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Restauro e manutenzione della Chiesa di San Rocco

Fonte immagine: Un popolo in cammino – disegno di A. Vanzini

Pubblicato su Un popolo in cammino nel 1992

La Chiesa di San Rocco è parte della parrocchia di Jerago. Manutenzione e conservazione sono di stretta competenza della parrocchia. Naturalmente al Parroco don Angelo si affianca il “Comitato di San Rocco”, per massima parte composto da volontari del Rione, che attraverso varie iniziative si preoccupa di raccogliere quanto necessario per le ristrutturazioni.

Ora e´stata restaurata la Madonna del Carmine. E´desiderio vivo piu´volte espresso da quanti amano San Rocco ripristinare l´intonaco in calce, nel quale le tonalita´beige, bianco sporco erano date non solo dalla vetustà, ma dal tipo di sabbia (quella locale che si trova nelle piccole cave dei nostri boschi e che era di tono beige-ruggine); mettere in evidenza tutti gli elementi di mattone, perche´proprio Jerago era sede di importanti  fornaci; ripristinare il vecchio altare con pala al centro in considerazione della originale dedicazione al Santo.

L´attuale vista dell’abside con un effetto peraltro molto bello, non è quella voluta dall’  originale pietà popolare.  Si verrebbe così a ricreare quella caratteristica penombra, propria degli ambienti settecenteschi, molto più invitante alla meditazione.

L´eliminazione poi, dell´attuale massiccio altare postconciliare ridarebbe equilibrio a tutto l´insieme.

Storia della Chiesa di San Rocco

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Mese di Aprile

dipinto raffigurante San Giorgio e il Drago realizzato dal Sig. Gianfranco Battistella per la Chiesa Vecchia di San Giorgio restaurata – si notino ai lati le raffigurazioni degli ex parroci don Remo Ciapparella e don Angelo Cassani

Tratto  da ” Le ricette della Nonna -cucina, usi, espressioni, attività, feste religiose – nella vita di un borgo dell’alto milanese tra il 1800 e il 1940”, a cura di Anselmo Carabelli con Enrico Riganti, Tipografia Moderna, Collana Galerate, Gallarate, 2000

Celebrate le festività pasquali troviamo la Festa del S. Patrono: “ ul San Giörg”.

L’effigie del patrono a cavallo che uccide il drago contrassegna le nostre campane, appariva bellissima sulla facciata della vecchia parrocchiale, nel grande affresco del Tagliaferri, rimane ancora sullo Stendardo dei Confratelli, sulla croce Capitolare, ed è affrescata sulla volta della chiesa nuova dal pittore Orsenigo e sul quadro ad olio dell’ingresso laterale . Come non ricordare il San Giorgio della bandiera bianca della Unione Giovani Cattolici . Nel 1931 per ordine ministeriale, tutte le associazioni cattoliche nazionali dovettero essere sciolte, i dirigenti furono diffidati dallo svolgere attività e fu imposta la consegna dei simboli all’autorità. I Carabinieri si presentarono a Don Massimo per eseguire l’ordine. Egli rispose loro che quel simbolo non si trovava nella casa parrocchiale e forse, nel merito, poteva essere più preciso il Presidente Mario Paoletti. Il Carabiniere garbatamente lo tranquillizzò invitandolo a non preoccuparsi perché anche lui “ era un giovane cattolico” ; la bandiera fu così salvata. Con la stessa determinazione don Massimo difese anche le nostre Campane dal conferimento obbligatorio, ordinato nel periodo bellico, nascondendole sotto la terra del vecchio Cimitero della Chiesa.

Le campane della antica chiesa di San Giorgio In Jerago – Uno dei primi concerti di campane del famoso fonditore varesino Bizzozzero

Ul San Giörg”

Si è sempre celebrato la domenica successiva al 24 aprile, data della ricorrenza, e veniva preceduto da un  triduo di preparazione.

