Archivi tag: burro

La presunzione dei saccenti ovvero: tan dai a carta dul buter da lepà 

I nostri vecchi hanno  inventato  un detto molto efficace per stigmatizzare il saccente  “Gan dai a carta dul buter da lepà”.  Nel contesto della vita non è difficile trovare persone, che la  sanno lunga, su tutto debbono pontificare esprimere il loro insindacabile parere. Certo è piacevole tale compagnia, ma alla lunga diventa stucchevole, perché è veramente impossibile essere edotti su tutto, con la complessità della vita moderna. Bisogna leggere molto, informarsi.

Fonte immagine: pianetadelleideeambiente.it
Pubblicità

Lardo e Burro, ingredienti della nostra antica cucina

fonte immagine: freesenzaglutine.it

Nei tempi passati, quando non si conoscevano ancora tutti gli effetti negativi dell’eccesso di colosterolo nel sangue, o meglio, quando ancora non si sapeva cosa fosse, l’uso di burro, di lardo e di altri grassi animali era normale e molto apprezzato in cucina. Oggi, poiche’ le moderne regole dietetiche, hanno quasi abolito tali condimenti  o li hanno ridotti nell’impiego a dosi farmaceutiche, anche i nostri piatti pur mantenendo il nome, hanno perso molto dell’originale sapore.  Anche la piu’ semplice bistecca  e’ costretta a friggere nell’olio di mais, quello dagli acidi poliinsaturi, per cui prima di servirla sul piatto e’ necessario farla sgocciolare.  Penso che, anche solo per una volta, si dovrebbe preparala in un bel tegame di alluminio dove prima, si e’ fatto fondere un pezzo di burro a fuoco moderato.

fonte immagine: vinoway.com

Quando si e’ fatta quella schiuma, che si perde su un fondo nocciola e trasparente, allora si deve posare la carne cuocendola su emtrambe i lati.  Poi la si serve in tavola possibilmente nello stesso tegame. Il tutto va  gustato, badando bene a lasciare, lustro il fondo del padellino con l’aiuto di qualche pezzo di pane debitamente intinto. Operazione che veniva chiamata pucia’ ul fondu dul padalin”. Se poi accompagnerete in tavola con ”una bela salata o una cicoria” questa si’ condita” cun oli d’uliva e see magari cun triòo déntar una  scigola (Insalata condita con olio di oliva e aceto, dove e’ stata tritata una cipolla), sarà poi questo contorno a incaricarsi di smaltire nello stomaco l’eccesso di grassi da burro.

Ma questo e’ un piatto per le nostre massaie che hanno sempre premura, perché se  ci si volesse applicare un po’ di piu’, ci sarebbe la famosa CARNA IMBUREGIOO, ovvero la carne di manzo impanata o cotoletta alla Milanese o Wiener Schnitzel in omaggio a Maria Teresa d’Austria.  Prima si rompe un uovo intero in un piatto fondo, lo si sbatte con l’aiuto di una forchetta, si sala, a parte si prepara del pangrattato e lo si vaglia perché sia uniforme, si passa la bistecca di manzo nell’uovo sbattuto, si prepara il tegame con burro, come per la prima ricetta e la si cuoce a fuoco lento per 15 minuti, quando il pane della crosta sarà diventato di un bel biondo rossiccio e avrà assorbito tutto l’intingolo del tegame.  Si serve con fette di limone.

fonte immagine: austria.info

Per non sciupare ingredienti con l’avanzo dell’uovo sbattuto e del pangrattato si faranno delle polpettine di pane sempre gradite ai bambini, naturalmente previa cottura.  La bistecca imburegio’ fredda, messa in una fragrante MICHETTA ha sempre accompagnato una miriade di scampagnate e di gite scolastiche.

fonte immagine: primochef.it

E cosa facciamo di primo se non un bel RIS in Cagnoon. Si cuoce il riso in acqua bollente e lo si fa passare nel medesimo tegame col burro dove si e’ fatto un soffritto di cipolla e si e’ aggiunta una foglia di salvia.  Chiaramente il pranzo deve limitarsi qui finendo con un bel Pomm Raneta : una mela Renetta  asprigna dal sapore di una volta.    

Per un piatto unico invece consiglio la :

CAZEULA al modo della Trattoria San Giorgio (detta dul Bareta)

(ingredienti per 4 persone: 1500 gr. di costine di maiale o puntine di maiale, 3 etti di cotenne di maiale  dette cudig, 1 etto di lardo, 2 spicchi di aglio, una cipolla, 50 gr. di burro, 4 verze, 1/4 di vino rosso, gambi di sedano, carote, erba salvia)

