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Putisc

fonte immagine: cannamela.it

Premessa e ricetta

La putiscia sta alle tortelle come i brüsej stanno ai dolci. Fu l’antica tortella di quando si era poveri e si disponeva di pochi ingredienti, ad esempio non vi era il lievito per dolci. E’ semplice perché basta mettere due uova intere in una scodella aggiungere due cucchiai di farina, due cucchiai di zucchero o anche meno, amalgamare. Poi si versano un paio di cucchiai del composto nell’olio bollente di un pentolino, che spesso per risparmiare era l’ultimo olio che rimaneva quando si fa un fritto. La peculiarità della putiscia era quella di essere piatta e ben cotta. Ottenuta dopo che la si fosse girata sui due lati, messa a sgocciolare su di un canovaccio e servita zuccherata. Deve ricordare una piccola bistecca.

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Prossima inaugurazione della Chiesa di San Giorgio (scritto nel 1999)

Si approssima il giorno della inaugurazione della Vecchia Chiesa di San Giorgio , penso con molta attesa degli jeraghesi, che vedono finalmente recuperato un edificio altrimenti pericoloso e fatiscente. Per molti anni avanti il 1987 in molti si erano chiesti perché non la si abbattesse. La concomitanza di eventi fortuiti prima e un rinnovato entusiasmo suscitato da don Angelo poi, hanno permesso di riappropriarci, restaurandolo, di un monumento che racchiude la storia stessa del nostro borgo. Si può far risalire l’origine del nostro essere cristiani alla predicazione dei missionari di S. Ambrogio, che diffondevano il messaggio cristiano presso le ville patronali dei notabili milanesi qui residenti . Anche se non si ha notizia di ville romane nella nostra zona, è altresì vero che materiale di reimpiego dal disfacimento di costruzioni romane è stato ritrovato negli elementi di costruzione della parte romanica della nostra chiesa. La possibilità che un monolite litico in arenaria ,rilevato ed evidenziato, non sia un sasso naturale, ma sia stato lavorato da mano umana per produrre un simbolo apotropaico o scaramantico con chiaro riferimento a culto pagano,  confermerebbe che questo luogo sacro cristiano si è insediato su di un precedente luogo sacro pagano. Cosa peraltro normale da accettarsi, perché il cristianesimo, offre a chi da sempre si interroga sul destino dell’uomo, l’autentico messaggio che solo Cristo, figlio di Dio può dare e i siti di ritualità pagana, divengono naturalmente i siti della vera spiritualità cristiana, quando la fede in Cristo si diffonde. Il messaggio cristiano dell’annuncio della resurrezione di Cristo si propaga nel mondo, muovendo da Gerusalemme, veicolato dalla potenza romana e favorito dall’opera unificatrice dell’impero di Augusto. Il cristiano non può accettare la divinità dell’imperatore romano, principio fondamentale in epoca augustea e funzionale alla unità  dell’impero stesso. Per tale motivo, grandi  imperatori come Diocleziano, saranno noti come persecutori di cristiani ritenuti causa della disgregazione dell’impero. Molti Martiri cristiani, cui verranno dedicate le prime chiese nascenti, si pensi alla dedicazione delle chiese dei paesi limitrofi,  furono non a caso, funzionari o soldati di questo imperatore che accettarono il martirio pur di non riconoscerne la divinità.  Quando poi il messaggio cristiano potrà essere testimoniato pubblicamente con  l’editto di Milano di Costantino, si noterà anche che unitamente al cristianesimo romano si diffonderà assai rapidamente l’arianesimo, eresia estremamente deleteria che negava la natura divina di Cristo e per questo motivo risultava congeniale alla corte imperiale e alla burocrazia. Castelseprio presenta contemporaneamente, in due siti diversi, il Battistero  Cristiano e il Battistero Ariano. L’imperatore  e la burocrazia, avevano accettato il Cristianesimo, ma  avevano sposato l’eresia di Ario più consona ad uno stato che aveva da sempre strumentalizzato qualsiasi fede. Queste nozioni, che mi sono permesso di ricordare, fanno parte di un bagaglio di conoscenza minima, per chi avesse avuto la ventura di studiare scolasticamente le vicende della storia antica. Quindi, o si è appassionati e si continua , altrimenti si abbandona. Quando però queste vicende  si possono leggere in ciò che ci circonda, nei monumenti  che vediamo quotidianamente, allora il discorso diviene più interessante e questo approccio, se fatto con passione, ci apre alla conoscenza ed all’amore per il nostro territorio, riunendoci a quegli avvenimenti più grandi che sono accaduti nei secoli.  Si badi però che questi studi, non si debbono limitare  campanilisticamente al nostro territorio, ma debbono essere integrati con le vicende delle zone limitrofe ed in particolare del Seprio. Quanta distruzione di testimonianze antiche, sarebbe stata evitata da un approccio attuale e vivo alla conoscenza del nostro territorio in senso lato. Infatti  si può distruggere ciò che si ignora, ma continuare ad ignorare ciò che si conosce e si dovrebbe tutelare, questo diventa colpevole. Vi sono due realtà stupende: Arsago Seprio e Castelseprio, ma quanti possono dire di conoscere queste vicende. Se pensiamo che per andare da Novara a Como la strada  antico-romana si snodava per moltissimi altri centri, fra cui il nostro, ci rendiamo conto di quanta storia è passata sulle nostre vie di comunicazione. Si parla di sentieri e di vie Francigene pensando agli Appennini ,alle Alpi ( verso Roma, o Santiago di Compostella) e non ci si accorge che Jerago era un punto di transito, come testimonia il portico della Chiesa di San Giacomo, dove il pellegrino poteva rifugiarsi, e non si nota la più  tarda Edicola della Madonnina, dove uno dei personaggi raffigurati porta la classica conchiglia del Pellegrino.