Domenica 30 aprile 1944

Modi di dire dialettali jeraghesi

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Pubblicato su Un Popolo in Cammino – anno 1997

Öeuv in ceraghin -uovo al Chierichetto. Si chiama così perché ricorda l’abito rosso e bianco dei chierichetti nelle occasioni solenni. Quando per un motivo qualsiasi una persona in casa mette il broncio e non dà risposte di proposito, per i vecchi “la mett giò i Quarantur”. Se per sfuggire al caldo si chiudono tutte le imposte e le porte di un locale, a Jerago si diceva che “Se fa ul Scureu da San Carlo” con evidente richiamo al buio e al raccoglimento dello Scurolo del Venerdì Santo. In quel “scapa Signor ca ghe rivo’ i Muradur” si fa riferimento al fatto che l’eloquio dei “Magutt” non era certamente dei più consoni ad orecchie pie e non solo per il disastro che essi producevano, perché “par fa urdin bisogna fa un disurdin”. La semplicità con la quale si rispondeva alla “Curona dul rusari”  e che richiamava la collegialità con la quale tutte le persone valide  rigiravano il fieno in fila sul prato, faceva dire che “a vultà ul fin e a  di rusari in bon tucc da restà in pari”. Quando una persona dà fastidio la si manda “a fass Benedì” o a “Bacc a sunà l’organ” con rifermento al fatto che in quel di Baggio a Milano l’organo era dipinto sul muro. L’invito a non frequentare cattive persone si esprimeva con un “dà mia tra a quel lì, cal ta fariss perdi Mèsa anca al dì da Natal” (non dar retta a quello che ti farebbe perdere Messa anche il giorno del S. Natale). “Andà a sculèta” indicava la frequenza all’insegnamento per gli adulti. “Ul Fuiett dul Curad” è l’antesignano de Un Popolo in Cammino che don Luigi Mauri iniziò col nome di Voce del Parroco, aveva le dimensioni di un foglietto litografato sulle due facciate e veniva diffuso settimanalmente in tutte le famiglie. Ogni famiglia lo pagava 100 lire e permise di finanziare i lavori per l’Auditorium. La pesca e L’incant di Canestar  erano altre fonti di raccolta di fondi per le opere Parrocchiali. Nella casa si aspetta “Ul Sciur Curad” per la “benedizion da Natal” e la mamma – Masèra si fa punto di orgoglio perché “a cà la sia lustra me na Cana da fusil – la casa brilli come una canna di fucile”, nella cucina è sempre appeso un “Crusin”: piccola Croce offerta dal Parroco il giorno della prima benedizione della casa nuziale. La camera da letto presenterà sempre ul “Quadar da a Madonna cul Bambin in brascia – Madonna col Bambino in grembo” posto sopra la testata del letto ai cui lati potevi ritrovare anche “L’Aquasantin e ul quadrett di Devuzion” l’acquasantiera riempita con l’acqua che si andava a prendere in chiesa di Sabato Santo e il quadretto con le preghiere della buona notte. Una persona che gode di una cattiva salute di ferro sarà “Mezz in Gesa” (Quasi in Chiesa per il suo Funerale). All’uomo che generalmente sbianca al primo impercettibile dolorino, paventando chissà quali brutti mali, la moglie si rivolge ironica con un “te set lì c’al par ca te ghet i Oli Sant in sacogia – Sei lì bianco e smunto come se ti avessero già data l’estrema unzione”. L’ultima destinazione terrena di uno Jeraghese è la “Pigna” dal toponimo del sito del Camposanto.

Presentazione a cura di Elio Bertozzi del libro “Le ricette della nonna” di Anselmo Carabelli con Enrico Riganti

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Siamo nel periodo classico della dominazione viscontea. Ottone, da buon politico pensa a perpetuare nella sua famiglia il potere civile. Ottiene dal Consiglio Generale la nomina del pronipote Matteo Visconti, figlio di Teobaldo a cui Napo Torriani mozzò la testa sulla piazza di Gallarate, aveva un fratello chiamato Umberto e uno zio detto Pietro. Nella divisione dei beni paterni, fatta nel 1288, ai due fratelli toccarono le terre di Somma, Golasecca, Vergiate, Lonate Pozzolo e Ferno, e allo zio, con Besnate, Albizzate, Crenna, Rovate, Solaro, Brunello e Massino, anche Jerago.

