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16° Dies Natalis di don Angelo Cassani – 2 dicembre 2006 – 2 dicembre 2022

Si ringrazia per le immagini la Fondazione don Angelo Cassani

Con don Angelo, va un pezzo della mia vita. Ho capito, vivendogli accanto nella quotidianità delle cose e degli avvenimenti che l’appartenenza religiosa, non può essere formale, ma è vita quotidiana, dove non necessariamente vi è bisogno di eroismo, ma è il misurarsi diuturno con una realtà alla quale devi dare una risposta da cristiano. Non si vivono due vite, una per la Chiesa ed una per il mondo. Si  vive una vita unica che rende testimonianza in modo naturale della preziosa eredità di fede dei tuoi maestri. Dove per maestri riconosci tutte le buone persone, partendo dai tuoi genitori, dalla maestra delle  elementari, dai professori a scuola, dai santi sacerdoti, da chi ti ha insegnato un lavoro;   coloro cioè che ti hanno educato e ti sono stati amorosamente vicino nella tua vita di famiglia, e  speri che a tua volta tu possa essere di aiuto per qualcuno, ma delicatamente senza la pretesa di esserlo per forza. Tutto questo puoi scoprire, se hai la fortuna, come è successo a me di vivere accanto a Don Angelo, perché ti accorgi che la motivazione della sua vita è l’appartenenza a Cristo ed alla Chiesa. E allora poi capire anche che il non ribellarsi alla malattia, come ha fatto lui e come ha aiutato tanti ad accettarsi malati, altro non è che la grande familiarità con Cristo Dio e uomo,  la cui natura umana  è passata attraverso la sofferenza del calvario, senza ribellione, elevando gli uomini tramite la croce alla dignità di figli di Dio. Ecco la preziosità della sua vita in mezzo a noi, ad indicarci sempre e costantemente il rispetto per il magistero della Chiesa che custodisce questi autentici insegnamenti e l’insistenza nell’affidarci alla Madonna come via sicura ed aiuto per la nostra salvezza.

Per don Angelo che ci è stato padre spirituale, m’è caro ricordare un passo dell’ecclesiastico che parla dell’educazione dei figli e recita”

Morto il padre

Non pare neppure ch’ei sia scomparso

Poiché ha lasciato dietro di sé

Un figlio che gli somiglia

 

E potremmo ben pensare di essere sui figli spirituali

Mi chiedo quale importanza abbia avuto l’incontro con Don Angelo e penso che esso sia valso a riscoprire ed a rinnovare l’entusiasmo della mia vita cristiana. Lui avrebbe detto: quel gusto di vita nuova. Più volte infatti, prima di incontrarlo, mi ero chiesto se con il diventare adulto non si fosse stemperata la mia natura di cristiano, nel mare immenso delle cose da fare, la vita di famiglia, l’impegno costante nella educazione dei figli. Ecco ebbene tornare a riconoscere la presenza di Gesù nella tua vita quotidiana tutto questo è stato merito di Don Angelo. Perché la vita del cristiano non è la vita del musone, dello scettico, ma è la vita di uno che sta nel mondo, ma non è del mondo, che è amico, è compagno di strada, ma non è compagno di baldoria, sa anche correggerti e non ha paura di perdere la tua amicizia se questo vuol dire scendere a compromessi con le proprie idee. Vi è un momento interessante che è la testimonianza, che devi rendere ai tuoi principi cristiani e questo a costo delle tua convenienza. Ho imparato  questo anche dalla conversazione con Don Angelo, che se operi del bene, non lo fai per un ritorno, anzi molte volte coloro che tu hai aiutato sembrano irriconoscenti, ed allora soffri, ma capisci che li sta la bellezza dell’essere cristiano, perché a tua volta, senza accorgerti puoi essere irriconoscente e fare soffrire qualcuno, ma vi é come una circolazione nelle opere buone, perché riceverai del bene da persone che neanche te lo immaginavi e allora capisci che il cristianesimo ha trasformato il mondo e lo Spirito Santo vive nella Chiesa che è fatta di uomini. Ecco don Angelo mi ha fatto riflettere sugli gli episodi che avvengono intorno a te che ti sei sempre ritenuto un uomo razionale, che vogliono essere letti alla luce di una trascendenza che non è irrazionale, è compatibile con la razionalità ma la supera. Ricordo che quando ci si addentrava in speculazioni che paiono superare le nostre stesse possibilità cognitive un altro don altrettanto importante per me, don Carlo Costamagna, compagno di seminario di don Giussani, era solito affermare, che non ci si preoccupasse perché a tutti i nostri dubbi  la chiesa aveva già dato risposta. Si perché initium Sapientiae timor Domini. Ciò che valeva per i nostri vecchi vale anche per noi. Potrai essere anche diventato ricco o sapiente nel senso degli uomini, ma se perdi la fede in Dio che sapiente saresti? Del resto quando guardi Papa Ratzinger immediatamente capisci tutto questo, esso è l’intelligenza personificata, la semplicità ma è anche l’uomo di fede e quindi tutte le persone che vogliono sbeffeggiarlo, fanno solo ridere e piangere nel contempo sulla loro pochezza paludata di volgare saccenza.

Ma in cosa si era distinto Don Angelo è sicuramente una bella domanda che richiede  una meditata risposta.

Era un uomo estremamente colto e come tale sicuramente desideroso di testimoniare il cristianesimo nella sua attualità, in un mondo che solo in apparenza pareva essere lontano da Dio. Un mondo che era passato da una profonda religiosità, subito dopo la guerra a una profonda crisi, in quella parte del mondo dove proprio erano stati  sconfitti paradossalmente tutti i portati della guerra, la miseria in primis.

