoi essere irriconoscente e fare soffrire qualcuno, ma vi é come una circolazione nelle opere buone, perché riceverai del bene da persone che neanche te lo immaginavi e allora capisci che il cristianesimo ha trasformato il mondo e lo Spirito Santo vive nella Chiesa che è fatta di uomini. Ecco don Angelo mi ha fatto riflettere sugli gli episodi che avvengono intorno a te che ti sei sempre ritenuto un uomo razionale, che vogliono essere letti alla luce di una trascendenza che non è irrazionale, è compatibile con la razionalità ma la supera. Ricordo che quando ci si addentrava in speculazioni che paiono superare le nostre stesse possibilità cognitive un altro don altrettanto importante per me, don Carlo Costamagna, compagno di seminario di don Giussani, era solito affermare, che non ci si preoccupasse perché a tutti i nostri dubbi la chiesa aveva già dato risposta. Si perché initium Sapientiae timor Domini. Ciò che valeva per i nostri vecchi vale anche per noi. Potrai essere anche diventato ricco o sapiente nel senso degli uomini, ma se perdi la fede in Dio che sapiente saresti? Del resto quando guardi Papa Ratzinger immediatamente capisci tutto questo, esso è l’intelligenza personificata, la semplicità ma è anche l’uomo di fede e quindi tutte le persone che vogliono sbeffeggiarlo, fanno solo ridere e piangere nel contempo sulla loro pochezza paludata di volgare saccenza.
Ma in cosa si era distinto Don Angelo è sicuramente una bella domanda che richiede una meditata risposta.
Era un uomo estremamente colto e come tale sicuramente desideroso di testimoniare il cristianesimo nella sua attualità, in un mondo che solo in apparenza pareva essere lontano da Dio. Un mondo che era passato da una profonda religiosità, subito dopo la guerra a una profonda crisi, in quella parte del mondo dove proprio erano stati sconfitti paradossalmente tutti i portati della guerra, la miseria in primis.
Una società benestante si era affacciata alla vita e lentamente si stava allontanando dai valori cristiani che per millenni avevano indirizzato l’umanità dell’occidente, fino ad arrivare all’attuale rifiuto delle radici cristiane dell’Europa. Supportata in ciò da quel relativismo filosofico che comunque era frutto dell’ateismo scientifico di radice marxista che aveva fatto breccia anche presso i cristiani. Sono profonde ferite, delle quali ti accorgi anche presso le nostre piccole comunità. Il dubbio sistematico che filtra anche nelle nostre riunioni, non capisci se per mero spirito di polemica, di falsa saccenza o se condiviso realmente. E’ chiaro che questa specie di scetticismo può arrivare a considerare l’appartenenza quasi una convenienza ad appartenere, più che una convinzione. Tutte quelle letture, ma anche programmi televisivi, che ad occhi non sufficientemente preparati, paiono mettere in crisi la radici stesse della nostra fede hanno accoglienza attenta presso i nostri. Letture che raramente vengono sottoposte ad un giudizio, che richiederebbe una spiegazione, un giudizio critico ed una confutazione, sono solo timidamente segnalate e passano nella convinzione della gente, come se i credenti fossero dei minus habens, cioè dei poveri ignoranti. L’essere sempre scettici, da parte di alcuni era sicuramente fonte per Don Angelo di molte sofferenze. Ma egli si rendeva conto e ci insegnava che lo scetticismo ed il relativismo, così come la possibile deriva di strumentalizzazione del cristianesimo erano le cose più dannose se tollerate, ed egli infatti non le tollerava .
