La statua di San Giuseppe, collocata nei prati di Orago, è stata oggetto di devozione da parte degli oraghesi fin dal 1700, che il giorno 19 di marzo vi si recavano in processione partendo dalla chiesa di San Giovanni Battista. A tale festa partecipava anche un buon numero di jeraghesi. Gli anziani narrano che talvolta ci fosse ancora la neve e talaltra fiorissero già i primi fiori, a dimostrazione che il tempo ha sempre fatto di testa sua. Carlo Mastorgio, che della nostra storia è stato appassionato e documentato cultore ci aiuta con la sua descrizione: “l’itinerario muoveva dalla chiesa di S. Giovanni Battista, scendeva per la strada detta della Costa Nuova (cimitero odierno n.d.r.), indi la carrozzabile Gallarate-Varese sino alla statua; dopo la benedizione si ritornava alla chiesa per la medesima carrozzabile e per la strada della costa dell’Asilo. Famosa fu la processione del 19 marzo 1931 alla statua di San Giuseppe, dove era stato eretto un altare, lì potevi trovare tutto il paese, una folla di ben cinquecento persone inginocchiate per la benedizione”. Solo dopo il 1948 per ragioni di viabilità, dovute all’aumento di traffico, si optò per una processione ridotta che girava attorno all’isolato del Castello e si fermava dove inizia la discesa dello scalone d’onore, dalla cui sommità era ben visibile la statua ed il parroco del tempo (don Alberto Ghiringhelli) impartiva la benedizione.
Il culto del Santo rimase sempre ben radicato tra i giovani di Orago che lo elessero a patrono, tanto che in quel giorno, all’epoca anche festa civile, si fece coincidere la festa dell’oratorio maschile, rallegrata da numerosi giochi.
Quella statua, per voleri testamentari e con legati specifici fu dalla sua origine esposta al culto su di un piedestallo nei prati, ab antiquissimi temporibus et perpetuo-da tempi immemorabili ed in perpetuo, quindi patrimonio esclusivo della comunità di san Giovanni Battista.
Fu così che quando il proprietario del fondo sul quale essa era collocata, fece abbattere il piedistallo, con la manifesta intenzione di trasferirla altrove ed in altro paese, un gruppo di giovani oraghesi, ritenne doveroso difendere la statua del Santo. La sottrasse nottetempo, affinché quegli intendimenti non andassero in porto e la nascose, con un blitz noto come il rapimento della Statua. Da qui proteste, denunce, intimidazioni, lettere e telefonate anonime. Alla fine la “commedia” finì e tutto si accomodò. La statua riapparve e di comune accordo fu collocata su di un nuovo piedistallo provvisorio, accanto all’ex mulino del Giambello. Orago salvò il suo cimelio, simbolo di una tradizione e di un culto secolare. Il parroco don Alberto Ghiringhelli poté annotare in un suo diario “Gli unici fra tutti, ai quali bisognava cavare tanto di cappello, sono venti ragazzi che agirono con vera retta intenzione e coraggio”.
La statua non poteva essere ricollocata nel luogo originale, perché nel frattempo erano sorte nuove costruzioni che avrebbero impedito per sempre l’antica suggestiva vista dallo scalone. Rimaneva la possibilità di una sistemazione prossima e ancora nei prati. A tal fine si attivarono i fratelli Consolaro che, divenuti premurosi custodi della stessa, riuscirono a mobilitare un nutrito gruppo di volontari, perchè suscitassero e risolvessero il problema, a loro si unì con la sua competenza e passione storica Carlo Mastorgio, che pubblicherà per l’occasione un fascicolo intitolato “Culto e tradizione di san Giuseppe ad Orago”. Dopo tale iniziativa e per interessamento del Comune di Jerago con Orago, essendo sindaco Livio Longhi nella amministrazione 95-99, fu approntato dall’ufficio tecnico comunale e finanziato dal Comune un progetto di restauro, che permise di posizionare la statua su di un nuovo piedistallo, ubicandola in zona prossima al molino Giambello, circondata ancora dal verde dei prati come in antico. Purtroppo in questi ultimi anni, dalla ricollocazione, la statua in arenaria è stata erosa dalle piogge acide, complice l’industrializzazione della zona, molto più di quanto non fosse avvenuto nei tre secoli precedenti, tanto da far temere una sua irrimediabile perdita. Si auspicano di nuovo urgenti ed improcrastinabili restauri, pena il vanificare di questa nostra vicenda. Forse si rende necessaria una squadra di nuovi volontari e devoti.
