Archivi tag: dialetto

Modi di dire dialettali jeraghesi

scansione-34-1

Pubblicato su Un Popolo in Cammino – anno 1997

Öeuv in ceraghin -uovo al Chierichetto. Si chiama così perché ricorda l’abito rosso e bianco dei chierichetti nelle occasioni solenni. Quando per un motivo qualsiasi una persona in casa mette il broncio e non dà risposte di proposito, per i vecchi “la mett giò i Quarantur”. Se per sfuggire al caldo si chiudono tutte le imposte e le porte di un locale, a Jerago si diceva che “Se fa ul Scureu da San Carlo” con evidente richiamo al buio e al raccoglimento dello Scurolo del Venerdì Santo. In quel “scapa Signor ca ghe rivo’ i Muradur” si fa riferimento al fatto che l’eloquio dei “Magutt” non era certamente dei più consoni ad orecchie pie e non solo per il disastro che essi producevano, perché “par fa urdin bisogna fa un disurdin”. La semplicità con la quale si rispondeva alla “Curona dul rusari”  e che richiamava la collegialità con la quale tutte le persone valide  rigiravano il fieno in fila sul prato, faceva dire che “a vultà ul fin e a  di rusari in bon tucc da restà in pari”. Quando una persona dà fastidio la si manda “a fass Benedì” o a “Bacc a sunà l’organ” con rifermento al fatto che in quel di Baggio a Milano l’organo era dipinto sul muro. L’invito a non frequentare cattive persone si esprimeva con un “dà mia tra a quel lì, cal ta fariss perdi Mèsa anca al dì da Natal” (non dar retta a quello che ti farebbe perdere Messa anche il giorno del S. Natale). “Andà a sculèta” indicava la frequenza all’insegnamento per gli adulti. “Ul Fuiett dul Curad” è l’antesignano de Un Popolo in Cammino che don Luigi Mauri iniziò col nome di Voce del Parroco, aveva le dimensioni di un foglietto litografato sulle due facciate e veniva diffuso settimanalmente in tutte le famiglie. Ogni famiglia lo pagava 100 lire e permise di finanziare i lavori per l’Auditorium. La pesca e L’incant di Canestar  erano altre fonti di raccolta di fondi per le opere Parrocchiali. Nella casa si aspetta “Ul Sciur Curad” per la “benedizion da Natal” e la mamma – Masèra si fa punto di orgoglio perché “a cà la sia lustra me na Cana da fusil – la casa brilli come una canna di fucile”, nella cucina è sempre appeso un “Crusin”: piccola Croce offerta dal Parroco il giorno della prima benedizione della casa nuziale. La camera da letto presenterà sempre ul “Quadar da a Madonna cul Bambin in brascia – Madonna col Bambino in grembo” posto sopra la testata del letto ai cui lati potevi ritrovare anche “L’Aquasantin e ul quadrett di Devuzion” l’acquasantiera riempita con l’acqua che si andava a prendere in chiesa di Sabato Santo e il quadretto con le preghiere della buona notte. Una persona che gode di una cattiva salute di ferro sarà “Mezz in Gesa” (Quasi in Chiesa per il suo Funerale). All’uomo che generalmente sbianca al primo impercettibile dolorino, paventando chissà quali brutti mali, la moglie si rivolge ironica con un “te set lì c’al par ca te ghet i Oli Sant in sacogia – Sei lì bianco e smunto come se ti avessero già data l’estrema unzione”. L’ultima destinazione terrena di uno Jeraghese è la “Pigna” dal toponimo del sito del Camposanto.

Pubblicità

Presentazione a cura di Elio Bertozzi del libro “Le ricette della nonna” di Anselmo Carabelli con Enrico Riganti

scansione-3-1

Siamo nel periodo classico della dominazione viscontea. Ottone, da buon politico pensa a perpetuare nella sua famiglia il potere civile. Ottiene dal Consiglio Generale la nomina del pronipote Matteo Visconti, figlio di Teobaldo a cui Napo Torriani mozzò la testa sulla piazza di Gallarate, aveva un fratello chiamato Umberto e uno zio detto Pietro. Nella divisione dei beni paterni, fatta nel 1288, ai due fratelli toccarono le terre di Somma, Golasecca, Vergiate, Lonate Pozzolo e Ferno, e allo zio, con Besnate, Albizzate, Crenna, Rovate, Solaro, Brunello e Massino, anche Jerago.