Ecco allora che l’appartenenza agli organi consultivi della piccola chiesa locale era per lui occasione di insegnamento, infatti faceva precedere sempre ad ogni riunione una aspetto catechetico. Che, con l’andar dei giorni, finiva col far maturare nella comunione della conoscenza, le persone chiamate a svolgere questi compiti. Era una maturazione che fu assai difficile raggiungere, in prima istanza, perché tali organi venivano perlopiù interpretati come un piccolo parlamento. Dove l’arricchimento e la maturazione comune erano postposte alla necessità di sentire accolte le proprie idee. E quindi non poche persone si erano allontanate per mancanza di condivisione. Ma altre si avvicinavano e così la vita di questa piccola chiesa si arricchiva. Ma ciò che più rendeva completi era quel vivere in armonia tra noi, che ci faceva sentire e gustare veramente il senso di appartenenza a Cristo ed alla Chiesa, lontani anni luce dal desiderio di prevalenza. La vita di un sacerdote è così preziosa che è un dono ed un onore veramente poterla accompagnare anche per un breve tratto di strada. E ti accorgi di tutte le attenzioni che esso versa sugli altri e verso i malati per primi e verso coloro che sono stati meno fortunati. Per Don Angelo la persona conta per ciò che è non per ciò che fa, in ognuno si intuisce il volto di Cristo e a lui non deve mancare la certezza di una attenzione particolare.
Egli ci aveva fatto capire che la vita tra cristiani doveva ispirarsi alla vita di Cristo, dove amore doveva regnare fra tutti noi, stima e aiuto fraterno.
Ecco se raffronto questo insegnamento agli ultimi periodi della vita di don Angelo ringrazio ancora Iddio di avermelo fatto incontrare, perché mi ha fatto capire con la sua testimonianza tutto questo. Il sacerdote che vive con la sua gente lo devi vedere come colui che compie un cammino con te e quando gli viene meno la salute, si fa malfermo esso è ancora tuo padre, spirituale, è colui che testimonia in modo diverso ciò che ha sempre testimoniato nella efficienza della sua vita. Come appaiono strani e lontani gli inviti di coloro che conoscendo la tua posizione nella parrocchia, ti invitano a preoccuparti perché un sacerdote più giovane possa prenderne il posto. Forse perchè ti da fastidio raffrontarti con la sua malattia, forse perché ti da fastidio che alcune, brave persone si occupino della sua sofferenza, e lo aiutino ad accogliersi malato, come lui aveva aiutato tanti altri ad accogliersi malati e a condurli al grande incontro senza ombra di disperazione, ma con un filo di tristezza, quella sì, perché questa certamente è veramente nella natura dell’uomo. Lo vai ad incontrare e vedi che il Crocefisso gli è di fronte, costante riferimento alla sua meditazione ed aiuto nell’affrontare dolori insopportabili. E preghi con lui perchè questa sua sofferenza sia di merito a tutti noi. E la chiesa in quella piccola ma accogliente casa, che è più consona alla sua capacità limitata di movimento è viva come ed anche più di prima, quando era nel pieno vigore delle forze. Quella messa del suo anniversario condotta e concelebrata da un sacerdote nigeriano e lui al centro della mensa, sulla carrozzella è forse per me la grande rivelazione della sua immensa fede e ti rendi consapevole che Cristo e lì presente nella transustanziazione, in un una Chiesa che afferma la sua universalità tra passato e presente, dove i nuovi cristiani aiutano ed insegnano ai vecchi, il tutto in una gioia che il mondo non capirebbe se non conoscesse il miracolo della universalità della Chiesa e della comunione dei santi.
Caro Don Angelo ripenso alle conversazioni che spaziavano sulla nostra vita di cristiani che non si negano al mondo. Un mondo fatto di carne, di dolori, di gioie ma sempre con la presenza di Cristo, che si è fatto uomo per condividere con gli uomini la loro esistenza e guidarli. E quanti campioni di cristianesimo additavi alla nostra attenzione. Come appariva lontano da te e da noi quel fare per fare, che non significava nulla se poi perdi la ragione stessa della tua fede. Quante sofferenze accoglievi e portavi su di te e raccomandavi alla preghiera, nulla di quello che vedevamo fare era dovuto, ma tutto era richiesto dall’amore che portavi a Cristo, ed alla sua Mamma.