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Perché si deve continuare ad ignorare  che il nome di Pilatello, dato ad una nostra cascina è antichissimo essendo una volgarizzazione del Tardo latino di “pilastrellum “ ? Il pilastrello nella periodo altomedievale è il residuo del Miliare romano (cippo stradale) e su cui si posava un simulacro della Vergine Maria. Quando scompare il miliare, usato magari per spianare i campi a mo’ di rullo, il ricordo di tale denominazione rimane nel toponimo della cascina che si arricchirà anche, così come è avvenuto di un affresco mariano. Ignorare questo vuol dire accettare la cancellazione della memoria storica. Debbo all’amico Carlo Mastorgio  questa informazione , così come a lui debbo un invito, perché gli studi sulla nostra vicenda possano essere il più possibile seri, ma diffusi in modo semplice, perché tutti si possano appassionare ed imparino ad amare questo nostro ambiente. Carlo Mastorgio, mi ricordava anche, come fosse utile fermarsi a raccogliere con amore le testimonianze del nostro recente passato, per quanto piccolo sia: foto di inizio secolo dove riconoscere e dare un nome ai soggetti in posa, archiviare le foto datandole favorendo le ulteriori ricerche. L’archivio parrocchiale offre ad esempio la possibilità di questi studi ma anche molti archivi personali possono  andare distrutti e dispersi se non si offre un luogo dove versarli. Non è stato affascinante rivedere i nostri nonni in processione il giorno della inaugurazione della nuova chiesa di San Giorgio, rivedendoli nel documentario film che li ritraeva ? Ecco tutto questo noi potremmo studiare e riproporre, ma è necessario che si formi un gruppo di persone appassionate, che sappiano coltivare questa  testimonianza. Non sarà sicuramente un rimpatriata di “Laudatores temporis acti “ (osannatori del tempo che fu), ma di propugnatori di una convinzione  che: un popolo, senza memoria, rimane sempre bambino.

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30° Anniversario Restauro Campanile di S. Giorgio in Jerago

fonte immagine: youtube.com

Nell’approssimarsi del 30° anniversario della rimessa in funzione del concerto di campane del Campanile di San Giorgio in Jerago, ripubblicheremo nelle prossime settimane alcuni articoli di approfondimento comparsi ad inizio anni ’90 sulle pagine del giornale parrocchiale “Un popolo in Cammino” e poi raccolti in una pubblicazione autonoma in occasione delle celebrazioni dell’ottobre 1991 per il terminato restauro del campanile

Febbraio 1991

Il Campanile della Chiesa di Jerago

di Anselmo Carabelli

Sabato scorso, mentre salivo sull’impalcatura che avvolge il Campanile, il mio sguardo non poteva trattenersi dall’ammirare lo spettacolo delle Alpi, ammantate di neve, che mostravano la loro cerchia di vette non usuali, quali quelle che ritenevo proprie delle Alpi Marittime. Se questo era ciò che vedevo, la mia mente si era focalizzata su un’idea: in quello stesso momento ed in una situazione simile di luce, lo stesso emozionante spettacolo si offriva a chi, mille anni prima, si fosse trovato ad osservare dall’alto di quella torre campanaria.