Jerago, che Bonaventura Castiglioni, nella prima metà del Cinquecento, indicava con il termine Hieracium. Jerago anche vicus villaggio romano, che con il termine Algerago troviamo in una pergamena del 1178; detto Alierage nel Liber notitiae sulla fine del Duecento: scritto Mierago nel 1455 e, dal Cinquecento in poi, come sottolineava lo scomparso storico Monsignor Eugenio Cazzani, è presente nella documentazione ecclesiastica con la forma Alierage. Insieme con Jeragum permarrà sino alla fine dell’Ottocento, quando si cominciò ad usare,anche per atti ecclesiastici, la lingua italiana. L’etimologia suggerita, infine, da Dante Olivieri vuole Jerago, dialetto Jeragh, derivato da Alliaricus. Aggettivo dal nome personale Alliarius, da ritenersi un personaggio, distinto per censo e per virtù civico–militari, il quale lasciò il nome al locus da lui abitato.

Posto in una posizione preminente, sovrasta la vallata. In tempo si diceva che Jerago venisse derisa, di fronte da Oggiona che sembrava beffeggiarlo dal culmine del colle, detto Monte Oliveto. Da secoli, i due paesi, a guardarsi in eterna sfida, anche se nessuno,mai, si mosse ad affrontare l’altro. Jerago mostrava ai vicini le sue chiese: la vecchia, con il suo alto campanile e la nuova in stile romanico. Ma paladino ne era in particolare l’antico castello, cui ben si adattano questi versi di Olindo Guerrini nel suo Canzoniere:

 “ O passegger che per la via diserta

 affretti il passo

 leva la fronte tua verso quest’erta “.

Balconcini con eleganti ringhiere, terrazze, posterle, torrette, bertesche, spalti, barbacani, avancorpi, merli: tutto l’apparato di un vero castello feudale. Sopra passavano nubi bianchissime, che adornavano il cielo di una tenuità di spuma. Passano da secoli. Le avranno guardate la castellana, il signorotto, il paggio, l’armigero, la comare. Nubi che raccolsero pensieri e segreti, sogni delusioni e che, ancora oggi, con il loro attuale “carico”, scivolano dolcemente sugli immensi campi vellutati del cielo che sovrasta la vallata su cui campeggia Jerago.

La riscoperta della cultura locale, alla quale assistiamo ormai da vari anni, ha favorito la produzione, recente, di volumi dedicati alla storia di singole località o di specifici aspetti della vita dei tempi passati. Alcuni di tali libri si limitano ad una semplice rielaborazione di argomenti già presentati da altri, senza offrire al lettore sostanziali novità nei contenuti. Il volume di Anselmo Carabelli ed Enrico Riganti si discosta nettamente dalle pubblicazioni consimili sia per argomento che per originalità. E’ ambientato in un singolo paese: Jerago, ma coinvolge una cultura che riguarda tutto il Seprio; è dedicato ad un tema principale: la cucina tradizionale, ma ci informa su una molteplicità di usi, costumi, detti, proverbi, significati.

Frutto di una lunga ed appassionata ricerca  “sul campo“ offre al lettore un quadro del mondo contadino del buon tempo antico, con un pizzico di nostalgia, ma senza dimenticare che la vita continua ad evolversi ed a progredire.