Jerago, che Bonaventura Castiglioni, nella prima metà del Cinquecento, indicava con il termine Hieracium. Jerago anche vicus villaggio romano, che con il termine Algerago troviamo in una pergamena del 1178; detto Alierage nel Liber notitiae sulla fine del Duecento: scritto Mierago nel 1455 e, dal Cinquecento in poi, come sottolineava lo scomparso storico Monsignor Eugenio Cazzani, è presente nella documentazione ecclesiastica con la forma Alierage. Insieme con Jeragum permarrà sino alla fine dell’Ottocento, quando si cominciò ad usare,anche per atti ecclesiastici, la lingua italiana. L’etimologia suggerita, infine, da Dante Olivieri vuole Jerago, dialetto Jeragh, derivato da Alliaricus. Aggettivo dal nome personale Alliarius, da ritenersi un personaggio, distinto per censo e per virtù civico–militari, il quale lasciò il nome al locus da lui abitato.

Posto in una posizione preminente, sovrasta la vallata. In tempo si diceva che Jerago venisse derisa, di fronte da Oggiona che sembrava beffeggiarlo dal culmine del colle, detto Monte Oliveto. Da secoli, i due paesi, a guardarsi in eterna sfida, anche se nessuno,mai, si mosse ad affrontare l’altro. Jerago mostrava ai vicini le sue chiese: la vecchia, con il suo alto campanile e la nuova in stile romanico. Ma paladino ne era in particolare l’antico castello, cui ben si adattano questi versi di Olindo Guerrini nel suo Canzoniere:

 “ O passegger che per la via diserta

 affretti il passo

 leva la fronte tua verso quest’erta “.

Balconcini con eleganti ringhiere, terrazze, posterle, torrette, bertesche, spalti, barbacani, avancorpi, merli: tutto l’apparato di un vero castello feudale. Sopra passavano nubi bianchissime, che adornavano il cielo di una tenuità di spuma. Passano da secoli. Le avranno guardate la castellana, il signorotto, il paggio, l’armigero, la comare. Nubi che raccolsero pensieri e segreti, sogni delusioni e che, ancora oggi, con il loro attuale “carico”, scivolano dolcemente sugli immensi campi vellutati del cielo che sovrasta la vallata su cui campeggia Jerago.

La riscoperta della cultura locale, alla quale assistiamo ormai da vari anni, ha favorito la produzione, recente, di volumi dedicati alla storia di singole località o di specifici aspetti della vita dei tempi passati. Alcuni di tali libri si limitano ad una semplice rielaborazione di argomenti già presentati da altri, senza offrire al lettore sostanziali novità nei contenuti. Il volume di Anselmo Carabelli ed Enrico Riganti si discosta nettamente dalle pubblicazioni consimili sia per argomento che per originalità. E’ ambientato in un singolo paese: Jerago, ma coinvolge una cultura che riguarda tutto il Seprio; è dedicato ad un tema principale: la cucina tradizionale, ma ci informa su una molteplicità di usi, costumi, detti, proverbi, significati.

Frutto di una lunga ed appassionata ricerca  “sul campo“ offre al lettore un quadro del mondo contadino del buon tempo antico, con un pizzico di nostalgia, ma senza dimenticare che la vita continua ad evolversi ed a progredire.