Certo ora mi rivolgo a te caro amico perchè tu possa aiutarci con le tue preghiere e con la tua guida.
Ma ho capito nel prosieguo dei giorni e grazie a ciò che accade, rifacendomi ai molti colloqui intercorsi, molte cose. Quante volte il cristiano che sta facendo un percorso di sincerità viene fatto oggetto di odio, la scelta del cristiano è diuturna e quotidiana, non è legata ad una particolare situazione sociale ed economica o di stato, non vi è, come non può esserci, una posizione sociale privilegiata per essere cristiani, e qui animati da una comune ammirazione per il Manzoni avevamo riletto un passo dei Promessi sposi che parla del Cardinale Federico ”Tra gli agi e le pompe badò, dico, a quelle parole, d’abnegazione e d’umiltà, a quelle massime intorno alla vanità de’ piaceri, all’ingiustizia dell’orgoglio, alla vera dignità e a’ veri beni, che sentite o non sentite né cuori, vengono trasmesse da una generazione all’altra, nel più elementare insegnamento della religione. Badò dico a quelle parole, vide che non potevan dunque essere vere altre parole e altre massime opposte, che pure si trasmettono di generazione in generazione, con la stessa sicurezza e talora dalle stesse labbra e propose di prender norma dell’azione e dè pensieri quelle che erano il vero. Persuaso che la vita non è già destinata ad essere un peso per molti e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego, del quale ognuno renderà conto” (Cap XXI).
Una delle continue preoccupazioni di don Angelo era quella che lui definiva la reattività. Non capivo bene il concetto ma in effetti, tradotto in pratica voleva semplicemente dire, anche se dall’esempio dei miei familiari avevo sempre ritenuto che non bisognava essere doppi, che bisognava testimoniare con il proprio sacrificio quello in cui si crede. Perciò a costo di sembrare superbo avevo sempre tenuto a difendere le mie idee, anche se questo poteva significare di inimicarmi alcune persone, non avevo mai avuto necessità di ingraziarmi qualcuno per avere dei vantaggi economici o di carriera, perché economicamente sono sempre stato autonomo, quindi mi sentivo libero nei miei giudizi ed anche nei miei comportamenti. Ma la libertà era comunque temperata da una educazione ricevuta dai miei genitori che mi hanno sempre insegnato a non abusarne.
Anche se ritengo che la libertà dalla necessità dipenda anche dagli obbiettivi che uno si pone. Se infatti gli obbiettivi sono sempre superiori alle proprie capacità, si arrischia di diventare schiavi delle proprie scelte. L’ educazione che ci era stata impartita, molto ricca di autocontrollo, anche attraverso le frequentazioni che erano del tutto naturali, l’oratorio, gli amici, il mondo che ci appariva nella sua immensa bellezza e tutto da scoprire, sempre nuovo e rinnovante gioia ad ogni novità .
