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L’importanza della figura di San Carlo Borromeo (Arona, 2 ottobre 1538 – Milano, 3 novembre 1584)

chiesa di San Giorgio in Jerago – foto di Francesco Carabelli

Testo di Francesco Carabelli – originariamente pubblicato su Un popolo in cammino – Luglio 1995

Il periodo in cui agisce la figura di S.Carlo Borromeo è senza dubbio uno dei più importanti, anzi può essere il punto cruciale di tutta l’età rinascimentale post-medioevale.  La situazione è problematica, visto che la Riforma ha colpito tutta l’Europa, prima con Lutero in Germania e poi con Calvino in Svizzera, in Francia e anche in Inghilterra. Per la Chiesa cattolica romana è necessaria una riaffermazione del proprio potere e, meglio ancora, del proprio prestigio per evitare che, anche zone come il nord Italia o la Spagna cadano nel “baratro” protestante. La Spagna, da parte sua, ha un re (Filippo II) che non lesina le persecuzioni e i processi per eresia; il problema resta quindi la zona del milanese vicina alla Svizzera e alla Valtellina (colpita dal movimento valdese). E’ proprio in questa condizione precaria che trova spazio e si impone sopra le altre la figura di Carlo Borromeo, poi fatto santo proprio per l’impegno dimostrato nel risolvere questa delicata situazione.  Nonostante le nobili origini, S.Carlo non sfrutta la sua posizione, ma passa per anni e anni di apprendistato e di studio e, solo dopo molto tempo, ottiene la sede vescovile di Milano.  Obiettivo primario della sua opera è quello di riproporre alla gente la figura del religioso, come di un uomo che si dimostra disponibile in ogni problema e diventa così esempio per tutta la società. In fin dei conti, come afferma il Tenenti, la riforma nasce dalla lenta ma progressiva corruzione di quei valori e di quegli ideali che accomunavano tutto il popolo europeo, cioè i valori cristiani. Fonte della corruzione erano senz’altro gli stessi rappresentanti del clero che, invece di dedicarsi alla loro funzione primaria, si occupavano troppo della vita politica ed economica e spesso si davano al vizio. Da qui lo sviluppo di un certo lassismo che, come affferma il Bendiscioli, doveva esser contrastato in ogni modo per rilanciare la reputazione della Chiesa.

Certamente S.Carlo non vuole dar vita ad un movimento controriformista, ma sa che è necessaria la severità e soprattutto una costante vicinanza al popolo. Necessaria è quindi anche la rieducazione dei nuovi sacerdoti a questi valori e, mezzo per far ciò, è un’idea rivoluzionaria: il seminario. Il primo e’ quello di S.Vito al Carrobbio nel 1565, ma a questo ne seguono ben presto molti altri, visto che l’idea viene approvata dal papa e diffusa anche al di fuori della diocesi milanese. A questa istituzione si accompagna la formazione di una “scuola dellla dottrina cristiana” col compito di formare i sacerdoti già da tempo in servizio, affinché imparino ad essere maggiormente responsabili delle loro azioni e del loro compito. S.Carlo cerca anche di avere un contatto più diretto con il clero e con il popolo, attraverso sinodi e visite pastorali con le quali portare conforto alla gente.