La lettura è snella e piacevole per tutti: gli Jeraghesi ritroveranno l’anima del loro paese, oltre alle ricette di pietanze più volte gustate, altre parimenti appetitose, ma anche tanti ricordi e tante curiosità. I non Jeraghesi riscontreranno incredibili somiglianze con fatti ed usanze dei rispettivi paesi. I lettori di una certa età ricorderanno il sapore di un mondo che ancora esisteva durante i loro anni migliori, anche se già avviato al declino, i più giovani avranno il gusto di scoprire come vivevano i loro coetanei quando non c’erano le discoteche e la televisione. Mondo migliore o peggiore? Semplicemente un mondo diverso: l’aria era più pulita, ma mancavano tante comodità, non c’erano i soldi ma la vita era più genuina. Non beghe legali, fiscali o aziendali, però contrasti di paese, più semplici, ma non per questo spesso meno amari.

In tutta la trattazione domina, com’è giusto, il dialetto, senza tuttavia escludere dalla lettura chi non lo capisce o chi non lo parla più. Anzi proprio costoro potranno gustare alcune espressioni interessanti, che magari provengono direttamente dalla lingua latina o francese o tedesca.

A questo proposito mi pare che quanto scrisse Cesare Cantù oltre 150 anni fa, nella sua semplicità, sia tuttora il più valido orientamento per il lettore:

“il nostro parlarsi sopra estesissimo tratto, con modificazioni locali …. Dell’antica origine gallica fa esso fede nella pronunzia dell’ u dell’oeu  (feug se peu); degli an, on, en, nasali (pan, porton, ben) nello scempiare spesso le consonanti e mutare la z in s; oltre un grandissimo numero di voci, non adottate nella lingua italiana e viventi nella francese, ben distinte dalle poche lasciatevi dalla recente dominazione  e dalla moda. Chi ode il dialetto di Marsiglia, può scambiarlo pel milanese, mentre a fatica è intellegibile ai Francesi, e la somiglianza è tanto più notevole, in quanto che già si riscontra nelle poesie de’ i Trovadori, poeti provenzali del XII secolo, e non solo quanto a parole, ma anche a forme grammaticali.

Nel Varon Milanes, opera di un Capis ampliata da un Milani, si cercano radici greche a molti vocaboli lombardi, con quelle solite stiracchiature per le quali le etimologie son divenute un giochetto simile a quello delle sciarade: ma certamente alcuni ve n’ha di derivazione latina e di greca e non conservatasi nell’italiano: pochi n ha di tedesca, moltissimi invece di spagnola, senza contare la fratellanza delle due lingue. Il nostro dialetto nel plurale non discerne l’articolo maschile dal femminile ( i fioeu e i tosann); l’articolo indeterminato distingue dal numerale (un omm, damenn vun); i numerali due e tre forma diversamente pel femminile  (du sold, do lir; tri foeuj, tre pagin); alcuni plurali ha differentissimi dal singolare (om e omen, tosa e tosann, casa e ca , boeu e bo) usa un suono della s ignoto al toscano ( s’ciopp);…alla tedesca pospone la negazione al verbo (mi so no) esclude affatto quelle inversioni che fanno arditamente bello l’italiano“.

Come si nota quasi tutti i popoli europei hanno contribuito alla formazione della lingua dei nostri avi e quindi delle nostre radici. Forse la nostra preoccupazione riguardo la cosiddetta società multietnica del futuro è esagerata. Forse, soprattutto a patto che non si dimentichi il passato.

                                                  Elio Bertozzi

Storia d’una Pianta 

98974A02-5156-4308-9639-A2710ABDC93B

Pubblicato su Un popolo in cammino nell’autunno 2000 nella sezione dedicata al Centro culturale Cardinal Schuster e Carlo Mastorgio

Poesia di Paolo Pozzi

(Il testo è stato proposto da Luigi Cassani, la traduzione è di Anselmo  Carabelli)

Una pianta, una trav, un tocch da legn

E un névudin

L’era nassüa là, sura Cas’ciàgh,

da sòta da la costa da Velà

drè da la Tùur, da dua sa véed Masnàagh

‘na primavera da sett’cent ann fa.

L’era nassüa:

l’era staia furtünava.

