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L’altare dedicato a Maria nella nuova chiesa parrocchiale di San Giorgio in Jerago

Nella nuova Chiesa di San Giorgio (inaugurata nel 1932), era stato trasferito in toto il vecchio altare dedicato a Maria. Ma evidentemente risultava sproporzionato, fu così che il parroco don Cervini, anche come voto a Maria per la protezione ai nostri militari al fronte, potè, in sintonia con la volontà dei fedeli, avviare i lavori per il nuovo altare mariano, inaugurato il 15 agosto 1943 con la celebrazione della 1a Santa messa. Chiaramente anche la statua della Madonna (oggi in San Rocco) risultava sproporzionata e ammalorata dalla vetustà. Oramai a guerra finita, da parte del parroco don Crespi, fu ordinata una nuova statua, su  studio e disegno del pittore scultore Eugenio Rossi di Como, scolpita poi in legno di noce dal laboratorio dello scultore Franco Molteni di Cantù. La statua solennemente benedetta è stata collocata nella posizione attuale nel 1948 per la ricorrenza mariana annuale.

A pagina 184 di Cazzani “Jerago e la sua storia” è scritto: “15 luglio 1951 Mons. Narciso Prandoni, canonico del Duomo, incorona la Madonna del Carmine, presente in una nuova statua modellata del pittore Rossi di Como e scolpita dallo scultore Franco Molteni di Cantù”.

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Quand i nasan in tüc bèj- Quando si nasce siamo tutti belli

Se tutto ciò che riguardava la sfera sentimentale nel mondo antico era assai riservato, tanto più lo era la nascita di un figlio, a cominciare da come si definiva la donna in attesa, di essa si diceva che l’éa in còmpra. Infatti quando due sposi attendevano un figlio ai bambini si faceva credere che “èan andài a teu un fieu”. Erano andati a comperare un bambino, quindi la gestante, per tutti, era in attesa di comperare il figlio e il discorso si troncava lì. Le donne anziane la invitavano a riguardàs e andà a fäg visita a la gésa da Sant’ Ägata a Möntiriguardarsi e fare visita alla Santa Agata di Monte di Solbiate Arno. Noi bambini questo non lo capivamo bene, ma la Santa era la protettrice della montata lattea e quindi, se le mamme non avessero avuto il latte alla nascita, ciò avrebbe rappresentato un serio problema. Quando il nuovo nato arrivava, i bambini, ma anche gli uomini, erano tenuti lontano da casa, perché quella era una faccenda per le sole donne anziane ed esperte, che si affiancavano alla levatrice a cumä’ . Nei primi anni del 1900 il compito degli uomini fu solo quello di correre a Besnate per chiamare la sciura Maria: la levatrice. A denunciare la nascita del bambino sarebbero stati : i fass e i patèile fasce i patelli, che soprattutto in inverno si stendevano in cucina ad asciugare e servivano per assorbire quel liquido giallo la cui abbondante produzione ha accomunato i bebè di ogni tempo. Oggi però non si fascia più, diversamente da una volta quando si credeva che quella tortura servisse per fa vignì su bèj driz, ma di pannoloni monouso manco l’ombra e tanto meno di pubblicità agli stessi soprattutto sull’ora di pranzo. Ai bambini si spiegava che i fieu éan nasù sota na vérza – erano nati sotto un cavolo e solo i püsè sciuri i a purtéa a cicogna: le solite ingiustizie. 

Fa la nàna pupò in da a cüna

Ch’ el papà patis la lüna

La patìs un pù da spés

Fa la nàna bambìn da gès

Fai la nanna bimbo in culla- che il papà patisce la luna- la patisce assai di spesso- fai la nanna bambin di gesso

Se i figli tardavano a arrivare, gli sposi usavano recarsi in pellegrinaggio alla B.V. di Caravaggio. Si faceva inoltre promessa di chiamare col nome di Maria la prima bimba nata dal matrimonio. Queste spiega fosse così diffuso il nome. 

1 Il verbo dialettale teu potrebbe  tradursi con comperare. Personalmente ritengo che, la sua origine sia latina  dal verbo tollere – nella accezione di riconoscere. Per i latini l’atto col quale il padre riconosceva il figlio neonato, l’odierna denuncia di nascita presso l’Ufficiale di Stato Civile, consisteva nel tollere- sollevare da terra il neonato che gli veniva deposto ai piedi. Anche prender moglie in dialetto è teu miè, e ritrovarne la radice latina in tollere nelle accezione di farsi carico di (Calonghi) non sarebbe fuori luogo .

2 Per distinguere le numerose persone che si chiamano  Maria,  si associava il nome  a quello del paese di provenienza  nel caso delle nuore.  Se  nate in paese  si riconoscono  dal  nome paterno. Si dice   a Maria dul….., se rimane ulteriore possibilità di errore si ricorre ad  un aggettivo che evidenzia una caratteristica fisica ad es.. il colore dei capelli, Maria  Ròsa o Rusìna o alla statura Granda. Lo stesso vale per riconoscere i ceppi familiari di appartenenza es. i discendenti da Pietro…. Si dice Da Pedar. Oppure la provenieza . I Bulit vengono dalla cascina Bollini. Ul bartulìna, dalla cascina Bertolina. Il cognome più diffuso Cardani, ha poi degli attributi per ulteriore riconoscimento degli ascendenti prossimi. –I Bram discendenza da Abramo Cardani –I Ramè dalla professione-I Madunìnadalla residenza nelle case con l’affresco della Madonnina di Loreto. –I Macàgn indica un antenato col volto segnato dal vaiolo.- I Travaìt-da Travaino –I Viena dal luogo del servizio militare del progenitore – I sciarìt  il ceppo di Padre Umberto, del Carleu  del Virginio, non conosciamo l’origine del nome. Ogni ceppo familiare ha quindi un attributo di identificazione. Sarebbe utile  documentarli  anche per gli altri cognomi prima che se ne perda traccia.