Ecco dunque evidente che l’entusiasmo par la riscoperta di questa architettura romanica del campanile, fosse qualcosa di più della gioia di un appassionato di architettura di fronte ad una bella struttura. Se per quell’uomo medievale, vincolato dalla lentezza dei mezzi di trasporto e dal pericolo dei viaggi, il salire questa torre poteva dire arrivare con lo sguardo ai confini delle sue attese di scoperta del mondo (le Alpi, il mare), a me, cui basta la semplice pressione sul tasto del telecomando per avere l’altro capo della terra in salotto, quello sguardo dal campanile, dilatava il tempo e stavo riscoprendo le radici della mia gente.

Ho pensato, dunque, anche per invito di Don Angelo, grande appassionato della storia cristiana delle nostre genti, di dare un contributo per una migliore comprensione di quanto è successo e sta succedendo in ordine alla questione del campanile e della vecchia chiesa di S. Giorgio.

Nei primi anni di liceo mi ero interessato, unitamente agli amici Massimo Alberio e Piergiorgio Magistrali, a notazioni storiche su Jerago. Notazioni che vennero pubblicate a puntate prima sul foglio parrocchiale “La Voce del Parroco” e poi su “Jerago – Rassegna di vita cittadina”, foglio del centro giovanile ”Ul Galett”. Su esse, pur nella limitatezza delle nostre vedute (così come ingiustamente ci avrebbe fatto rilevare il Cazzani in “Jerago – la sua storia”), riconoscevamo le origini romaniche di alcuni monumenti locali con ampio foto di particolari architettonici rilevabili sia nella basilica di Arsago Seprio – “S. Vittore” – sia nella chiesa di S. Giacomo della parrocchia di Jerago in località Castello.           

Il romanico, che poi fu ampiamente evidenziato dal restauro di S. Giacomo, sembrava del tutto scomparire nell’imponente corpo della chiesa vecchia di S. Giorgio e del suo campanile. Sembrava, non logica la mancanza di continuità fra S. Giacomo dell’XI sec. circa e S. Giorgio vecchio, le cui notizie più documentate risalgono agli atti della visita di S. Carlo Borromeo nel 1570.

E’ del XVII sec. una descrizione più completa di detto impianto ad opera del curato Giovanni Bonomi, dove si dà notizia di un campanile con due campane cui si accede dalla sinistra dell’altare maggiore. Successivamente, nel sec. XVlll, e sempre documentato, si ha notizia della sopraelevazione del campanile por potervi alloggiare un concerto più completo di campane. Nel sec. XIX si ha notizia del completamento del concerto delle campane con il rifacimento del castello sul quale ruotare le stesse. Fu in tale periodo (1820 circa) che si appose l’aquila asburgica, rivettata sopra la vecchia bandierina dei Visconti, che fungeva da segnavento, alla base della croce.

Il campanile era stato, dunque, interamente intonacato nel corso dei secoli XVlll o XIX e ne ere risultato un complesso unico, di campanile, chiesa e canonica, in uno stile composito tipico degli insediamenti religiosi di quel periodo.

A chi, amante di storia dell’architettura, osservava il campanile, non potevano sfuggire alcuni fregi che segnavano il passaggio da un ordine all’altro sopra le finestrelle monofore. Qualche cedimento dell’intonaco in corrispondenza di alcuni mattoni faceva però intuire un muro di tamponamento incerto.

Se i fregi fossero stati autentici e si fosse ritrovata una costruzione in sassi squadrati, la datazione romanica dal IX al Xll sec. sarebbe stata sicura;

Dati però i rifacimenti dal 1700 tali fregi potevano essere falsi.

L’impossibilità e il pericolo di accedere a quelle quote manteneva incerte le cose e riservate agli amanti e agli specialisti.

Il Cazzani, uomo di archivio, non trovando documenti, escludeva un qualsiasi aggancio architettonico di valore anteriore al 1600 o 1500. Di diverso avviso e, (mi sia concesso),  corrispondente anche alla posizione mia e dei miei amici, l’arch. Moglia, cui si deve uno studio sulle origini romaniche del campanile e la proposta di un intervento.

Separatamente dal discorso di studi, si deve affrontare il discorso operativo, cioè cosa fare della chiesa vecchia, abbandonata dopo la costruzione del nuovo Oratorio-Auditorium e del campanile non più agibile da quando, verso il 1968, le campane furono immobilizzate.