‘Na castegna d’un risc spustàa dul véent

la sera quatà via in mezz al stramm,

a la metüu i radìs e in d’un muméent

l’ha mandà föra‘na fèrla cul primm ramm.

Ul löög a l’era giust, l’ha prutegiüva:

di cunili, di ghir, di murigiö,

e anca dopu quan’ l’era un pù cressüa,

l’ha tegnüü in dré i altar bésti e i cavriö.

Intant a passa ‘l temp e la ven granda,

quanta  storia ca passa sotta i ràmm!

E i so castégn, seccaa, i’a rincüravan

I nostar vècc, par töss via la famm.

Anca la föja la vegneva üsava

pa’i bèsti ,in di stall mèj  guvernàa.

E infìin  par tegn sü i viid pö duperavan

I so ramm püsée drizz  tucç béen peràa

A passan düsént’ ann: a l’hann tajava

E par tri ann a l’hann lassà a secà,

pö, hann tiràa fö’ un travuun e l ‘hann

/ muntava

cume puntuun, sül técç d’ra nosta Cà.

Una volta in sül tecç , da sota i còpp,

quanta gent ca l’ha vidüü passà!

Quanti stori bèi e brütt e quanti ropp

Cul so parlà l’avrèss podüü cüntà.

Gh’è passaa ann e guerr,gh’èpassaa i òmm

E gh’è giraa anca i padrun d’ra cà,

ma lee separa lì ferma: cume ‘l Dòmm

in mezz ai cambiament vidü da là.

 

Inscì, gh’è rivà ul nuvantadüü

E un dì hemm deciis,da mett a post la cà:

ma n’architett, ch’al saveva da pòcch,

l’ha faia tö dal tècc  e pö’ tajà !

 

Quand i ho vist m’è vegnü’ n culp m’è

/dispiasü’

e dul maguun pudeva pü’ parlà,

tücc quii tocch, puggià e a düü a düü,

tacca al camin urmai prunt da brusà.

 

Ma mi ho’spettàa, i’ho mia vurüü duprà.

I tocch du la traa vegia d’ra me cà:

ul légn, d’una pianta granda e forta,

ch’era nassüa ben sett’cent ann fa !

 

Pö’ in una nott fregia da dicembar,

a guardà i stell l’era quasi mezzanott,

cunt ul me nevudìin ho pizzà ‘l föögh

e in dul camin: n’ho buttà  düü tocch.

 

Ul föögh al s’è pizza.. e in dun muméent

I firapul a vüna , a dees , a ceent

A vugavan in valt, sempar pü sü

Par faag da strava al Bambinel Gesü

 

E ‘na firapula, quela pussee bèla,

föra in dul ciél  l’è diventava stela,

la s’è fermava pugiava sura ‘n pìin

perché gh’éra nassüü ‘l Gesü Bambin !

 

Adess la storia, che la par finiva,

la riva in fund con la so muraal:

I tocch ca m’è restaa tégni in cantina

E ‘n brüsi vün par nott ogni Nadàal

 

                           Paolo Pozzi

                         Dicembar 1995

 Storia di una pianta

Una pianta, una trave. Un pezzo di legno

E un nipotino

Era nata là, sopra Casciago,

sotto la costa di Velate,

dietro la Torre, di dove si vede Masnago

una primavera di settecento anni or sono.

Era nata:

era stata fortunata.

Una castagna da un riccio spostata dal vento

Coperta poi da uno strame di foglie

ha messo radici in pochissimo tempo

ha messo fuori un virgulto col primo stelo

Il luogo era  adatto e l’ ha protetta:

dai conigli, dai ghiri dai topolini,

e anche di poi, quando era un poco grande

ha tenuto lontane le altre bestie, i capretti

Intanto passa il tempo e diviene grande,

quanta storia passa sotto i suoi rami.

E le sue castagne, seccate, le custodivano

I nostri vecchi, per togliersi la fame.

Anche le foglie usavano

Per le bestie, nelle stalle meglio condotte.

E infine, per tenere in piedi le viti usavano

I rami più dritti tutti ben spellati.