La prima volta, riempie sempre il cuore e offre una sensazione di pienezza e di leggerezza. Ricordo il primo volo e la soddisfazione di raccontarlo agli amici. Ad un certo punto ti accorgi che sei solo che vorresti condividere con qualcuno il tuo mondo e cerchi una ragazza. Vorresti fare dei progetti con lei. E allora diventi irrequieto, perché non ti trovi più bene dove stai, vorresti essere dove non sei, vorresti che quella persona che ti ha colpito si accorgesse di te, ma non è facile E’ forse arrivato il momento di buttarti, ma è molto difficile rompere il ghiaccio. E allora preghi e ti affidi al Signore: benedetto l’uomo che teme il Signore e va per le sue vie, te felice , bene avrai e tua moglie vite ferace per entro la tua casa; così recita la Bibbia, e questo non può che non apparirti come una promessa. E cosi anche se picchi nasate, non disperi ed impari ad essere paziente perché la promessa, quando meno te lo aspetti, si realizzerà. E allora con la persona che conoscerai farai dei progetti assieme e cercherai di essere autentico e imparerai a non anteporre te a lei. E queste emozioni, le vivi intensamente e diventando più maturo quando la tua casa comincia finalmente a ridiventare una famiglia, perché ti sei sposato e sono arrivati i figli, rivivi le stesse emozioni che leggi nello stupore dei tuoi figli di fronte alla novità delle cose che per te erano diventate abitudinarie. Che il Cristiano, cosi come preannunciato nel Vangelo, per imperscrutabili motivi viene fatto oggetto di avversioni, cattiverie, che molte volte vengono costruite ad arte. E’ così che il cristiano condivide la stessa sofferenza di Cristo, di quella croce, per lui che era innocente e falsamente accusato, ma cosa ci insegna ciò se non il perdono. Per noi invece di perdonare i detrattori, è assai più immediato reagire ed in sostanza applicare un modo di fare umano ma non illuminato all’invito al comandamento dell’amore. Ecco dalla naturale reattività egli ci aveva portato poco alla volta alla bellezza del perdono ed all’amore nel nome di Cristo riconoscendo con stupore negli altri quel volto di Cristo, che Don Angelo aveva incontrato e che voleva fermamente che anche noi incontrassimo e riconoscessimo.
chiesa di San Giorgio in Jerago – foto di Francesco Carabelli
Testo di Francesco Carabelli – originariamente pubblicato su Un popolo in cammino – Luglio 1995
Il periodo in cui agisce la figura di S.Carlo Borromeo è senza dubbio uno dei più importanti, anzi può essere il punto cruciale di tutta l’età rinascimentale post-medioevale. La situazione è problematica, visto che la Riforma ha colpito tutta l’Europa, prima con Lutero in Germania e poi con Calvino in Svizzera, in Francia e anche in Inghilterra. Per la Chiesa cattolica romana è necessaria una riaffermazione del proprio potere e, meglio ancora, del proprio prestigio per evitare che, anche zone come il nord Italia o la Spagna cadano nel “baratro” protestante. La Spagna, da parte sua, ha un re (Filippo II) che non lesina le persecuzioni e i processi per eresia; il problema resta quindi la zona del milanese vicina alla Svizzera e alla Valtellina (colpita dal movimento valdese). E’ proprio in questa condizione precaria che trova spazio e si impone sopra le altre la figura di Carlo Borromeo, poi fatto santo proprio per l’impegno dimostrato nel risolvere questa delicata situazione. Nonostante le nobili origini, S.Carlo non sfrutta la sua posizione, ma passa per anni e anni di apprendistato e di studio e, solo dopo molto tempo, ottiene la sede vescovile di Milano. Obiettivo primario della sua opera è quello di riproporre alla gente la figura del religioso, come di un uomo che si dimostra disponibile in ogni problema e diventa così esempio per tutta la società. In fin dei conti, come afferma il Tenenti, la riforma nasce dalla lenta ma progressiva corruzione di quei valori e di quegli ideali che accomunavano tutto il popolo europeo, cioè i valori cristiani. Fonte della corruzione erano senz’altro gli stessi rappresentanti del clero che, invece di dedicarsi alla loro funzione primaria, si occupavano troppo della vita politica ed economica e spesso si davano al vizio. Da qui lo sviluppo di un certo lassismo che, come affferma il Bendiscioli, doveva esser contrastato in ogni modo per rilanciare la reputazione della Chiesa.
Certamente S.Carlo non vuole dar vita ad un movimento controriformista, ma sa che è necessaria la severità e soprattutto una costante vicinanza al popolo. Necessaria è quindi anche la rieducazione dei nuovi sacerdoti a questi valori e, mezzo per far ciò, è un’idea rivoluzionaria: il seminario. Il primo e’ quello di S.Vito al Carrobbio nel 1565, ma a questo ne seguono ben presto molti altri, visto che l’idea viene approvata dal papa e diffusa anche al di fuori della diocesi milanese. A questa istituzione si accompagna la formazione di una “scuola dellla dottrina cristiana” col compito di formare i sacerdoti già da tempo in servizio, affinché imparino ad essere maggiormente responsabili delle loro azioni e del loro compito. S.Carlo cerca anche di avere un contatto più diretto con il clero e con il popolo, attraverso sinodi e visite pastorali con le quali portare conforto alla gente.
