Se tutto ciò che riguardava la sfera sentimentale nel mondo antico era assai riservato, tanto più lo era la nascita di un figlio, a cominciare da come si definiva la donna in attesa, di essa si diceva che l’éa in còmpra. Infatti quando due sposi attendevano un figlio ai bambini si faceva credere che “èan andài a teu un fieu”. Erano andati a comperare un bambino, quindi la gestante, per tutti, era in attesa di comperare il figlio e il discorso si troncava lì. Le donne anziane la invitavano a riguardàs e andà a fäg visita a la gésa da Sant’ Ägata a Mönti– riguardarsi e fare visita alla Santa Agata di Monte di Solbiate Arno. Noi bambini questo non lo capivamo bene, ma la Santa era la protettrice della montata lattea e quindi, se le mamme non avessero avuto il latte alla nascita, ciò avrebbe rappresentato un serio problema. Quando il nuovo nato arrivava, i bambini, ma anche gli uomini, erano tenuti lontano da casa, perché quella era una faccenda per le sole donne anziane ed esperte, che si affiancavano alla levatrice a cumä’ . Nei primi anni del 1900 il compito degli uomini fu solo quello di correre a Besnate per chiamare la sciura Maria: la levatrice. A denunciare la nascita del bambino sarebbero stati : i fass e i patèi – le fasce i patelli, che soprattutto in inverno si stendevano in cucina ad asciugare e servivano per assorbire quel liquido giallo la cui abbondante produzione ha accomunato i bebè di ogni tempo. Oggi però non si fascia più, diversamente da una volta quando si credeva che quella tortura servisse per fa vignì su bèj driz, ma di pannoloni monouso manco l’ombra e tanto meno di pubblicità agli stessi soprattutto sull’ora di pranzo. Ai bambini si spiegava che i fieu éan nasù sota na vérza – erano nati sotto un cavolo e solo i püsè sciuri i a purtéa a cicogna: le solite ingiustizie.
Fa la nàna pupò in da a cüna
Ch’ el papà patis la lüna
La patìs un pù da spés
Fa la nàna bambìn da gès
Fai la nanna bimbo in culla- che il papà patisce la luna- la patisce assai di spesso- fai la nanna bambin di gesso
Se i figli tardavano a arrivare, gli sposi usavano recarsi in pellegrinaggio alla B.V. di Caravaggio. Si faceva inoltre promessa di chiamare col nome di Maria la prima bimba nata dal matrimonio. Queste spiega fosse così diffuso il nome.
1 Il verbo dialettale teu potrebbe tradursi con comperare. Personalmente ritengo che, la sua origine sia latina dal verbo tollere – nella accezione di riconoscere. Per i latini l’atto col quale il padre riconosceva il figlio neonato, l’odierna denuncia di nascita presso l’Ufficiale di Stato Civile, consisteva nel tollere- sollevare da terra il neonato che gli veniva deposto ai piedi. Anche prender moglie in dialetto è teu miè, e ritrovarne la radice latina in tollere nelle accezione di farsi carico di (Calonghi) non sarebbe fuori luogo .
2 Per distinguere le numerose persone che si chiamano Maria, si associava il nome a quello del paese di provenienza nel caso delle nuore. Se nate in paese si riconoscono dal nome paterno. Si dice a Maria dul….., se rimane ulteriore possibilità di errore si ricorre ad un aggettivo che evidenzia una caratteristica fisica ad es.. il colore dei capelli, Maria Ròsa o Rusìna o alla statura Granda. Lo stesso vale per riconoscere i ceppi familiari di appartenenza es. i discendenti da Pietro…. Si dice Da Pedar. Oppure la provenieza . I Bulit vengono dalla cascina Bollini. Ul bartulìna, dalla cascina Bertolina. Il cognome più diffuso Cardani, ha poi degli attributi per ulteriore riconoscimento degli ascendenti prossimi. –I Bram discendenza da Abramo Cardani –I Ramè dalla professione-I Madunìna– dalla residenza nelle case con l’affresco della Madonnina di Loreto. –I Macàgn indica un antenato col volto segnato dal vaiolo.- I Travaìt-da Travaino –I Viena dal luogo del servizio militare del progenitore – I sciarìt il ceppo di Padre Umberto, del Carleu del Virginio, non conosciamo l’origine del nome. Ogni ceppo familiare ha quindi un attributo di identificazione. Sarebbe utile documentarli anche per gli altri cognomi prima che se ne perda traccia.
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