La lettura è snella e piacevole per tutti: gli Jeraghesi ritroveranno l’anima del loro paese, oltre alle ricette di pietanze più volte gustate, altre parimenti appetitose, ma anche tanti ricordi e tante curiosità. I non Jeraghesi riscontreranno incredibili somiglianze con fatti ed usanze dei rispettivi paesi. I lettori di una certa età ricorderanno il sapore di un mondo che ancora esisteva durante i loro anni migliori, anche se già avviato al declino, i più giovani avranno il gusto di scoprire come vivevano i loro coetanei quando non c’erano le discoteche e la televisione. Mondo migliore o peggiore? Semplicemente un mondo diverso: l’aria era più pulita, ma mancavano tante comodità, non c’erano i soldi ma la vita era più genuina. Non beghe legali, fiscali o aziendali, però contrasti di paese, più semplici, ma non per questo spesso meno amari.

In tutta la trattazione domina, com’è giusto, il dialetto, senza tuttavia escludere dalla lettura chi non lo capisce o chi non lo parla più. Anzi proprio costoro potranno gustare alcune espressioni interessanti, che magari provengono direttamente dalla lingua latina o francese o tedesca.

A questo proposito mi pare che quanto scrisse Cesare Cantù oltre 150 anni fa, nella sua semplicità, sia tuttora il più valido orientamento per il lettore:

“il nostro parlarsi sopra estesissimo tratto, con modificazioni locali …. Dell’antica origine gallica fa esso fede nella pronunzia dell’ u dell’oeu  (feug se peu); degli an, on, en, nasali (pan, porton, ben) nello scempiare spesso le consonanti e mutare la z in s; oltre un grandissimo numero di voci, non adottate nella lingua italiana e viventi nella francese, ben distinte dalle poche lasciatevi dalla recente dominazione  e dalla moda. Chi ode il dialetto di Marsiglia, può scambiarlo pel milanese, mentre a fatica è intellegibile ai Francesi, e la somiglianza è tanto più notevole, in quanto che già si riscontra nelle poesie de’ i Trovadori, poeti provenzali del XII secolo, e non solo quanto a parole, ma anche a forme grammaticali.

Nel Varon Milanes, opera di un Capis ampliata da un Milani, si cercano radici greche a molti vocaboli lombardi, con quelle solite stiracchiature per le quali le etimologie son divenute un giochetto simile a quello delle sciarade: ma certamente alcuni ve n’ha di derivazione latina e di greca e non conservatasi nell’italiano: pochi n ha di tedesca, moltissimi invece di spagnola, senza contare la fratellanza delle due lingue. Il nostro dialetto nel plurale non discerne l’articolo maschile dal femminile ( i fioeu e i tosann); l’articolo indeterminato distingue dal numerale (un omm, damenn vun); i numerali due e tre forma diversamente pel femminile  (du sold, do lir; tri foeuj, tre pagin); alcuni plurali ha differentissimi dal singolare (om e omen, tosa e tosann, casa e ca , boeu e bo) usa un suono della s ignoto al toscano ( s’ciopp);…alla tedesca pospone la negazione al verbo (mi so no) esclude affatto quelle inversioni che fanno arditamente bello l’italiano“.

Come si nota quasi tutti i popoli europei hanno contribuito alla formazione della lingua dei nostri avi e quindi delle nostre radici. Forse la nostra preoccupazione riguardo la cosiddetta società multietnica del futuro è esagerata. Forse, soprattutto a patto che non si dimentichi il passato.

                                                  Elio Bertozzi

Benedizione Affresco “Maria Regina Pacis”

Sabato 12 Novembre 2022 alle ore 16.30, il parroco della Comunità Pastorale JOB Maria Regina della Famiglia, don Armando Bano, ha benedetto l’affresco dipinto dal signor Gianfranco Battistella, posto sulla parete della casa dei signori Bertoncello/Carrieri a Jerago in via Cavour, nelle vicinanze della circonvallazione di Corso Europa.

E’ stata l’occasione per un breve momento di preghiera con i parrocchiani che sono intervenuti numerosi in questa lieta occasione.