Il Parroco Don Luigi Mauri, con l’unanime consenso della popolazione avrebbe desiderato abbattere la chiesa vecchia, anche per ampliare l’Oratorio, cui mancavano ancora spazi ricreativi, ma se in un primo tempo si opposero considerazioni di carattere economico, la necessità di saldare i debiti dell’Auditorium, successivamente si opposero i veti della Sovraintendenza ai Beni Artistici Culturali.

L’archivio parrocchiale evidenzia le preoccupazioni di Don Luigi, il quale chiede lumi alla Sovraintendenza perché se non si può abbattere, almeno che si possano evitare situazioni di pericolo incombente.

Si provvide pertanto ad eliminare tale situazione di pericolo del catino absidale e degli edifici addossati al campanile esistenti fra lo stesso e l’Oratorio.

Fu comunque evidente a tutti che, non sapendo cosa fare e avendo qualsiasi intervento un costo rilevante, conveniva attendere che il tempo trasformasse il tutto in un rudere. Era comunque un peccato osservare quel campanile con le campane legate. L’arch. Moglia operò, pertanto, con l’ausilio di Luigi Caiola e dei cuoi uomini, un sondaggio che poneva in evidenza le sottofondazioni del campanile e che, cosa importante, il campanile era del tutto svincolato dalla vecchia chiesa, quindi si poteva procedere al ripristino.

Fu quindi commissionato da Don Luigi il nuovo castello delle campane, nel 1983, alla ditta Perego. Nello stesso periodo, però, si evidenziarono anche degli ammaloramenti nel tetto della nuova chiesa di S. Giorgio: altri oneri, quindi, ed imprevedibili nella loro entità, si avanzarono nell’orizzonte economico dello parrocchia.

Le cose operativamente stanno in questi termini, quando nel 1987 lascia lo guida della parrocchia por raggiunti limiti di età e gli succede Don Angolo Cassani.

Egli si trova ad affrontare questi problemi apparentemente essai impegnativi ed urgenti, dotato di una notevole sensibilità artistico- architettonica che gli viene dall’aver seguito i lavori della basilica di S. Lorenzo alle Colonne in Milano o dell’essere stato coinvolto in essi.

Una dello prime pratiche del Consiglio Economico Parrocchiale fu la liquidazione, cioé il pagamento dei lavori per il castello delle campane già allestito e sul quale era stato versato solo un acconto. Era impossibile procedere oltre nel campanile, perché mancavano gli studi ingegneristico statici che permettessero il ripristino architettonico, sul quale si era già impegnato negli studi l’arch. Moglia.

Fu data comunque priorità al ripristino del tetto della nuova chiesa di S. Giorgio ed al recupero di un aspetto decoroso dell’esterno integrandolo a quei volumi già in buono stato di uso, (casa, cappella invernale, grotta di Lourdes), soprassedendo però sul rifacimento della facciata che peraltro era in buone condizioni tecnico-statiche, anche se architettonicamente piuttosto misera.

La piazza della chiesa fu ripristinata, ad opera dell’amministrazione comunale. nell’ambito di una più vasta revisione della viabilità nel centro del paese ed il tutto con un risultato che è oggi piacevole a vedere.

Interessante fu la divisione del debito in parcelle che, chiamate tegole (circe 13.500 del velore simbolico di Lire 20.000 cadauna) furono rapidamente cedute nel volgere di due anni grazie alla generosità dei singoli e di gruppi di lavoro parrocchiale.

I lavori per il campanile furono avviati in gennaio del 1990, affidati all’impresa Coesmi, sotto la direzione ingegneristica dell’Ing. Emilio Aliverti ed architettonica dell’arch. Giorgio Vassalli.

In questa fase, che è tuttora in corso, dopo aver provveduto al consolidamento della base di appoggio con lavori che sono stati documentati anche, con supporti visivi, si sta procedendo al recupero architettonico.

Si aprì qui un lungo discorso sulla datazione ed è con grande gioia che le attese dell’impianto romanico del campanile X e XII sec. si sono rivelate nella loro originalità. Scrostate le pareti, come da un gigantesco bozzolo si è rivelato ciò che si poteva attendere solo nelle più rosee previsioni: una torre assai compatta in blocchi di gneiss granitico ben squadrati fin dal primo ordine, (quello nascosto dalla vecchia sacrestia), i fregi originali in mattone che ne impreziosiscono il disegno, e che ci avevano fatto dubitare di essere posticci e settecenteschi, una netta cesura tra l’impianto romanico e le aggiunte settecentesche della loggia in mattoni.

Mi sia consentito di ringraziare Don Angelo perché, grazie alla sua caparbietà, non sapevamo di avere un gioiello in casa… e lo abbiamo ritrovato.