Una società benestante si era affacciata alla vita e lentamente si stava allontanando dai valori cristiani che per millenni avevano indirizzato l’umanità dell’occidente, fino ad arrivare all’attuale rifiuto delle radici cristiane dell’Europa. Supportata in ciò da quel relativismo filosofico che comunque era frutto dell’ateismo scientifico di radice marxista che aveva fatto breccia anche presso i cristiani. Sono profonde ferite, delle quali ti accorgi anche presso le nostre piccole comunità. Il dubbio sistematico che filtra anche nelle nostre riunioni, non capisci se per mero spirito di polemica, di falsa saccenza o se condiviso realmente. E’ chiaro che questa specie di scetticismo può arrivare a considerare l’appartenenza quasi una convenienza ad appartenere, più che una convinzione. Tutte quelle letture, ma anche programmi televisivi, che ad occhi non sufficientemente preparati, paiono mettere in crisi la radici stesse della nostra fede hanno accoglienza attenta presso i nostri. Letture che raramente vengono sottoposte  ad un giudizio, che richiederebbe una spiegazione, un giudizio critico ed una confutazione, sono solo timidamente segnalate e passano nella convinzione della gente, come se i credenti fossero dei minus habens, cioè dei poveri ignoranti. L’essere sempre scettici, da parte di alcuni era sicuramente fonte per Don Angelo di molte sofferenze. Ma egli si rendeva conto e ci insegnava che lo scetticismo ed il relativismo, così come la possibile deriva di  strumentalizzazione del cristianesimo erano le cose più dannose se tollerate, ed egli infatti non le tollerava .

Ecco allora che l’appartenenza agli organi consultivi della piccola chiesa locale era per lui occasione di insegnamento, infatti faceva precedere sempre ad ogni riunione una aspetto catechetico. Che, con l’andar dei giorni, finiva col far maturare nella comunione della conoscenza, le persone chiamate a svolgere questi compiti. Era una maturazione che fu assai difficile raggiungere, in prima istanza, perché tali organi venivano perlopiù interpretati come un piccolo parlamento. Dove l’arricchimento e la maturazione comune erano postposte alla necessità di sentire accolte le proprie idee. E quindi non poche persone si erano allontanate per mancanza di condivisione. Ma altre si avvicinavano e così la vita di questa piccola chiesa si arricchiva. Ma ciò che più rendeva completi era quel vivere in armonia tra noi, che ci faceva sentire e gustare veramente il senso di appartenenza a Cristo ed alla Chiesa, lontani anni luce dal desiderio di prevalenza. La vita di un sacerdote è così preziosa che è un dono ed un onore  veramente poterla accompagnare anche per un breve tratto di strada. E ti accorgi di tutte le attenzioni che esso versa sugli altri e verso i malati per primi e verso coloro che sono stati meno fortunati. Per Don Angelo la persona conta per ciò che è non per ciò che fa, in ognuno si intuisce il volto di Cristo e a lui non deve mancare la certezza di una attenzione particolare.

Egli ci aveva fatto capire che la vita tra cristiani doveva ispirarsi alla vita di Cristo, dove amore doveva regnare fra tutti noi, stima e aiuto fraterno.

Ecco se raffronto questo insegnamento agli ultimi periodi della vita di don Angelo ringrazio ancora Iddio di avermelo fatto incontrare, perché mi ha fatto capire con la sua testimonianza tutto questo. Il sacerdote che vive con la sua gente lo devi vedere come colui che compie un cammino con te e quando gli viene meno la salute, si fa malfermo esso è ancora tuo padre, spirituale, è colui che testimonia in modo diverso ciò che ha sempre testimoniato nella efficienza della sua vita. Come appaiono strani e lontani gli inviti di coloro che conoscendo la tua posizione nella parrocchia, ti invitano a preoccuparti perché un sacerdote più giovane possa prenderne il posto. Forse perchè ti da fastidio raffrontarti con la sua malattia, forse perché ti da fastidio che alcune, brave persone si occupino della sua sofferenza, e lo aiutino ad accogliersi malato, come lui aveva aiutato tanti altri ad accogliersi malati e a condurli al grande incontro senza ombra di disperazione, ma con un filo di tristezza, quella sì, perché questa certamente è veramente nella natura dell’uomo. Lo vai ad incontrare e vedi che il Crocefisso gli è di fronte, costante riferimento alla sua meditazione ed aiuto nell’affrontare dolori insopportabili. E preghi con lui perchè questa sua sofferenza sia di merito a tutti noi. E la chiesa in quella piccola ma accogliente casa, che è più consona alla sua capacità limitata di movimento è viva come ed anche più di prima, quando era nel pieno vigore delle forze.  Quella messa del suo anniversario condotta e concelebrata da un sacerdote nigeriano e lui al centro della mensa, sulla carrozzella è forse per me la grande rivelazione della sua immensa fede e ti rendi consapevole che Cristo e lì presente nella transustanziazione, in un una Chiesa che afferma la sua universalità tra passato e presente, dove i nuovi cristiani aiutano ed insegnano ai vecchi, il tutto in una gioia che il mondo non capirebbe se non conoscesse il miracolo della universalità della Chiesa e della comunione dei santi. 

Caro Don Angelo ripenso alle conversazioni che spaziavano sulla nostra vita di cristiani che non si negano al mondo. Un mondo fatto di carne, di dolori, di gioie ma sempre con la presenza di Cristo, che si è fatto uomo per condividere con gli uomini la loro esistenza e guidarli. E quanti campioni di cristianesimo additavi alla nostra attenzione. Come appariva lontano da te e da noi quel fare per fare, che non significava nulla se poi perdi la ragione stessa della tua fede. Quante sofferenze accoglievi e portavi su di te e raccomandavi alla preghiera, nulla di quello che vedevamo fare era  dovuto, ma tutto era  richiesto dall’amore che portavi a Cristo, ed alla sua Mamma.