Si ringrazia per il video e le foto della giornata il signor Gianfranco Battistella

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Maria Regina Pacis

Luoghi caratteristici di Orago: il Castello Visconteo

Per conoscere meglio la storia del castello visconteo di Orago consigliamo la lettura del libro ORAGO Storia di un borgo col castello e la sua Chiesa di Anselmo Carabelli, Giuseppe Lombardi, Eliseo Valenti (978-88-6570-696-1).

Il libro, promosso dalla comunità pastorale Maria Regina della Famiglia JOB, è stato pubblicato lo scorso dicembre (2021) e presentato al pubblico dagli autori il giorno dell’Immacolata Concezione (8 Dicembre 2021) presso la sala polivalente dell’Oratorio di Orago.

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Il libro è disponibile in vendita anche tramite il sito dell’editore Pietro Macchione Editore di Varese, a questo link:

https://www.macchionepietroeditore.it/scheda_ORAGO-Storia-di-un-borgo-col-castello-e-la-sua-Chiesa-di-Anselmo-Carabelli-Giuseppe-Lombardi-Eliseo-Valenti_5-44-48-0-0-0-1-1-10-1-701.html

Nel libro vengono narrate le vicende dei Visconti dei rami di Jerago e di Orago e molte altre questioni relative al borgo di Orago, ovvero alla vita civile e religiosa che ivi si svolse in passato e che vive tutt’oggi nei monumenti che ne sono testimonianza e ricordo.

Una copia del libro è stata donata dagli autori alla biblioteca comunale di Jerago con Orago e quindi è disponibile per il prestito e la consultazione presso di essa.

Qui maggiori info:

https://retebibliotecaria.provincia.va.it/opac/detail/view/varese:catalog:634849

Inaugurazione affresco Salve Regina alla presenza di sua eminenza Mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano

Nei giorni della proclamazione ad arcivescovo di Milano di sua eminenza Mons. Mario Delpini, nel luglio del 2017, venne inaugurato a Jerago, alla sua presenza, un affresco dedicato alla Vergina Maria con bambino  (Salve Regina)  presso l´abitazione di uno dei suoi parenti.

L´inaugurazione avvenne alla presenza delle autorità  civili e religiose, tra cui il sindaco Dott. Giorgio Ginelli, e il parroco Don Remo Ciapparella e fece seguito ad una celebrazione eucaristica nella chiesa di San Giorgio in Jerago, che vide per la prima volta l´arcivescovo nominato, celebrare la Messa nella sua parrocchia di origine.

Riportiamo qui alcune fotografie scattate in quell’occasione, testimonianza dell’ importante evento per il nostro comune e la nostra comunità pastorale.

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4 novembre – Giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate – il Monumento ai caduti di Jerago

Nei pressi della cappella Bianchi e della chiesa di San Rocco, è sito a Jerago, il monumento commemorativo dei caduti e dei dispersi delle due guerre mondiali: la Prima Guerra Mondiale dal 1915 al 1918 e la Seconda Guerra Mondiale dal 1940 al 1945.

Tale monumento è stato costruito a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, sotto la spinta della memoria, sempre viva, di coloro che persero la loro vita per servire la Patria durante i due conflitti mondiali.

Riportiamo qui sotto una pagina estratta da Jerago – Rassegna di vita cittadina (numero del 1967), pubblicazione a cura del Centro Giovanile Ul Galett, articolo in cui si parla della prossima realizzazione di questo monumento commemorativo.

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Luoghi caratteristici di Jerago: la cappella del Cimitero

Sita all’interno del cimitero di Jerago, la Cappella conserva sui due lati delle lapidi in memoria dei caduti e dispersi jeraghesi delle due guerre mondiali.

La Cappella è posta al centro del complesso di colombari che sono siti sul lato est del cimitero e che sono rivolti verso l’entrata del cimitero stesso.

La sua posizione centrale è infatti in corrispondenza con il viale principale che dall’entrata del cimitero porta appunto ai colombari.

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