In questo modo egli riafferma la funzione pastorale del vescovo, che da tempo era diventata solo un trampolino di lancio per cariche più importanti. Ma la sua opera non si conclude a questi pochi, ma significativi, provvedimenti. Egli impone un contegno ineccepibile a frati e suore, e per ottenere il suo scopo fa si che non ci sia promiscuità degli ordini. Inoltre impone una clausura totale a tutti gli ordini che precedentemente la trascuravano e costituisce un tribunale apposito per il clero, con la minaccia di espellere chiunque osi trasgredire le regole. Tutto questo sembrerà un po’ brusco, ma non c’era altro modo per ricomporre una confusione che nasceva soprattutto dalla perpetua commistione di politica e religione. In questo modo, S.Carlo limita l’afflusso forzato dei figli cadetti dei nobili verso i monasteri, anche imponendo seri controlli sulle vocazioni, e costringe tutti i monaci a prendere sul serio il proprio compito e a riflettere sulla loro condotta di vita, spesso sregolata. Certamente i metodi non sono però quelli dell’inquisizione, visto che S.Carlo non si vuol porre nell’ambito controriformista ma sono sufficienti a richiamare all’ordine le fila. Il controllo non si limita solo agli ordini conventuali, ma anche ai singoli parroci attraverso la figura del “vicario foraneo”. S.Carlo cerca di dare nuovo stimolo e in gran parte ci riesce conquistando anche il rispetto e l’amore del popolo che si vede aiutato da qualcuno a migliorare la propria conduzione, anche grazie all’opera educativa a livello agricolo e medico delle scuole parrocchiali. Non a tutti però piace l’opera di S.Carlo, soprattutto quando pretende di sostituirsi allo stato per condannare le ingiustizie, e questo gli provoca, se non l’odio, almeno l’avversione degli spagnoli, che egli spesso scomunica (vedi Requesnez). La figura del cardinale diventa esempio di una nuova era, in cui il vescovo, seguendo i dettami del concilio di Trento ritorna alla sede vicino al suo “gregge”, ma è anche esempio perché capace di nuove soluzioni che diventano importanti a livello internazionale. Laddove la controriforma in corso di sviluppo porta al terrrore e all’oppressione, S.Carlo porta ordine, ma dà anche sbocchi nuovi alla gente comune e a coloro che sono assetati di sapere, attraverso, la costituzione del “Collegio Borromaico”. Il Borromeo si fa espressione evidente del rigore della nuova Chiesa, rigore che spesso, riprendendo il Croce, veniva limitato dall’opera controriformista per non dar spazio a movimenti che potevano risultare negativi alla riaffermazione del dogma. S.Carlo è quindi da lodare per quello che ha fatto, ma anche per essere riuscito a dimostrare quanto valida e positiva fosse la riforma cattolica pura, priva di persecuzioni o di inquisizioni.
Si ringrazia la prof.sa Cristina Boracchi per l’inquadramento della figura di San Carlo Borromeo, oggetto di una delle sue lezioni presso il liceo scientifico di Gallarate – a.s. 1994/95. A questa lezione si rifà il testo qui sopra riportato.
(testo letto da Domenico Lo Fiego alla fine della messa esequiale 8/8/2017)
Caro Gigi, nelle occasioni in cui si parlava dei tempi trascorsi, ricordavi sempre, come i nostri vecchi al lavoro nei campi, quando suonava l’ Ave Maria di mezzogiorno, si scoprivano il capo e chinandolo si rivolgevano al crocifisso del Campanile recitando una preghiera.