Passano duecento anni: la tagliarono

E per tre anni la fecero asseccare

Poi ne hanno ricavato una gran trave e

l’ hanno montata

Come colmo, sul tetto della nostra Casa

Una volta posta sul tetto, sotto i coppi

Quanta gente ha visto passare!

Quante storie belle e brutte e quante cose

Col suo racconto avrebbe potuto narrare

Sono passati anni, guerre, passati uomini

Sono cambiati i proprietari della casa

Ma lei, sempre lì ferma: come il Duomo

Nel mezzo dei cambiamenti visti da lassù.

Così è arrivato il novantadue

E un giorno abbiamo deciso di riparare casa

Ma un architetto che sapeva di poco

L’ ha fatta levare dal tetto e tagliare

Quando l ’ho vista in pezzi  mi è preso un

colpo, mi è dispiaciuto

e dal magone non potevo più parlare,

tutti quei pezzi posati a due a due lì

presso il camino ormai pronti per il fuoco.

Ma ho aspettato, non li ho voluti usare.

I pezzi della trave vecchia della mia casa:

Legno di una pianta grande e forte,

che era nata ben settecento anni addietro!

Poi in una notte fredda di dicembre,os-

servando le stelle doveva essere mezzanotte,

col mio nipotino ho acceso il fuoco

e sul camino: ne ho buttati due pezzi.

Il fuoco ha preso forza.. e in  un attimo

Le faville  a una, a dieci a cento

Vagavano in alto sempre più su

Per fare da strada al Bambinello Gesù

E una favilla, quella più bella,

Fuori nel cielo  si è fatta stella

E si è fermata appoggiata ad un pino

Perché era nato Gesù Bambino !

Adesso la storia,  che par finita,

arriva in fondo con la sua morale

i pezzi rimasti li tengo in cantina

e ne brucio uno per notte ogni Natale

Paolo Pozzi

Dicembre 1995

Nustalgia di temp indrè – Nostalgia del tempo passato

Poesia della Sig.ra Tomasini di Crenna (Gallarate) apparsa su Un popolo in Cammino nella sezione dedicata al Centro culturale Cardinal Schuster e Carlo Mastorgio

Quand  ma vegn a nustalgia

Di bèi temp ch’in sgurä’ via

A ma string  na cumuzion

Fin a fam vegnì ul magon

Puesia scriù in dialèt

Parlà vecç, sincér e schièt

L’éa a lengua di nostar gent..

Sparia.. L’è pù ul so temp

Par n’ambizion da véss prufesur

mo parlum tucç a lengua di sciur

Ai nostrar fieu, fin da piscinitt,

Pal timur da pasà par asnitt,

Gh’em fai imprendi l’italiano

Pusè decurus.. dul popolano.

 

Démm un’ugiäda ai temp indré

Quand sa vivéa cunt poc dané,

Sa rispamiäva su cunt e spés

E  sugnävum  mila fränc al més !

Gh’éa unestà, amicizia e rispètt

Par n’aùt, sa fasevan in sétt

Bastäva na bèla stréncia da man

E fasevan l’afäri ul sciur el vilan !

La porta da cà.., niseun la seräva,

la ciäv in dul büs.., niseun la tucäva

rubavan dumà i gajn dal pulé,

parché in dul casét ean pocc i dané.

Gh’ea ul mulita, ul spazacamin,

l’umbrelat, ul stascée el sbianchin ;

ul baslutè cunt  a so’ mercanzia

cal däva la vus a tuta  la via.

Ul calzulär ch’al tacäva i tö’  tacc,

l’hom cul caret cal vendeva i saracc !

“ Oh donn!..donn!.., ghé  chi ul magnan !”