In una pentola capace dal bordo medio alto, si prepara un soffritto di lardo pestato, di cipolla, burro e due spicchi di aglio. A parte si saranno preparate le costine, gia’ segate in pezzi della forma di due dita dal macellaio e le cotenne tagliate in strisce e della dimensione di due dita, si aggiungono al soffritto e si fanno rosolare a fuoco vivo fino a quando la carne avra’ assunto un bel colore, si aggiunge il vino e si lascia evaporare a pentola scoperta. Quando il vino sara’ consumato, aggiungere le carote tagliate fini e il sedano pure tagliato fine, si unisce  in un sacchetto di tela l’erba salvia, sale, pepe, noce moscata quanto basta. Si porta a fuoco moderato, si coperchia e si rigira il tutto ogni tanto e per circa due ore. A parte si lavano le verze, si aprono in foglie e si mettono in una pentola capace, dove si fanno morire, cioe’, riscaldandole diventano un po’ molli e perdono l’acqua naturale; e’ importante questa operazione, perché cosi’ facendo si rendono più digeribili. Successivamente quando hanno lasciato l’acqua si scolano.  Dopo due ore di cottura della carne, le verze vengono aggiunte alla padella, si aggiunge ancora sale e pepe e si fa cuocere per ¾ d’ora. Quando il tutto e’ asciutto si serve in piatti ben caldi. Buon Appetito

fonte immagine: wikipedia.org

BARETA

Questa ricetta  mi e stata segnalata dalla signora Carla Cardani Magnoni e rappresenta un classico della nostra cucina. Veniva servita nell’Osteria del Bareta per la delizia degli avventori. I quali solitamente erano operai, che a mezzogiorno vi consumavano il pasto, ma anche  ambulanti e commercianti di passaggio, attratti dalla bontà di quella cucina. La Trattoria San Giorgio, già da molti anni ha perso la sua antica connotazione, trasformandosi nel Bar Sport. La signora Carla, pero’, nuora degli antichi titolari, si e’ impegnata a far pervenire le ricette di tutti quei piatti che facevano parte della tradizione della Trattoria dul Bareta.

Anselmo Carabelli

collezione Carabelli cartoline di Jerago inizio ´900

Pan Bütér e Zücur – Pane burro e Zucchero

In questi  tempi di lotta al tanto aborrito burro, come  non ricordare che Pan Bütér e Zücürappresentava la merenda piu’ gradita ai bambini. Per essi la nonna tagliava in due la michetta che spalmava di burro, sfarinava di zucchero e, dopo averla richiusa, amorevolmente consegnava ai nipoti. Questi via…. di corsa nei prati, fin sul limite del bosco per unirsi nei giochi ai compagni. Oggi tale merenda mancherebbe di un elemento indispensabile: i prati, data la frenesia con la quale vengono impreziositi da palazzi!   Chissà se nei sogni infantili dei nostri operatori edili incombessero già tante piccole New York? Il burro era prodotto in casa scremando il latte della calderina, acquistato ogni  sera dai contadini che ancora tenevano stalla. La crema pànéra, conservata in cantina o nei moderni Frigidair in una scodella, si versava nel fiasco da vino spagliato. Chiuso poi con un tappo, veniva agitato con forza per una decina di minuti, fino a quando la massa grassa si fosse separata dal lacét, sieroIn tempi piu’ remoti si lavorava nella famosa Pénagia o Zangola. A separazione avvenuta, si versava il contenuto in una marmitta e con l’aiuto di un cucchiaio si compattava il burro che si presentava in un ammasso di chicchi di riso stracotti, da lavare sotto il getto dell’acqua corrente. Il suo colore variava  secondo le stagioni, da bianco a giallo avorio. I più raffinati lo comprimevano in forme di legno per formare “Ul Panéll” o piccolo pane. Questa pratica ci viene da una esperienza ancora più antica, quanto tutti avevano a vaca, mucca e  la maséra era al centro della vita di famiglia. Essa sovraintendeva al fuoco e fuochi appunto venivano indicate anticamente le famiglie, composte di piu’ nuclei sui quali sovraintendeva il patriarca  “Pa’ Grand” la cui moglie era la Maséra o mamma grande. L’anziano  tutore della dignita’ della famiglia  non mancava di trasmettere la sua saggezza ai figli ed ai nipoti, in ispece quando nelle lunghe giornate invernali si indugiava volentieri al fuoco del grande camino. Quel camino serviva anche alla cucina, ecco perche’ le antiche ricette, dalla cazeula alla cärna  e patati, ai brüscitt, sono ricette di lunga e debole cottura, cucinate come erano nelle ceneri della stessa fiamma che riscaldava l’unico ambiente vivibile. Il tutto vigilato dalle donne di casa intente: chi a sferruzzare cui gücc “Scalfitt da lana- a  produrre calzettoni con gli aghi per lana, chi cunt ulcrüscié a fa i Scialitt e chi conl’uncinetto a  realizzare scialletti, barriere provvidenziali pei rigori invernali. La nonna intonava ul rusari- recitava il rosario e tutti rispondevano coralmente. Non era raro vedere in quelle cucine, il letto per la persona malata, forse cronica o moribonda, perche’ cosi’ poteva essere costantemente accudita. Anche la morte in quella società lasciata alle spalle, non era poi così incomprensibile, da rimuovere lasciandola agli addetti ai lavori, come pare sia oggi. La si viveva come qualcosa di naturale, da accettare sempre in grande dignita’, fede e partecipazione spontanea dei familiari e dei vicini, quando tutti dimenticavano atavici screzi per darsi coraggio e speranza.