Nel primo dopoguerra tutti i parrocchiani di San Giorgio dei quali abbiamo cercato di ricostruire le attività, l’ambiente e il modo di vivere, affrontarono il grande impegno della edificazione della nuova chiesa di San Giorgio affiancando Don Massimo Cervini. Tutti si gravarono con gioia dei numerosi sacrifici richiesti da quell’opera della quale andarono profondamente orgogliosi. Rimane una delle poche parrocchiali di nuova costruzione realizzate nel periodo fra le due guerre, altri paesi del circondario non ebbero la stessa grazia. Fu edificata dall’ impresa Bianchi e tutti gli artigiani del ferro, del legno, gli artisti, contribuirono ad abbellirla con le loro opere ed i parrocchiani parteciparono con offerte commisurate alle loro capacità. Grande gioia provarono nel contemplare l’affresco del Cristo in maestà, immenso sul catino absidale, nel vedere l’effigie del Papa Pio XI, del cardinal Schuster, di don Massimo, nel riconoscersi nei personaggi del popolo dipinto: una donna di spalle col suo bambino e i cappelli raccolti nel michin, i fabbriceri, i Confratelli, il baldacchino della Processione del Corpus Domini.
La nuova chiesa di San Giorgio- fonte immagine: parrocchiasangiorgio.it
Avevano imparato, da agricoltori, che Abele offriva a Dio i capi migliori del gregge. Ormai non erano più agricoltori, si erano trasformati in operai, in artigiani, in imprenditori, però non si sottrassero all’invito di don Massimo e mantennero fede agli insegnamenti dei padri nonostante quelli fossero gli anni della grande crisi del ’29. Perciò anche questa fase della vita civile moderna possiamo leggere in un monumento religioso, non diversamente dal come abbiamo potuto riconoscere le vicende della nostra comunità antica, leggendola nelle tracce degli ampliamenti successivi della vecchia chiesa di San Giorgio. Ritengo che, laddove manchino i testi o anche la sola possibilità di consultarli, siano le vestigia delle vecchie edificazioni a testimoniare le vicende di un mondo trascorso, nella fattispecie della fede dei progenitori. L’ultimo ampliamento della vecchia chiesa, parroco don Angelo Nebuloni coincise non a caso col 1881, uno dei primi anni dell’inizio della nostra industrializzazione. [1]
[1] Con l’ultimo intervento, la vecchia Chiesa di san Giorgio fu allungata verso oriente con la costruzione dell’abside nuova. L’altare fu arretrato e riconsacrato dal beato Cardinal Ferrari. La lapide che testimoniava l’evento andò persa. La facciata fu allungata ad occidente verso l’attuale banca (ex sede di Ubi-Credito Varesino a Jerago- in via Colombo angolo Piazza San Giorgio -negli anni ’90, ora abitazione civile- ndr), eliminando il bellissimo portico e la piazzetta, che era stata il centro civico su cui si affacciavano la scuola maschile e l’ufficio comunale all’epoca del Lombardo Veneto e nei primi anni del Regno, questa trasformazione avvenne con grande dispiacere della popolazione. Le beole della antica pavimentazione servirono per lo zoccolo della nuova facciata. La antica chiesa, o meglio il penultimo rifacimento in stile barocco che aveva coinvolto anche la sopraelevazione del campanile, quella che si distingue dal romanico per la sua colorazione gialla, fu molto simile alla attuale chiesa di Albizzate; sotto quel portico si rifugiavano i pellegrini degli altri paesi, quando passavano in processione. Nel vano interno ricavato con l’ultimo allungamento, si ottennero: il palco per la cantoria e per l’organo e, sui due lati, i matronei. Il matroneo di sinistra era riservato alla famiglia del castello, il matroneo di destra per i familiari del Sig. parroco con accesso dalla Canonica. La nuova croce in ferro della facciata, l’attuale, fu eseguita dal fabbro Luigi Riganti.
Brano tratto da “Le ricette della Nonna” (vedi riferimenti testuali in home page del blog)

restaurata negli anni ’90
fonte immagine: varesenews.it