Al sa sentiva fin da luntan

Parieu e padéì ga sa purtāva

E peu lü par ben ai a stagnäva

Quando mi viene nostalgia

Dei bei tempi volati via

Mi prende una tale commozione

Da farmi venire il magone

 

Poesia scritta in dialetto

Parlare dei vecchi, sincero e schietto

 

Era la lingua delle nostre genti

Scomparsa.. Non è più il suo tempo

Per l’ambizione di sembrar professori

Ora tutti si parla la lingua dei signori

 

Ai nostri figli, già da piccolini

Per paura di passar per asini

Abbiamo fatto insegnare l’italiano

Più decoroso del vernacolo

 

Ma diamo un’occhiata a tempi trascorsi

Quando si viveva con pochi soldi

Si risparmiava su conti e spese

E sognavamo mille lire al mese

 

C’era onestà, amicizia e rispetto

Per un aiuto, ci si faceva in sette

Era sufficiente una bella stretta di mano

E facevano l’affare il ricco e il contadino

 

Nessuno serrava la porta di casa

Nessuno girava la chiave nella toppa

Rubavano solo le galline dal pollaio

Perchè  nel cassetto c’erano pochi soldi

 

C’era il molitta, lo spazzacamino,

l’ombrellaio,  straccivendolo e sbianchino;

il venditore di stoviglie con la mercanzia

che dava il suo richiamo a tutta la via

 

Il calzolaio che attaccava i tuoi tacchi,

l’omino col carretto che vendeva aringhe

“ oh donne oh donne c’è lo stagnino”

Lo si sentiva fin da lontano

 

Padelle e tegami gli si portava

E per bene lui poi stagnava

 

i mistè – le professioni

l’aucat                             l’avvocato

ul dutur                          il medico

 a cuma                          la levatrice

ul cavadènc                   il dentista

ul fare’                            il fabbro

ul legname’                    il falegname

ul magnan                      lo stagnino

ul cadregatt                    l’impagliatore di sedie

ul strasce’                       lo straccivendolo

ul spazacamin               lo spazzacamino

l’ufele’                             il pasticciere

ul sataru’                        il becchino

ul macelòr                      il macellaio

ul pèsatt                         il pescivendolo

ul furmagiatt                 il venditore di formaggio

a pustera                        la salumaia

ul prestine’                     il fornaio

ul sacrista                       il sacrestano

ul sciscianavétt              il tessitore

ul spizie’                          il farmacista speziale

ul schaffeur                    l’autista

ul maruse’                       il sensale

a sàrta                              la sarta

ul barbe’                           il barbiere

ul mulita                           l’arrotino

ul laura’- il lavoro

foto di Francesco Carabelli – c/o ex Manifattura di Crosio – Jerago VA

anda’ a stabliment       andare in officina

i zocur                            zoccole per uomo

a cunbineuse                 vestito di lavoro per uomini

ul scusà                          vestito da lovoro per donne

i zibrètt                          zoccole per donne

a bindéla                       sega a lama circolare

ul turni                           il tornio

ul tèlòar                          il telaio

i tèlaritt                         barchette in legno e carta per

                                      stoffe tipica produzione  locale      

bumbàs                        bambagia

cunsum                         fili e scarto tessile

limaia                            trucioli scarto meccanico

rasègusch                      segatura

cornu                             materia per lavorazioni in

                                       osso o corno

zar/zol                          acciaio per balestre

fèr                                  ferro

bronz                             bronzo per frizioni

téra crèa                       argilla per mattoni

caminon                        ciminiera

zinton                            cinghia per trasmissine di moto      €                          

ul rasèghin                    seghetto per ferro                                                                                                 

fèr du l’aqua              leva per avviare una macchina

                                   ricordo di quando il moto era

                                   prelevato dal mulino ad acqua

martèll                        martello

scupèll                        scalpello

incugin                        incudine

ténaia                          tenaglia

casciavid                      cacciavite

ciod                              chiodo

lévarin                          levachiodi

forgia                            forgia

pèsagreca                      pece grega

ul magutt                       il muratore

ul maistar                      il capo muratore

ul manuòl                      il manovale

a cazeula                       la cazzuola

ul fratazz                       dispensatore di malta

ul gabazz                       distributore di malta

ass  da pont                   assi per ponteggi

calcedrò                         calce idraulica

litta                                sabbia fine

gera                                ghiaia

gerett                              ghiaietto

sabia                               sabbia

ul baì                              il badile

ul picc                             il piccone

a scòla                            la scala

ul tècc                            il tetto

a pèscia                           abete inalberato sul tetto ad

                                        indicare la fine della costruzione

a quindisò                      la  quidicina /salario

a cotim                            a cottimo

a schiscèta                     recipiente per portare con

                                        se’ la colazione al lavoro

 