Ecco anche oggi, al passaggio del tuo corteo funebre dall’amata chiesa di San Rocco, uno del gruppo suonerà per te quella campana del piccolo campanile, che sempre saluta chi di noi, al compimento della vita terrena, raggiunge il Campo Santo. Rintocchi di preghiera al Signore in tuo suffragio e ringraziamento per tutte le preziose energie versate nelle iniziative che, sempre in sintonia coi Parroci di san Giorgio, tengono viva la nostra chiesa di San Rocco.
Ti ricorderemo, sempre presente alla messa del lunedì, come hai fatto con estrema sofferenza anche in questi ultimi tempi, assiduo ai rosari, al triduo per la festa del Santo. Grazie per il tuo prezioso contributo nell’opera di manutenzione ed alla convivialità che ha sempre fatto seguito alle feste religiose.
La tua testimonianza sarà per noi prezioso insegnamento.
In occasione del primo lustro della scomparsa del nostro caro amico Gigi, vorremmo proporre alla amministrazione comunale del comune di Jerago con Orago di dedicare il parco fronte Piazza Mercato alla memoria di Gigi Turri, parco che deve a lui la piantumazione del grande abete che si trova all’entrata, da lui regalato al Comune di Jerago Con Orago negli anni in cui fu presidente della locale Pro Loco.
Rina – San Rocco: per anni è stato vissuto un sodalizio indiscusso
Negli anni della buona salute e del tempo disponibile, Rina ha dato le sue energie, la sua attenzione, le sue premure perché la chiesetta di San Rocco fosse custodita con ordine ed ogni oggetto fosse conservato con cura. L’arredo dell’altare e i paramenti del celebrante dovevano dimostrare la sacralità dell’ambiente; gli addobbi e i ricami dovevano esprimere la fede dei presenti e l’amore con cui lei, Rina tutto preparava per la Gloria di Dio.
Grazie per quanto hai fatto per la nostra comunità.
Don Franco Rustighini
Testo pubblicato nel numero di febbraio 2007 di Un popolo in cammino in ricordo del primo anno dalla scomparsa di Rina Cardani avvenuta nel gennaio 2006
Articolo di don Remo Ciapparella apparso sul numero di Ottobre 2019 di Camminiamo Insieme, informatore comunità pastorale “Maria Regina della Famiglia” Jerago-Orago-Besnate
Un tesoro di fratello. Noi Jeraghesi siamo orgogliosi di averlo avuto in dono, averlo incontrato, conosciuto, apprezzato per la sua signorilità e preparazione pastorale. E’ stato un dono straordinario al servizio umile e nascosto della CHIESA tutta, anche in momenti di sofferenza e difficili. E noi lo abbiamo donato volentieri alla CHIESA tutta.
Quando si incontrava, non si tornava a casa senza aver ricevuto da lui un insegnamento, un consiglio a volte accompagnato dalla sua proverbiale ironia che era segno di una persona intelligente e capace di ridere di se stesso senza complessi. Era naturale e trasmetteva quella passione per la Chiesa e per gli altri che non è comune avvertire in guide spirituali. Tanti l’avevano scelto come confessori, anche sacerdoti, proprio per questa sua ricchezza d’animo e naturalezza nel vivere la fede senza cedimenti e coraggio. Alla fine ha vinto la debolezza del fisico, ma sempre pronto a dare il massimo fino all’ultimo. Una delicatezza umana che aveva come unica preoccupazione di non urtare nessuno e di non essere di peso. Un grazie speciale alla sorella ROSA che si è sobbarcata in ultimo tutto il peso di seguirlo e accompagnarlo all’incontro con GESU’. Un esempio per tutti noi, un frutto di un albero rigoglioso di una comunità semplice come quella di JERAGO che ha saputo nella fede vissuta senza clamori attingere alla radice profonda della testimonianza dei nostri padri, e dare alla CHIESA CAPOLAVORI meravigliosi come questo.
