
Nei precedenti articoli ho messo in evidenza la presenza sul territorio di una comunità ben organizzata sotto il profilo agricolo e sufficientemente numerosa da poter costruire quel Campanile che ancora oggi apprezziamo. Da documenti del 1400 si evidenzia che la popolazione è composta da circa 14 fuochi (focolari-famiglie), che risiedevano nelle attuali zone del Cantoon (Can-Thun-zona chiusa o recinta), nel centro del paese attuale (tra le due piazze e una strada che iniziava al n. 6 di Via Cavour e proseguiva verso la facciata della Vecchia Chiesa tenendosi parallela al Vicolo Beneficio) e nella zona della Madonnina.
La antica struttura della proprietà (X-XI sec.) è in Mansi, cioè unità agricole condotte generalmente in regime di servitù o se condotte in regime di libertà limitatamente ad un periodo di 29 anni. Le proprietà sono del feudatario o della Chiesa. il Manso è un sedime di territorio sul quale sorge anche l’abitazione rappresentata da una capanna o da una costruzione più solida, è composto da 10 campi arativi, cinque dei quali lasciati a riposo per un periodo di 2 anni di attività, per garantire la fertilità del suolo; 2 vigne per la produzione del vino (ritenuto alimento), 3 boschi sono coltivati a “Maroni” o castagne per l’alimentazione invernale, un campo a “Zerbo” o bosco ceduo per la legna da ardere.
L’economia si mantiene stabile fino al 1300, quando le tecniche innovative della concimazione con strame di foglie secche e deiezione animali porteranno una migliore resa unitaria dei campi, con conseguente eliminazione del riposo forzato degli stessi e migliori condizioni di vita e aumento demografico dei residenti. Fatti storicamente comprovati dai successivi allargamenti della Chiesa vecchia di San Giorgio (si vedano i precedenti articoli). Nel 1000 non si conoscono “regulae” per l’uso dei boschi, come avviene nelle zone montane o pedemontane del Veneto. Il grave problema degli uomini nei secoli precedenti l’XI è quello della conservazione delle derrate agricole, prodotte per la sopravvivenza, nei periodi invernali. Ma se tale difesa, nel senso della conservazione, sarà guidata dalla millenaria saggezza nell’uso del metodo più adatto: salatura, essiccazione, costruzione di ghiacciaie; per la difesa dalle incursioni delle orde degli armati di passaggio ci si comportò attraverso il sistema dell’incastellamento.
Nasce l’uso di ricoverare, all’appropinquarsi del pericolo, le derrate in luogo forte e ben difeso, sufficiente anche a proteggere la popolazione. Il castello di Jerago in origine sorge per questa esigenza e dà vita a quel primo nucleo di fortezza costruita sulle rovine di una torre romana, appartenente al reticolo di avvistamento del castrum .
La residenza che noi vediamo oggi è certamente legata alle vicende viscontee, ma è il risultato della trasformazione di quelle remote strutture. Questo luogo di incastellamento si forma verso il VI secolo d.C. quando, con la caduta dell’Impero romano, viene meno quella grande potenza unificatrice che aveva trasformate le nostre zone di Carnago-Castronno-Crenna-Jerago-Albizzate-Besnate, in sede di accampamenti stativi, magazzini e retrovie necessarie al passaggio delle legioni romane verso le Alpi e il mondo germanico e verso le Gallie.
Accampamenti sorti per favorire e controllare i movimenti est-ovest: Aquileia-Brixia-Comum-Novaria-Eporedia, o sud-nord: Mediolanum-Ticinum-Verbanum-Coira.
Quando per le vicende storiche della caduta dell’Impero romano, queste zone persero la loro funzione elettiva, le locali popolazioni, che vivevano ai margini della presenza militare (in modo non dissimile da come oggi vive una città dove sia prevalente la presenza di caserme e militari) dovettero rapidamente imparare a convivere con i nuovi padroni e con i nuovi equilibri. Videro il sorgere di Castelseprio, dove gli antichi capi militari romani magistri equitum divennero potenti nel loro piccolo e fortificato mondo alle prese ora con i Bizantini e poi con i Longobardi e con i Franchi. Videro il sorgere di Arsago longobarda e cristiana sulle rovine e con le rovine di quella romana.
Molte zone precedentemente utilizzate dagli antichi romani, rese fertili grazie a canalizzazioni, furono abbandonate perché la popolazione si era fortemente ridotta e il bosco e la brughiera si ripresero quelle zone.Solo così si spiegano i ritrovamenti del Prof. Bertolone in luoghi malsani e palustri che mai i Romani avrebbero frequentato.
La popolazione locale da una di quelle torri antiche abbandonate cavò anche i 300 metri cubi di sassi con cui si costruì il campanile.
Ecco questa storia sta racchiusa nel campanile e nella chiesa vecchia e con opportune indagini potremo capire se questa chiesa venne costruita su una antica Villa Padronale Romana, come la teoria suggerirebbe o come più probabilmente accadde essa sia una costruzione più recente, dell’VIII secolo, ove i materiali romani, sono presenti, ma non sono quelli nobili, are o sassi istoriati, ma mattoni, tegulae, suspensurae. I Benedettini autori della ricristianizzazione di queste zone avevano portato nelle loro sedi di provenienza i materiali più significativi.