ul regiu’ e ul so laura’ – il padre e il suo lavoro

ul regiu’               il padre inteso come capo della famiglia

fa la legna           tagliare la legna nel bosco

a rèsega               la sega

ul sìgurin              la scure

i chigneu               i cunei per aprire la legna

a folcia                  la roncola

fa ul fin                  tagliare il fieno

a ranza                  la falce

ul cudé                  terminale di corno da appendere in vita, contenente una pietra dura, per ravvivare il tagliente

delle falce

a cud                    pietra per affilare

a masuria             piccola falce per rifinire

ball da fin              balle di fieno

car dul fin              carro per fieno

impigna’ ul fin      impilare il fieno schiacciandolo

a furca                   il tridente

ul furmenton         il granturco

sapà ul furmenton  zappare il campo di granturco

la leua                    la pannocchia

i fuiasch                le foglie che avvolgono la pannocchia

i mulasch             parte legnosa interna alla pannocchia

i barbìs                 pennacchio della pannocchia

sgrana’ ul furmenton   sgranare le pannocchie

magéng                 primo taglio del fieno

gustan                   secondo taglio

térzireu                  terzo taglio del fieno

quartireu              quarto taglio del fieno

paisan                   contadino

rud                        letame stallatico

stravachin dul rud   carro di letame

runca’                     strappare i ceppi

mungi                     mungere

lacc                        latte

vidèll                      vitello

vaca                        vacca

stala                       stalla

stabièll                   recinto per porci

purscèll                 maiale

cavrèta                  capretta

agnarin                  agnello

pégura                   pecora

puii                         polli

gaina                      gallina

”euv                        uova

purasitt                  pulcini

quindisò                salario

a cotim                  a cottimo

a schiscèta           recipiente per portare con sé il pranzo

ul dutur                il medico

a cumà                 la levatrice

asnin                     asino

caval                      cavallo

caval da tir            cavallo da lavoro

iu’                           dire “vai” al cavallo

l”eu/lèe                  dire “fermati” al cavallo

bìgio                         nome per cavallo

ul càr                       il carro

a stanga                  le stanghe per carro

balanzin                  soma

Si ringrazia per le fotografie Massimo Montagnoli

A funtana – Il lavatoio

a bügòo                  il bucato

i pagn                      i panni

a stanga di pagn   bastone da posare sulla schiena

                                 per portare a casa i panni lavati

préa                         appoggio per lavare i panni

saon                        sapone

liscìva                     saponaria

cavagn                    cesta per portare i panni

( per lavare le macchie più resistenti la buona massaia era solita

 portare con se’ il figlio piu’ piccolo per fargli fare pipi’ sulla macchia)

fonte immagini: foto di Francesco Carabelli c/o Osmate VA

ul disnà – il pasto

ul pancot                   la zuppa di pane

la pàparota               la zuppa di avanzi

pulenta e pucia       polenta e intingolo

a cazeula                   il bottaggio

a büséca                    la minestra di trippa

i oeuv in céraghin     le uova al tegame

i oeuv indürì               le uova sode

ris in cagnon              riso bianco al tegame

pasta e fasoeu           pasta e fagioli

rüsümäda                   uova sbattute con vino e zucchero

lac e vin                       latte e vino

broeud e vin               brodo e vino (come digestivo)

ris e lac                       riso e latte

quagiäa                      latte cagliato in casa (tipo joghurt)

quartireu                   quartirolo (formaggina casalinga)

furmagina                   formaggina molle

pantramvay                pane con uva ricordo del primo tram

salata                           insalata

cucümar sota sée      cetrioli sotto aceto

naranz                         arance (solo per Natale)(narang arab.)