Certo ora mi rivolgo a te caro amico perchè tu possa aiutarci con le tue preghiere e con la tua guida.

Ma ho  capito nel prosieguo dei giorni e grazie a ciò che accade, rifacendomi ai molti colloqui intercorsi, molte cose. Quante volte il cristiano che sta facendo un percorso di sincerità viene fatto oggetto di odio, la scelta del cristiano è diuturna e quotidiana, non è legata ad una particolare situazione sociale ed economica o di stato, non vi è, come non può esserci, una posizione sociale privilegiata per essere cristiani, e qui animati da una comune ammirazione per il Manzoni avevamo riletto un passo dei Promessi sposi che parla del Cardinale Federico ”Tra gli agi e le pompe badò, dico, a quelle parole, d’abnegazione e d’umiltà, a quelle massime intorno alla vanità de’ piaceri, all’ingiustizia dell’orgoglio, alla vera dignità e a’ veri beni, che sentite o non sentite né cuori, vengono trasmesse da una generazione all’altra, nel più elementare insegnamento della religione. Badò dico a quelle parole, vide che non potevan dunque essere vere altre parole e altre massime opposte, che pure si trasmettono di generazione in generazione, con la stessa sicurezza e talora dalle stesse labbra e propose di prender norma dell’azione e dè pensieri quelle che erano il vero. Persuaso che la vita non è già destinata ad essere un peso per molti e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego, del quale ognuno renderà conto” (Cap XXI).

Una delle continue preoccupazioni di don Angelo era quella che lui definiva la reattività. Non capivo bene il concetto ma in effetti, tradotto in pratica voleva semplicemente dire, anche se dall’esempio dei miei familiari avevo sempre ritenuto che non bisognava essere doppi, che bisognava testimoniare con il proprio sacrificio quello in cui si crede. Perciò a costo di sembrare superbo avevo sempre tenuto a difendere le mie idee, anche se  questo poteva significare di inimicarmi alcune persone, non avevo mai avuto necessità di ingraziarmi qualcuno per avere dei vantaggi economici o di carriera, perché economicamente sono sempre stato autonomo, quindi mi sentivo libero nei miei giudizi ed anche nei miei comportamenti. Ma la libertà era comunque temperata da una educazione ricevuta dai miei genitori che mi hanno sempre insegnato a non abusarne.

Anche se ritengo che la libertà dalla necessità dipenda anche dagli obbiettivi che uno si pone. Se infatti gli obbiettivi sono sempre superiori alle proprie capacità, si arrischia di diventare schiavi delle proprie scelte. L’ educazione che ci era stata impartita, molto ricca di autocontrollo, anche attraverso le frequentazioni che erano del tutto naturali, l’oratorio, gli amici, il mondo che ci appariva nella sua immensa bellezza e tutto da scoprire, sempre nuovo e rinnovante gioia ad ogni novità .

La  prima volta, riempie sempre il cuore e offre una sensazione di pienezza e di leggerezza. Ricordo il primo volo e la soddisfazione di raccontarlo agli amici. Ad un certo punto ti accorgi che sei solo che vorresti condividere con qualcuno il tuo mondo e cerchi una ragazza. Vorresti fare dei progetti con lei. E allora diventi irrequieto, perché non ti trovi più bene dove stai, vorresti essere dove non sei, vorresti che quella persona che ti ha colpito si accorgesse di te, ma non è facile E’ forse arrivato il momento di buttarti, ma è molto difficile rompere il ghiaccio. E allora preghi e ti affidi al Signore: benedetto l’uomo che teme il Signore e va per le sue vie, te felice , bene avrai  e tua moglie vite ferace per entro la tua casa; così recita la Bibbia, e questo non può che non apparirti come una promessa. E cosi anche se picchi nasate, non disperi ed impari ad essere paziente perché la promessa, quando meno te lo aspetti, si realizzerà. E allora con la persona che conoscerai farai dei progetti assieme e cercherai di essere autentico e imparerai a non anteporre te a lei. E queste emozioni, le vivi intensamente e diventando più maturo quando la tua casa comincia finalmente a ridiventare una famiglia, perché ti sei sposato e sono arrivati i figli, rivivi le stesse emozioni che leggi nello stupore dei tuoi figli di fronte alla novità delle cose che per te erano diventate abitudinarie. Che il Cristiano, cosi come preannunciato nel Vangelo, per imperscrutabili motivi viene fatto oggetto di avversioni, cattiverie, che molte volte vengono costruite ad arte. E’ così che il cristiano condivide la stessa sofferenza di Cristo, di quella croce, per lui che era  innocente e falsamente accusato, ma cosa ci insegna ciò se non il perdono. Per noi invece di perdonare i detrattori, è assai più immediato reagire ed  in sostanza applicare un modo di fare umano ma non illuminato all’invito al comandamento dell’amore. Ecco dalla naturale reattività egli ci aveva portato poco alla volta alla bellezza del perdono ed all’amore nel nome di Cristo riconoscendo con stupore negli altri quel volto di Cristo, che Don Angelo aveva incontrato e che voleva fermamente che anche noi incontrassimo e riconoscessimo.