Testo a cura del prof. Franco Delpini tratto dal n. 4 -anno 1 – Ottobre 1994- de L’Equinozio – Mensile di informazione su Jerago Con Orago a cura della Pro Loco di Jerago Con Orago
Nella storia di Jerago di Eugenio Cazzani troviamo scritto quanto segue:
“Il nuovo parroco, don Massimo Cervini, era della nostra terra: nato a Castronno il 28 aprile 1879, compì gli studi ginnasiali e il primo anno di liceo nella Piccola Casa della Divina provvidenza in Torino, fondata da S. Giuseppe Benedetto Cottolengo. Suo desiderio però era di essere sacerdote diocesano al servizio dell’arcivescovo di Milano, Card. Andrea Carlo Ferrari. A lui il 14 settembre 1897, indirizzò una letterina nella quale lo supplicava di permettergli di continuare gli studi in quell’asilo di carità, non avendo mezzi sufficienti per recarmi altrove. La domanda era corredata di poche parole scritte dal parroco di Castronno, don Carlo Giudici, che raccomandava il suo giovane parrocchiano poiché: “é buono, studioso, serio e promette bene”.
L’anno scolastico 1899-1900 il chierico Cervini lo trascorse quale “prefetto” nel Seminario liceale di. Monza e, un paio d’anni dopo, il 24 maggio 1902, il servo di Dio Card Andrea Carlo Ferrari, lo consacrò sacerdote.
Trascorsi quattro anni quale coadiutore a Sesto Calende, il 6 dicembre 1906 don Cervini passò a Somma Lombardo, ove per un decennio si prodigò per il bene spirituale degli abitanti della borgata.
Il 25 luglio 1916 egli si presentò all’esame canonico per la parrocchia di Jerago, della quale fu nominato parroco il 2 agosto successivo. Quattro giorni dopo riceveva nella sua residenza di Somma la visita del sindaco di Jerago cav. Alessandro Zeni, al quale il neo parroco aveva inviato il suo “reverendo saluto, come a colui che rappresenta l’autorità civile, la cui valida collaborazione con quella religiosa è da me ritenuta uno dei più validi fattori in un paese”.
“Trascorsi i sei mesi di vacanza della parrocchia-scrisse don Cervini- il nuovo parroco si disponeva a fare il suo ingresso per la domenica 29 ottobre 1916, quando con sua sorpresa venne a sapere che il regio placet (l’approvazione dell’autorità civile) non gli veniva rilasciata perché accusato di sentimenti poco patriottici. Fu solo per l’interessamento del Card. A. C. Ferrari, con ricorso diretto al ministro di Grazia e Giustizia, corredato di un lodevole attestato rilasciato dall’Amministrazione comunale di Somma, che il regio placet, in data 6 febbraio1917, venne concesso”.
L’ingresso del nuovo parroco avvenne la domenica 18 febbraio, in forma semplice, data la guerra, che proprio in quei mesi falciava vittime su tutti i fronti.
Così cominciò la vita jeraghese di don Massimo Cervini, la quale doveva durare ventotto anni, trascorso in un apostolato zelante e rinnovatore del clima parrocchiale. le date più significative di questo cammino pastorale sono segnate da tre tappe: due gioiose, la terza dolorosa. la gioia più grande per il parroco Cervini fu quella procuratagli dalla realizzazione della nuova chiesa. una sosta gioiosa furono pure le giornate dedicate al suo XXV di parrocchialità congiunto con il XL di ordinazione sacerdotale.
La cronaca della giornata, 19 luglio 1942, s’illumina della presenza di autorità ecclesiastiche e civili e di manifestazioni personali e comunitarie piene di affetto verso il festeggiato, espresse anche nei doni, che la popolazione tutta offriva a ricordare le due date: un’artistica pergamena eseguita dal nostro pittore Gino Riganti, un paliotto d’altarini oro, una stola a ricami ed un elegante prezioso Crocifisso, tutti eseguiti dalla “Beato Angelico”, e persino.. un paio di occhiali. inoltre consegnava al parroco una cospicua somma raccolta in paese per il nuovo altare della Madonna.