In questo modo egli riafferma la funzione pastorale del vescovo, che da tempo era diventata solo un trampolino di lancio per cariche più importanti. Ma la sua opera non si conclude a questi pochi, ma significativi, provvedimenti. Egli impone un contegno €ineccepibile a frati e suore, e per ottenere il suo scopo fa si che non ci sia promiscuità degli ordini. Inoltre impone una clausura totale a tutti gli ordini che precedentemente la trascuravano e costituisce un tribunale apposito per il clero, con la minaccia di espellere chiunque osi trasgredire le regole. Tutto questo sembrerà un po’ brusco, ma non c’era altro modo per ricomporre una confusione che nasceva soprattutto dalla perpetua commistione di politica e religione. In questo modo, S.Carlo limita l’afflusso forzato dei figli cadetti dei nobili verso i monasteri, anche imponendo seri controlli sulle vocazioni, e costringe tutti i monaci a prendere sul serio il proprio compito e a riflettere sulla loro condotta di vita, spesso sregolata.  Certamente i metodi non sono però quelli dell’inquisizione, visto che S.Carlo non si vuol porre nell’ambito controriformista ma sono sufficienti a richiamare all’ordine le fila.  Il controllo non si limita solo agli ordini conventuali, ma anche ai singoli parroci attraverso la figura del “vicario foraneo”.  S.Carlo cerca di dare nuovo stimolo e in  gran parte ci riesce conquistando anche il rispetto e l’amore del popolo che si vede aiutato da qualcuno a migliorare la propria conduzione, anche grazie all’opera educativa a livello agricolo e medico delle scuole parrocchiali. Non a tutti però piace l’opera di S.Carlo, soprattutto quando pretende di sostituirsi allo stato per condannare le ingiustizie, e questo gli provoca, se non l’odio, almeno l’avversione degli spagnoli, che egli spesso scomunica (vedi Requesnez). La figura del cardinale diventa esempio di una nuova era, in cui il vescovo, seguendo i dettami del concilio di Trento ritorna alla sede vicino al suo “gregge”, ma è anche esempio perché capace di nuove soluzioni che diventano importanti a livello internazionale. Laddove la controriforma in corso di sviluppo porta al terrrore e all’oppressione, S.Carlo porta ordine, ma dà anche sbocchi nuovi alla gente comune e a coloro che sono assetati di sapere, attraverso, la costituzione del “Collegio Borromaico”. Il Borromeo si fa espressione evidente del rigore della nuova Chiesa, rigore che spesso, riprendendo il Croce, veniva limitato dall’opera controriformista per non dar spazio a movimenti che potevano risultare negativi alla riaffermazione del dogma. S.Carlo è quindi da lodare per quello che ha fatto, ma anche per essere riuscito a dimostrare quanto valida e positiva fosse la riforma cattolica pura, priva di persecuzioni o di inquisizioni.

Si ringrazia la prof.sa Cristina Boracchi per l’inquadramento della figura di San Carlo Borromeo, oggetto di una delle sue lezioni presso il liceo scientifico di Gallarate – a.s. 1994/95. A questa lezione si rifà il testo qui sopra riportato.

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Orago nella Galleria vaticana delle Carte geografiche

(ricerche  A. Carabelli)