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La chiesa di San Giorgio in Jerago

Note introduttive per una Storia di un recupero

Nell’accingermi a raccogliere queste note che vorrei organizzare in un libro, mi è caro rivolgere un doveroso ricordo e ringraziamento, che vorrei condividere con tutta la comunità di Jerago, a don Angelo Cassani, perché senza la sua volontà, il suo impegno e la sua determinazione, non potremmo raccontare nulla di quanto ci accingiamo a descrivere, perché tutto quanto oggi vediamo mirabilmente recuperato, in San Giorgio restaurata,  avrebbe seguito il suo destino di rovina sempre più degradante, fino a quando una ordinanza di un sindaco non avesse posto fine, a quella storia che si è rivelata millenaria.

San Giorgio rappresenta una pietra viva per la nostra comunità: essa racchiude, ed i sondaggi archeologici lo hanno rivelato, anche la primitiva chiesa elevata dalla nostra comunità. Preservare la nostra memoria storica rappresenta un atto di amore verso la comunità dove si vive e si opera. Comunità che si integra nel rispetto e nella condivisione delle sue origini cristiane, che oggi scientificamente possiamo stimare risalenti almeno al VII sec .

 Se penso a tutte le questioni che si sono dovute affrontare, ai mugugni da parte di chi, anche citando autori autorevoli, ma di diverso avviso, avrebbe preferito non fare o fare altro, ai dubbi, agli ostacoli superati, il poter oggi ammirare ciò che è stato recuperato, non può che riservarci una grande gioia .

A chi, paventando il costo dell’operazione, suggeriva come ultima critica, l’esistenza di monumenti ben più degni di attenzione, che pure andavano in malora,  citandomi ad esempio la cattedrale di Noto, con orgoglio voglio rispondere, che queste sono le memorie  che i nostri vecchi ci hanno consegnate e queste noi desideriamo tramandare ai nostri figli, perché meditando su di esse possano provare le stesse emozioni che noi abbiamo avuto la fortuna di provare.

Scheda di scavo della chiesa di S. Giorgio di Jerago

Pubblicato su Un Popolo in Cammino – Novembre 2005

Di seguito si pubblica il  fondamentale documento della Sovrintendenza Archeologica della Lombardia, col quale la Dottoressa Maria Adelaide Binaghi, dà notizia ufficiale dei ritrovamento dell’abside della vecchia chiesa di San Giorgio ed offre il supporto scientifico agli studi sulla romanicità della chiesa, precedentemente indicati. Purtroppo anche la Dottoressa Binaghi, cui va il nostro grato ricordo, è prematuramente scomparsa in un incidente di montagna nel mese di agosto dell’anno 2004.

Nel Notiziario della Sovraintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia

(anno 1999-2000) è apparsa la:

pubblicazione della scheda di scavo della chiesa di S.Giorgio di Jerago, redatta dalla Dott.ssa  M. A. Binaghi.

 

Jerago con Orago (Va)

Chiesa di San Giorgio

Indagine archeologica

 

All’interno delle opere di ripristino e restauro finalizzate al recupero funzionale della dimessa chiesa parrocchiale dedicata a S. Giorgio, nel 1977 il controllo delle fasi di asportazione della vecchia pavimentazione interna, ha permesso di individuare le fondazioni murarie ed i relativi tratti pavimentali di un emiciclo absidale, relativo ad un precedente edificio di culto di più modeste dimensioni.

L’emiciclo, (diametro esterno 5,50; interno m.3,40) conteneva centralmente la base di un piccolo altare murario (m.0,77x 0,55) con esiguo vano interno, vuoto al momento del rinvenimento.

E’ possibile che la piccola chiesa sia ascrivibile ad età altomedievale ( sec VII-IX) e che preceda una sua ricostruzione ampliata d’età romanica, attestata oggi dal campanile e da alcuni tratti murari superstiti, inglobati nell’odierno terzo edificio cinque-seicentesco.

Sono stati recuperati numerosi lacerti di intonaco affrescato, stilisticamente assegnabili tra la fine del  XIV secolo, relativi ad una fase recente della chiesa romanica e spianati con le macerie a sottofondo del primo pavimento della terza chiesa di S. Giorgio.

Un secondo intervento archeologico è stato intrapreso nel 2000 all’interno della cappella battesimale, sita a nord della terza campata dell’ala attuale, in concomitanza alle opere di ripristino e rifacimento della pavimentazione.

L’indagine, pur non avendo potuto esaurire il deposito antropizzato giacente in situ, ha permesso tuttavia di documentare l’intera sequenza delle fasi di pavimentazione dell’edificio.

La fase più antica è relativa all’utilizzo dell’area cimiteriale aperta, ubicata nell’adiacenza N della chiesa, probabilmente utilizzata a partire dall’età medievale.

Ad un fase tardo medievale (sec XIV ) è ascrivibile l’impianto della cappella battesimale quadrangolare a nord  della  prima campata della chiesa romanica, con pavimentazione in lastre litiche ed al centro la base interrata del piedistallo della vasca battesimale sopraelevata. Nella prima metà del sec XV si ha la prima decorazione parietale interna (campiture a losanga in tecnica graffita), mentre si struttura un nuovo pavimento in limo e calce, il cui strato organico carbonioso ha restituito frammenti di lampada vitrea pensile.