Questo voleva essere un’altra delle numerose opere realizzate da don Cervini a Jerago, come voto perché la Vergine benedica i nostri soldati. La festa fu coronata da un’imponente processione che si svolse per tutte le vie del paese. Dai militari in licenza venne portato a spalle il venerato simulacro della B. V. del Carmine.
Il giovedì 3 maggio 1945 segna l’ultimo giorno di vita per il nostro parroco che da poco più di un mese ha compiuto i 66 anni di età.
Don Francesco Delpini, primo ed unico sacerdote di Jerago guidato dal defunto parroco dalla prima ginnasio alla consacrazione sacerdotale, con affetto di figlio riconoscente e devoto redasse nel Liber Chronicus parrocchiale la memoria di quella scomparsa, che lasciò in tutti parrocchiani sgomento e rimpianto: “Grande lutto per la Parrocchia di Jerago. Il Rev. mo Sig. Don Massimo Cervini, da 28 anni parroco del paese, di ritorno in bicicletta da Albizzate verso le 13,30, dove si era recato a confessare, mentre sorridente stava discorrendo con la sorella sig.na Pia, muore improvvisamente senza accusare il minimo disturbo e senza dire alcuna parola, emettendo un gemito.. Le campane che, dopo la nuova sistemazione, dovevano suonare a festa per la prima volta nella prima domenica di maggio, suonano l’agonia del sig. parroco…”
Nel testamento in cui don Massimo Cervini si dichiarava indegno ministro della chiesa, si trova scritto: “Desidero essere sepolto nel cimitero di Jerago, in campo comune, in luogo visibile, perché i superstiti, vedendo il luogo della mia sepoltura, abbiano a dire qualche requiem per l’anima mia”.
Il comune regalò il terreno per la sua sepoltura sull’angolo destro di fronte alla cappella del cimitero. Molti sono gli episodi curiosi che si possono raccontare sulla vita di don Cervini oltre a quello della mancanza del “regio placet” , ma rimandiamo ad un successivo articolo il loro racconto.
“Alla vigilia del suo funerale, ho telefonato in parrocchia e mi è stato chiesto se dicevo, un pensiero, una preghiera, alla soste della chiesetta di S. Rocco, prima di giungere al cimitero (il giorno del suo funerale -ndr)
Alla sera ho scritto questa preghiera:
O Signore,
tu hai dato al nostro Don Angelo
un cuore sapiente, pronto a interpretare in
ogni avvenimento, l’espressione della tua volontà.
Un cuore nuovo, per la viva presenza dello Spirito
e mite, nelle manifestazioni affettuose
coi bambini e anziani.
Un cuore semplice, che non ha mai cercato
I primi posti o avanzato pretese;
Un cuore puro nella limpidezza delle relazioni
cordiali, sincere, ricche di calore umano.
O Signore,
hai donato al nostro Don Angelo
un cuore forte che ha saputo affrontare
i difficili passaggi della solitudine
e dell’incomprensione;
un cuore vigilante, sempre orientato verso di te,
nelle gioie e consolazioni,
nelle amarezze e nelle sofferenze.
Gli hai dato un cuore generoso,
nel predisporre tanti servizi alla comunità,
senza farsi notare.
Un cuore intraprendente,
perché l’educazione umana e religiosa
avesse le strutture opportune.
Ogni sua opera aveva un unico grande fine:
“ Tutto per la gloria di Dio”.
Il nostro grazie, o Signore, è piccolo
Ma con l’Eucaristia diventa sconfinato.
E il dono che ci hai fatto
nella sua persona esile e grande,
noi lo restituiamo a te, che come Padre attendi il ritorno dei tuoi figli,
nella comunione dei santi. Amen.”
ndr- La preghiera è stata pubblicata sul numero di gennaio 2007 dell’informatore parrocchiale Un popolo in cammino