lüganiga                      salsiccia (lucanica lat.)

pangiöld                      pane giallo

panmistu                    pane misto

michéta (caurin)        michetta detta anche cavourino perche’ dal

costo di una moneta di pochi centesimi

avente in effige Cavour

a cüsina – la cucina

fonte immagine: tornoincampagna.it

a stüa                               la stufa economica

ul canon da a stüa          la canna fumaria

a caldéra                          caldaia per l’acqua

ul furnu  da a stüa           il forno della stufa

i cérci                                i cerchi del piano di cottura

ul spurtèl                          lo sportello per introdurre legna

ul fér                                 ferro da stiro

a suprèsa                         ferro da stiro a carbonella

ul taul                               il tavolo molto grande per la

famiglia

a maséra                         la mamma intesa come reggitrice della

vita familiare e della casa

i padelit                            pentolini

i padèi                              le pentole

a caldérina                       pentolino con coperchio per il latte

ul parieu                           la pentola per la polenta in rame

ul caldär                           grossa pentola per far cuocere patate

sul camino, ma anche per fare il

candeggio casalingo delle tele grezze

a scéndra                         cenere della stufa o del camino serve

per il candeggio, per concime, per

essere sparsa sul ghiaccio per non

scivolare

i cadrégh                         le sedie

ul cadrégon                     il seggiolone per infante

ul scagn                           seggiolina

a muschireula                  cassetta con reticella per proteggere

dalle mosche formaggi e salumi

ul as dul lärd                    l’asse per sminuzzare il lardo

ul pésta lärd                     il pestacarne

ul curtèl                            il coltello

a furzélina                        la forchetta

ul cügiöo                          il cucchiaio

ul sidél                              il secchio per l’acqua, appeso presso

la porta, l’acqua si attingeva al pozzo

a cazéta                           mestolo per attingere l’acqua dal secchio

ul camin                           il camino

a cadéna                          catena centrale per appendere il

“parieu” della polenta

a möeuia                         le molle per i tizzoni

ul barnasc                       paletta per cenere

ul canèl dà a pulénta      bastone di legno ricurvo per mescolare

la polenta

a marnéta                         recipiente in legno per far riposare

la farina che sta lievitando

ul levòo                            farina lievitata da portare al forno

per cottura la brava massaia vi impri

meva il proprio segno di

riconoscimento ,ad esempio l’impronta

di una chiave (fam. Riganti)

baslot                             recipiente per vivande in cocci

minèstrina                     piccolo piatto fondo

tàzina                             scodella

chichéra                        scodella  per caffe’

cügiarin                         cucchiaino

zücur/zuquar                zucchero (la prima dizione fa più fino )

fiascu                           fiasco

bicér                            bicchiere

butiglia                        bottiglia

mantin                         tovagliolo

tuaia                            tovaglia

frégon                         strofinaccio

spazéta                       spazzola

lüstar                          lucido per scarpe

scua                           scopa

seur                            pavimento

scée ròsa                   pavimento in cotto striato e tinto

fréga’ ul seur              pulire il pavimento

i fèr                             ferri per maglia

ul cruscé                   uncino per ricamare

ricama’                       ricamare

laura’ a màia             fare lavori a maglia

scalfin                        rammendo per calza rinforzo punta o tacco

scurléra                     smagliatura di una calza

tira’ su i scurlér         rammendare

camisél                     gomitolo di lana

gügia                         ago

gügiòa                       ago infilato con cotone

grop                          nodo

gügit                         spilli

machina da cüsì       macchina da cucire

pedäl                         pedale della macchina da cucire

anda’ gio’ la zinta    sfilarsi della cinghia di trasmissione

tra pedale e macchina da cucire

boocia                     uovo di legno per rammendo

didòo                      ditale

patìn                       presine