La nuova decorazione interna, ad affresco, risulta coeva all’esecuzione della terza pavimentazione in malta coperta da sottile cocciopesto (prima metà del XVII) in seguito regolarizzata con successivi apporti finalizzati a mantenere la regolarità del piano, reso irregolare dai progressivi collassamenti causati verosimilmente dai vuoti delle sottostanti sepolture del cimitero medievale.

firmato

Maria Adelaide Binaghii  Leva

 

L’intervento è stato diretto da M. A. Binaghi  e curato da R. Mella Pariani – Società di Archeologia – Milano

 Nota di A Carabelli

 

Quanto sopra dà il suggello scientifico a tutto il lavoro di ricerche che ha permesso di segnalare già molto prima di queste indagini, seppur a livello ipotetico, quanto è poi stato verificato e confermato. Testimonianza  di ciò sono tutti gli articoli pubblicati prima della conferma di questa scheda. Lo scopo di quelle pubblicazioni  era quello di spiegare il motivo per il quale la parrocchia si stava impegnando in quel ripristino, aprendo una finestra sul periodo altomedievale, vissuto della nostra comunità parrocchiale.

La salvaguardia del campanile e della chiesa antica di San Giorgio rappresenta il più grande recupero della testimonianza della antica fede cristiana delle nostre genti e  sono  lieto per questa importante conferma della  lungimiranza di Don Angelo Cassani  che  di quegli interventi é stato fautore.

Un commosso ricordo va a Carlo Mastorgio , jeraghese studioso insigne della storia del Seprio, che, con la sua autorevolezza di esperto, per primo, durante le sue visite al cantiere per il restauro del campanile confermò, con meraviglia sua, le ipotesi di romanicità della struttura, riassumendole in un bellissimo articolo pubblicato sull’opuscolo di corredo alla inaugurazione.

(Non sfugga che l’opinione corrente al tempo era che il campanile fosse stato completamente ricostruito nel 1820 E. Cazzani).

Altrettanto commosso ricordo va alla dottoressa Maria Adelaide Binaghi, Sovraintendente archeologica della Lombardia, prematuramente scomparsa nell’agosto del 2004, che ha seguito sempre con vivo interesse e rigore scientifico gli studi archeologici sulla nostra chiesa, partecipando con grande disponibilità personale alla conferenza di inaugurazione dei lavori di restauro della chiesa di S. Giorgio.

Terra arte radici – allocuzione di Anselmo Carabelli – 21 aprile 2007

È motivo di intensa commozione per me aggiungere il mio contributo a questo tema di ”memoria e passione sulle tracce della nostra storia” dopo gli interventi della dott. sa Alpago Novello Ferrerio e del sig. Zaffaroni, che sì esemplarmente hanno contribuito nella pratica alla conservazione ed alla ricollocazione  scientifica di molte vestigia delle nostre origini.

Non a caso è in questa aula, che fu chiesa di San Giorgio che si tiene questo incontro di presentazione. Perché essa, così come voi potete osservare, tanto bella ed accogliente è la realizzazione di un sogno, il sogno di Don Angelo Cassani che volle, che dal rudere che ormai era diventata, questa chiesa tornasse a rivivere nel suo splendore, testimonianza evidente ed inequivocabile della fede cristiana delle popolazioni che ci hanno preceduto.  E fu proprio nel portare a compimento questa opera che si misurarono l’esperienza ed il contributo di tanti amici e studiosi tra  quali, alcuni seppur molto giovani non sono più tra noi. Ricordo con riconoscenza lo stesso Don Angelo mancato recentemente, cui va tutta  la nostra gratitudine per questa grande opera. Ricordo Carlo Mastorgio,  primo ad offrire un supporto scientifico al lavoro di recupero immenso che qui si stava svolgendo, autenticando la romanicità del campanile, che lui aveva riconosciuta attraverso gli elementi di reimpiego romani, da lui  rinvenuti e mappati ai diversi piani delle campiture del campanile. Carlo volle certificare in un suo scritto la retrodatazione al X  secolo di questo manufatto. E con  la sua autorevolezza potè tacitare tutti coloro, che rimproveravano severamente chi con il restauro aveva consentito di spendere soldi per recuperare un campanile che era ritenuto dai più integralmente ricostruito nel 1820. Ricordo di essere salito con Carlo Mastorgio e con Zaffaroni sulle impalcature che ci portavano a ridosso della volta. Mentre Carlo complimentandosi si rallegrava per quei lavori e per la lungimiranza di Don Angelo, ci ricordava con orrore di quando, era stata richiesta la sua opera per sollecitare dalla sovrintendenza il placet per l’abbattimento (naturalmente ottenendo un suo rifiuto alla collaborazione per tale ufficio) Mi avrebbero dato una medaglia al valore ci disse se solo ci fossi riuscito. Questa citazione ricordo per rammentare ai più giovani il clima di disprezzo,intorno agli anni sessanta, per tutto ciò che aveva il difetto di ricordaci il passato.

Ma non possiamo dimenticare l’opera della dottoressa Maria Adelaide Binaghi-Leva, Sovrintendente archeologica per la Lombardia cui si deve, la ricognizione archeologica su quelli che, accidentalmente rinvenuti, ma preconizzati sia da chi vi parla che da Mastorgio, verranno scientificamente riconosciuti come l’abside e l’altare della primitiva chiesa datata dal VII sec. Vestigia, che data la posizione, sotto il transetto attuale, dovevano appartenere alla chiesa originaria di San Giorgio, la cui dedicazione al santo guerriero doveva essere ben cara ai Longobardi,  presenti in Arsago, dalla cui pieve dipendeva Allierago prima del X Sec.

Cio´che mi preme evidenziare, è che da un intervento nascono tutta una serie di interessi che riescono a ravvivare la vivacità culturale di un popolo che indaga la propria storia. Domande alle quali possiamo portare debitamente guidati i nostri figli, i quali si accorgono di un passato che riemerge vivissimo per chi sappia leggere.