Ci si potrebbe chiedere il motivo del culto di San Giuseppe ad Orago, in un contesto ambrosiano che vede la prima chiesa dedicata al santo in Milano e solo nel 1530.
Fin verso il 1400 per motivi strategici il castello di Orago poteva ben ritenersi un baluardo sulla valle dell’Arno e perciò interessante per la potenza viscontea. Il forte di Orago faceva parte di quel limen prealpino che da Massino inanellava tutta una serie di fortezze, le quali possiamo ancora riconoscere nelle vicinanze: Besnate- Crenna-Cajello-Jerago-Orago-Albizzate-Solbiate-Cassano.
Una serie di personaggi, funzionali alla potenza viscontea, più o meno importanti, vivevano in questi presidi fortificati intrattenendo coi Visconti relazioni caratterizzate da legami di famiglia. Ciò consentiva ai Visconti milanesi di sfoggiare la loro forza nei momenti in cui a Milano era necessario mostrare i muscoli, servendosi anche dei villici che si trasferivano, armati di forconi, proprio da questi territori per fomentare o contrastare i vari moti di piazza contro le fazioni avverse ai Visconti. Per questa funzione di supporto, i Visconti titolari dei castelli e dei territori di pertinenza godevano l’esenzione dalle varie gabelle, altrimenti obbligatorie, verso il ducato o, quando i castelli incombevano sui luoghi di traffico, esercitavano in franchigia diritti di osteria, accoglienza e stallaggio. Fu chiaro che, quando cadde la potenza Viscontea, e venne meno la funzione di frontiera dei nostri castelli, questi furono lasciati in abbandono con distruzione e decadenza delle rocche. Divennero nuovamente interessanti se ad essi fosse stato legato un territorio produttivo dal punto di vista agricolo. La piana dell’Arno tra Solbiate e Cavaria, in territorio di Orago presentava già in antico due molini: Molinello e Giambello, oltre al Molino Scalone verso Oggiona; è piana irrigua , con canali alimentati da acque a regime pressoché continuo, quindi permette coltivazioni pregiate, a differenza dei territori di Jerago che sono bagnati solo da acque sorgive e meteoriche. Nel 1500 il castello di Orago divenne di proprietà Lampugnani, attraverso il matrimonio di Bianca, l’ultima Visconti di Orago, dapprima con Ferdinando Lampugnani e, morto questo nel 1533, con Gaspare Antonio. I Lampugnani rimasero. proprietari fino ad Attilio che, verso il 1713, riedificò il castello come lo troviamo ora nella sua funzione di soggiorno e villa di campagna . Fu artefice del prezioso ingresso e dello scalone d’onore. Alla sua morte nel 1757 lasciò tutti i beni all’ospedale Maggiore di Milano. Con riferimento al catasto del 1725, noto come Teresiano, rileviamo che: delle 1565 pertiche milanesi pertinenti al territorio di Orago, ben 1400 appartenevano al conte Attilio Lampugnani. Costui non lasciò eredi, perché tutti premorti e l’unico figlio maschio Giuseppe morì in giovane età. Fu in sua memoria che Attilio Lampugnani presumibilmente volle fosse dedicata una statua a San Giuseppe. Come si evince da un suo pio legato citato da Carlo Mastorgio “Voglio pure e dispongo, che dopo la mia morte si faccia celebrare nel giorno della Festa del Glorioso Patriarca S. Giuseppe, e nella Chiesa Parrocchiale di Orago una messa cantata con fare l’immediata processione del Popolo al sito dove resta collocata la statua di San Giuseppe vicino al Molino, e di rimpetto alla Porta del Castello, che guarda alla strada de Varese, ove si canterano le Littanie, dovendosi contribuire al sodetto R.do Paroco per tempo la elemosina di soldi trenta per le celebrazioni di detta messa e processione come sopra, e quando succedesse la festa di S. Giuseppe di venerdì, si dovrà fare la processione dal popolo nel medesimo giorno al sito, ove resta collocata la statua sodetta, e la messa cantata si dovrà celebrare nel giorno successivo, volendo pure come voglio e dispongo, che in occasione di detta processione, e così nella festa di S. Giuseppe di cadaun anno sino in perpetuo si distribuiscano stara quattro di mistura in tanto pane al Popolo di Orago. “