Niente di piu’ buono col caffelatte della mattina di una fragrante michèta ancora calda di forno, un lusso davvero, perché il latte col caffè d’orzo o di cicoria si sposava sempre col pane raffermo- Ul pan séc. Saranno state economie di povera gente, ma sicuramete preservavano da tutti quei bruciori di stomaco regalati dai moderni biscotti e merendine, conditi di tanta pubblicità e da tutti quei grassi alimentari che categorica mente ci rifiutiamo di acquistare dal macellaio. E il “Pan Giòld”, certo il pane giallo era ed e’ un vero rito a cominciare dalla forma, la Roea. Una ruota bella e grande che a fatica era contenuta dalla “sporta da la masera” (Borsa da Spesa della massaia ), la cui forma appunto, doveva propiziare il corretto taglio delle fette, sottili di mollica e con un pò di crosta intorno, perche’ mangiandole richiamasse leggermente di bruciato. Il Pan Giòld, quello con la farina da furmenton e’ sempre stata la base per i nostri piatti semplici ma non per questo senza regole di confezione.
La Supa o zuppa, può essere fatta con gli ingredienti che la stagione offre e che la tasca della masera permette: Supa da verdura, breud da galina, breud da manz o da vaca, buseca, l’essenziale è comunque che il pane giallo, venga tagliato a coltello dall’esterno della crosta verso l’interno, facendone fette sottili, non tocchi. Le fettine vanno messe nelle scodelle sfarinate di formaggio grana, e sopra vi si versa la zuppa. Quando la zuppa si è raffreddata e ul “Pan giòld l’e’ ben murisnà” allora si puo’ mangiare. Si faccia attenzione a bagnare il pane con la zuppa e mai mettere il pane giallo nella zuppa, altrimenti sa fa una sòpa pal can un mangiare per cani. Altro pandolce nostrano poi era la “Bròsela” che poteva essere ricoperta cui Fig fichi, uga mericana pasa, nus noci, una via di mezzo fra il pantranvai e un osso da mordere o os da mort. Chissà mai che i nostri forni possano ridare un ruolo di prestigio a queste nostre semplici, ma autentiche leccornie.
Anselmo Carabelli