Materiale romano di reimpiego, persino simboli apotropaici pagani, tracce di una chiesa primitiva sicura testimonianza di una cristianizzazione di VI e VII sec che comunque ci fanno spingere a riconoscere lo stretto legame con Arsago e i suoi Monumenti Cristiani, con le tracce longobarde

La collaborazione tra diverse persone e tra diverse discipline ha aperto per il nostro paese una finestra sul periodo altomedievale, partendo da osservazioni che si focalizzano proprio in questa chiesa  ipotesi, non campate per aria, portano a fatti concreti. E poiché la storia di questi restauri e di queste attenzioni, non è un unicum, ma si potrebbe ripetere in realtà similari limitrofe.

Chiesa di San Giorgio restaurata

ricostruzione – disegno di Armando Vanzini

L’edificio, già chiesa parrocchiale di Jerago dismessa al culto verso il 1925, è stato completamente restaurato e salvato da sicura distruzione per la lungimiranza del parroco Don Angelo Cassani, recentemente scomparso.

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I lavori iniziati nel 1993 col recupero del Campanile rilevatosi romanico, databile X-XII sec, sono poi proseguiti col ripristino dell’aula e della cappella del Battistero.

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La chiesa come appare attualmente è il frutto di successivi ampliamenti ed adeguamenti. Si apprezzano una prima fase romanica, Campanile e tratti murari romanici X-XII sec. inglobati nell’edificio cinque-seicentesco. Alla fase tardo medievale XIV sec  è ascrivibile la cappella battesimale quadrangolare  con decorazione parietale con campiture a losanga in tecnica graffita del XV, la cui decorazione pittorica è attribuibile al XVII . Nella chiesa l’ampliamento settecentesco e’ evidenziato dal sopralzo del campanile e dal sopralzo dell’intera struttura, sostanzialmente rimanendo inalterati i perimetri nord e sud con modifica della facciata poi abbattuta per far luogo all’ultimo ampliameto del 1885. Di questo si vedono la nuova abside, ancora in mattoni grezzi, l’allungamento verso ovest con la creazione di due vani oltre la cappella battesimale, che consentono due piccoli matronei e palco per cantoria e organo sopra l’ ingresso principale. Mancano per l’osservatore la scalinata di accesso centrale e il portone di ingresso del 1885, eliminati verso il 1940 per motivi di viabilità. Le indagini archeologiche hanno confermato fondazione murarie relative ad edificio di culto antecedente al romanico, piu modesto di fase altomedievale VII-IX .

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Ceramica di Cristo Risorto- Battistero

foto di Francesco Carabelli

Testo a cura di don Remo Ciapparella tratto da “Camminiamo Insieme” – novembre 2020

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Dono della Fondazione don Angelo Cassani a don Remo per aver sempre sostenuto e incoraggiato la loro esperienza di Comunione e di Chiesa.

Da quando don Remo è con noi, non ha mai mancato di apprezzare le iniziative promosse in memoria commovente della persona di don Angelo che si è immolato per la nostra Parrocchia di Jerago in anni grevi di difficoltà per motivi di salute e sociali.

Don Angelo veniva da Milano in serie condizioni di salute dopo esser stato aggredito dalle Brigate Rosse che gli hanno causato parecchi giorni di coma.

Un campione che Jerago ha sempre saputo apprezzare soprattutto negli ultimi anni, messo fuori condizione da una seria malattia che l’avrebbe condotto alla morte.

La ceramica, dopo anni di progettazione, va a decorare la parete spoglia del battistero. Da tempo avevamo in cuore di rendere importante l’antico fonte battesimale che ha donato alla chiesa locale generazione di cristiani.

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Preghiera per don Angelo (scritta da don Franco Rustighini)

“Alla vigilia del suo funerale, ho telefonato in parrocchia e mi è stato chiesto se dicevo, un pensiero, una preghiera, alla soste della chiesetta di S. Rocco, prima di giungere al cimitero (il giorno del suo funerale -ndr)

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     Alla sera ho scritto questa preghiera:

O Signore,

tu hai dato al nostro Don Angelo

un cuore sapiente, pronto a interpretare in

ogni avvenimento, l’espressione della tua volontà.

Un cuore nuovo, per la viva presenza dello Spirito

e mite, nelle manifestazioni affettuose

coi bambini e anziani.

Un cuore semplice, che non ha mai cercato

I primi posti o avanzato pretese;

Un cuore puro nella limpidezza delle relazioni

cordiali, sincere, ricche di calore umano.

O Signore,

hai donato al nostro Don Angelo  

un cuore forte che ha saputo affrontare

i difficili passaggi della solitudine

e dell’incomprensione;

un cuore vigilante, sempre orientato verso di te,

nelle gioie e consolazioni,

nelle amarezze e nelle sofferenze.

Gli hai dato un cuore generoso,

nel predisporre tanti servizi alla comunità,

senza farsi notare.

Un cuore intraprendente,

perché l’educazione umana e religiosa

avesse le strutture opportune.

Ogni sua opera aveva un unico grande fine:

“ Tutto per la gloria di Dio”.

Il nostro grazie, o Signore, è piccolo

Ma con l’Eucaristia diventa sconfinato.

E il dono che ci hai fatto

nella sua persona esile e grande,

noi lo restituiamo a te, che come Padre attendi il ritorno dei tuoi figli,

nella comunione dei santi. Amen.”

ndr- La preghiera è stata pubblicata sul numero di gennaio 2007 dell’informatore parrocchiale Un popolo in cammino

ATTO DI CONSACRAZIONE DELLA NOSTRA VITA A CRISTO – dagli scritti di Don Angelo Cassani in occasione del suo XV° Dies Natalis – 2 Dicembre 2021

ATTRAVERSO MARIA PERCHE’ LA CHIESA

DIVENTI SORGENTE DI VITA NUOVA

PER TUTTI GLI UOMINI

fonte immagine: parrocchiasangiorgio.it

MARIA.

Tu sei la madre di Cristo

Madre della Comunione che 

Tuo Figlio ci dà,

come dono 

sempre nuovo e potente

che è gusto di vita nuova.

Attraverso di Te perciò noi

Consacriamo tutto noi stessi, 

tutte le sofferenze che Tuo Figlio

sceglie per noi e la nostra

stessa vita, affinché Tu diventi 

la Madre della vita e Cristo

doni a tutti gli uomini

lo stesso gusto di vita nuova

che ha donato a noi.

AMEN

Premessa ad una raccolta di studi sul Campanile e sulla Chiesa  restaurata di San Giorgio in Jerago 

(testo di Anselmo Carabelli)

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Fin da  studente, ho sempre nutrito interesse verso le ricerche di storia locale antica, in particolare per l’attenzione verso queste discipline suscitatami da un indimenticabile insegnante del Liceo Statale di Busto: il Professor Don Carlo Costamagna.[1]

Grazie poi alla cortesia di Don Luigi Mauri, parroco di Jerago, ho potuto anche consultare l’Archivio Parrocchiale quando ancora era sito nella demolita canonica. Lo stesso archivio, fu poi riordinato da Monsignor Eugenio Cazzani per interessamento di don Luigi e di Monsignor Francesco Delpini,  dotandolo di regesto, estremamente utile per qualsiasi studio mirato[2].

Ovviamente le necessità della vita quotidiana, accostandomi agli studi economici aziendali ed alle relative conseguenti attività, mi avevano fatto relegare negli interessi dimenticati tutte quelle prime ricerche.  Ma a conferma che sono sempre stati gli uomini di Chiesa a custodire e a suscitare interesse per la storia e per l’arte, l’incontro con don Angelo Cassani, successore di Don Luigi Mauri  mi ha riavvicinato  a quegli studi rinverdendo quella passione che credevo ormai di aver accantonata. Don Angelo mosso da grande amore, per la nostra storia, nel corso dei lavori per ridare voce alle campane del nostro borgo, che da troppo tempo rimanevano mute per inagibilità del campanile,  intuì che il campanile fosse assai antico e testimone sicuro, quanto ignorato, della millenaria fede cristiana delle nostre genti.  Affrontò con successo un’opera, da tutti ritenuta impossibile, il recupero della torre campanaria e del Complesso seicentesco della chiesa di san Giorgio,  quando ormai erano quasi ridotti a fatiscenti rovine. Grandissima l’emozione di constatare, nel corso del restauro, che la muratura del campanile ritenuta seicentesca, o addirittura ricostruita nel 1820, era invece millenaria e di una imponenza tale da fare intuire la presenza di un borgo antico assai numeroso. Iniziavo così, accogliendo l’invito di don Angelo una serie studi per supporto e  documentazione di quella impresa diffusi con scritti apparsi nel bollettino parrocchiale. Studi che oggi vorrei ripubblicare con maggiore precisione e compiutezza, anche come sincero grazie all’infaticabile opera di Don Angelo. Mi sono pure accorto come tanto interesse potesse indurre sofferenza, allorquando nascono divergenze, tra chi osserva professionalmente un monumento e vuole un restauro conservativo, e chi lo osserva in funzione didattica e storica, muovendo dal desiderio che le testimonianze di un passato, per essere riconosciute e rispettate, debbano anche essere leggibili, negli stessi parametri murari. Ne consegue che all’osservatore, debitamente guidato, deve essere  permesso di risalire in una visita alla nostra chiesa: dalla primitiva costruzione romanica, a San Carlo, al periodo Austro-ungarico, alla prima industrializzazione, ai nostri giorni e tutto questo senza affaticarsi in estenuanti ricerche di archivio o ricercando in poderosi volumi, con il risultato di perdersi. L’osservatore deve essere messo nella  condizione di emozionarsi al pensiero del muratore che con un colpo di cazzuola assestava quella pietra  alla base del campanile, che ancora  vedevamo, o stupire  della circostanza che affacciandosi ad una finestrella monofora del campanile in una ventosa e limpida giornata di febbraio, lo spettacolo delle Alpi è quello stesso che appariva a chi mille anni addietro si fosse trovato nella stesso luogo con la stessa luce. Il tempo quindi si poteva dilatare in un percorso a ritroso  che avvicina noi osservatori di oggi a quel muratore e quell’osservatore antichi per il tramite della comune fede cristiana.

Infatti solo un restauro che evidenziasse le varie fasi storiche del nostro monumento poteva meglio aiutare nell’opera di riconoscimento immediato delle nostre radici cristiane e della  vita medioevale del nostro borgo. L’entusiasmo di don Angelo coinvolse Carlo Mastorgio, che seppe individuare e mappare gli elementi inequivocabilmente romani presenti nel campanile, cosa che, come in altre realtà simili[3], ne avrebbe certificato la romanicità, pur in mancanza del dato archelogico. Questo fu inconfutabilmente individuato da Carlo in un elemento di suspensura[4] in cotto, tipico dell’ambiente di un calidarium romano, riusato come elemento decorativo nel parametro romanico del campanile.

Rilevata l’imponenza della costruzione millenaria Mastorgio volle anticipare, a conferma, il frutto di una sua laboriosa ricerca presso l’archivio capitolare del Duomo di Novara,  la notizia del ritrovamento, di un atto di permuta di terreni nel Seprio datato 976, che riportava la  presenza, come testimoni, di due individui: Taudalaberto ed Ato da Allierago. Poichè la potestà di testimoniare veniva attribuita solo a uomini liberi[5]; ne conseguiva che  nella  località medievale di Allierago- Jerago[6] doveva vivere  un congruo numero di famiglie legate all’attività di questi due personaggi. Una popolazione così numerosa da  giustificare la presenza di una Chiesa ed un Campanile di tale mole. Il Campanile lo avevamo ritrovato intatto e della antica Chiesa si vedevano alcuni parametri murari inclusi nei successivi ampliamenti.

Con un ulteriore intuizione e supporti di archivio, alla individuazione dei quali aveva già contribuito Mons. Cazzani, si poteva ricostruire la storia delle due Chiese antiche di Allierago San Giorgio e  San Giacomo, poi raggruppate nella comune parrocchia di San Giorgio [7].

Purtroppo Carlo Mastorgio, nonostante la giovane  età è venuto a mancare negli stessi giorni in cui la Sovraintendenza ritrovava l’antica abside della primitiva chiesa di san Giorgio, cioè quel supporto archeologico, che mancava a sigillo di quegli studi, ritrovata lì proprio dove assieme Don Angelo, Carlo Mastorgio e lo scrivente,  ritenevamo si celasse.

La miriade di documenti consultati e la frequentazione di Mastorgio, al quale chiedevo confronto su alcune mie ipotesi, mi aveva permesso di capire, che se lo studio di fatti antichi, era sicuramente affascinante, non era poi cosi urgente, soprattutto ora che la chiesa era stata salvata.  Rimane comunque la necessità di ordinare il materiale raccolto per facilitare il lavoro di chi volesse addentrarsi in uno studio aggiornato sulla storia alto-medioevale e romana dei nostri siti alle luce anche di queste nuove scoperte e di liberare il campo da interpretazioni azzardate precedenti a questi ritrovamenti.

[1] Egli soleva portare i suoi  allievi, in visita  alla Biblioteca Capitolare di San Giovanni in Busto, mostrando loro i preziosi Incunaboli  ed i codici miniati,  accompagnandoli anche  alle consuete visite alle città d’arte. Lui, di origine piemontese, si preoccupava di accostarli alla storia locale, si entusiasmava  in visita alla rovine di Casteseprio, a San Vittore ed al Battistero di Arsago, a Santa Maria Foris porta col suo ciclo di affreschi  inquadrando quei monumenti nelle vicende antiche del Seprio, con una passione ed una competenza raramente riscontrata in altri studiosi. E’ citato anche da Renato Farina  nel libro  “Luigi Giussani  un Caffè in compagnia”, pag. 53,  dove si legge: “Don Carlo Costamagna e don Luigi Giussani, preti milanesi, hanno diviso con l’arcivescovo di Bologna Enrico Manfredini gli anni di seminario …. costituendo negli anni 39-40 un gruppo di studi chiamato “studium Christi”,  pubblicando una rivista “Christus” dove Costamagna dice testualmente “ognuno sviluppava il tema secondo le proprie attitudini, chi artisticamente, chi letterrariamente, …. chi filosoficamente.” (n.d.r.: queste in nuce furono probabilmnete le radici di gioventù studentesca  prima e di Comunione e liberazione poi). Chi scrive infatti ricorda don Carlo responsabile in Busto di una iniziativa verso i giovani studenti che si chiamava raggio, tenuta presso Sedes Sapientiae e di aver partecipato su sua indicazione ad un raduno autunnale di GS  a Cattolica ed Urbino nel 1964- praticamente antesignano dell’attuale Meeting) .

[2] Regesto– elenco ordinato, per secoli ed argomenti del contenuto dei faldoni formanti l’archivio (i materiali versati all’archivio capitolare di Gallarate , sono contenuti nei faldoni in  fotocopia).

[3] La prassi vuole che negli edifici romanici databili da X. XI sec, siano sempre presenti elementi di recupero dalle preesistenti costruzioni romane.  Quali, ad esempio, monoliti con iscrizioni romane: come nel campanile di San Vittore di Arsago, o le Are romane  nel Campanile di Santa Eufemia ad Erba.

[4] Suspensura– trattasi di cilindro in terracotta rossa, tipo mattone circolare del diametro di 19 cm alto 12 cm che, con altri elementi simili messi in pila, consente la costruzione di una colonnina di 50 cm.  Per capirne la funzione bisogna riferirsi all’uso romano di riscaldare un ambiente in zone a clima freddo, come le nostre, o un bagno caldo (calidarium) in zone miti. Una stufa faceva passare aria calda in una intercapedine sottostante al piano di pavimento dell’ambiente da riscaldare. Il piano di calpiestio era sorretto da una selva di quelle colonnine disposte su linee geometriche ortogonali tali da permettere la sospensione dei mattoni formanti il pavimento, da cui il nome di pavimento in suspensura. Questi mattoni da noi prendono la dimensione del cosiddetto Luteziano (Lutaetia-Parigi  romana, nei cui scavi sono assai diffusi).  Molto più vicino si ritrovano numerosi nei parametri esterni della chiesa di Santo Stefano ubicata all’interno del cimitero di Oleggio (NO).

[5] Uomini liberi, per essere tali, secondo le regole del tempo, occorreva essere possessori di almeno 20.000 mq di terreno (cosa  assai poco comune all’epoca per degli uomini).

[6] Citato negli atti come luogo di provenienza dei due uomini liberi.

[7] In un capitolo successivo ci si addentrerà sulla questione della  appartenenza della chiesa di San Giacomo alla chiesa di San Giorgio, avvenuta per volontà di Federico Borromeo, tramite atto notarile, materia già trattata dal Cazzani, nel suo libro su Jerago.