La galleria delle Carte geografiche, venne inaugurata nel 1581 dal papa bolognese Gregorio XIII Boncompagni colto e severo Pontefice della Controriforma. Pontefice che amava in ugual modo la Chiesa, le scienze e le arti, cui si deve anche la riforma del vecchio calendario giuliano. Fu insegnante all’università di Bologna e collega del matematico, geografo e cosmografo Ignazio Danti, che chiamò a Roma per progettare le quaranta carte geografiche, realizzate ad affresco da un team di pittori tra i quali il varesino Giovan Antonio Vanosino, specialista in riproduzioni cartografiche, unitamente a Girolamo Muziano, Cesare Nebbia ed ai fiamminghi Mathias e Paul Bril. La galleria fu realizzata per consentire una passeggiata nell’Italia rappresentata su carte dislocate lungo le pareti, restituite in prospettiva aerea ed in scala variabile da regione a regione. In quella identificata dal cartiglio Mediolanensis ducatus si illustra la Lombardia e nella zona dei laghi è ben evidenziato Orago, naturalmente questo ci inorgoglisce. La cartina dove il nome di Orago, risulta sovradimensionato anche rispetto a Galarà e Crena consentiva al Papa di orientarsi anche geograficamente nelle sue scelte temporali. Venti anni dopo il Concilio di Trento, papa Gregorio, poteva ben accompagnarsi a San Carlo in quel corridoio, discutendo dei problemi della riforma protestante e del pericolo di un suo insinuarsi nel Ducato milanese  al seguito di una possibile calata di armigeri svizzeri. Non a caso, un riformatore temibile quale Huldrych Zwingli[1]del canton Glarona, cappellano al seguito degli svizzeri, lo si era visto passare anche nel gallaratese. Bisognava essere vigili, anche se i fatti recenti dal 1517, quali la sconfitta a Marignano (Melegnano) denunciavano come gli elvetici avessero perso molto dello smalto guerriero a motivo delle discordie tra cantoni e della poca familiarità al combattimento in vasta pianura. I confederati avevano anche garantito al re francese la rinuncia alla loro politica espansionistica. In quella passeggiata romana,  il nostro Arcivescovo, che  ben conosceva l’orografia montana dell’alto Ticino, avendo visitato  più volte Biasca e la sua   chiesa romanica di San Pietro, che si affaccia sia sul Lucomagno che sul Passo del San Gottardo, avrà  sicuramente tranquillizzato il Papa facendogli notare come Lugano, e particolarmente  Bellinzona, con i suoi potenti  castelli,  seppur ceduti di recente alla Confederazione, erano col vicino Uri, cantoni di provata fede cattolica, quindi baluardi sicuri.  Esisteva poi tutta una seconda linea, di difesa nel varesotto: la cerchia di Castelli Viscontei e del Seprio tra le radici del lago Maggiore e di Como. E’ bello immaginare come San Carlo indicasse al Papa proprio Orago come centro rappresentativo di quella serravalle e di quel baluardo. Questo riferimento alla riforma protestante, ed alla riforma Cattolica ci fa apprezzare il motivo della grande attenzione che il Cardinale Carlo riservò a tutte le parrocchie della sua diocesi visitandole personalmente, con massima cura per l’educazione dei sacerdoti e la loro fedeltà ai dettami del Concilio di Trento. Non fu un caso che alcune comunità protestanti[2], si erano formate autonomamente attorno a sacerdoti italiani che si erano autoesclusi dall’obbedienza al Papa. Ecco allora che il Cardinale elogia i parroci che leggono ad alta ed intelligibile voce, la bolla in Coena Domini di Gregorio XIII[3], a tutta la popolazione radunata in chiesa, ivi compresi i titolari del castello; bolla con la quale si condannava la protezione accordata agli eretici, la falsificazione di qualsiasi documento pontificio e molto altro. Ecco perché è importante che i sacerdoti siano dotti e capiscano bene ciò che leggono. Solo così possiamo apprezzare le raccomandazioni e gli ordini particolari dati al parroco Giacomo dell’Acqua (infra ordinanze particolari).

23 giugno 1570 (Visita del Cardinale Carlo Borromeo alla parrocchia di San Giovanni Battista)

Compiuta la visita a Cavaria il Cardinale nello stesso giorno salì ad Orago: villaggio che contava circa 120 anime. Era parroco prete Giacomo Dell’Acqua di anni 36, provvisto del beneficio parrocchiale da Papa Pio IV, nel novembre del 1564, per la morte di prete Bernardo da Cassano, immediato ed ultimo rettore di questa parrocchia. Nello stato del clero della Pieve di Gallarate del 1570 si legge di lui che era di buona vita, che leggeva bene, ma capiva poco[4]). Tra le ordinazioni lasciate si legge:

“Si faccia una sacristia a mano sinistra dell’altare et una cappella grande col suo armario et altre cose

Si exorta la sig. ra Bianca finir la cappella cominciata (infra Bianca Visconti Lampugnani)

Erigiamo ex nunc in questa chiesa la scuola del S.mo Sacramento sotto le regole date in stampa

Si faccia un Pallio di ciambellato bianco, con pianeta et fornimenti del medesimo colore, quando si potrà.

Si faccino quattro tovaglie longhe che cuoprino i doi lati dell’altare secondo la forma delle istruttioni g,nali (generali).

Si compri un aspersorio secondo la forma con un sedellino per l’acqua santa ed una baciletta per la messa.

Si provveda di una continenza longa per portare il S.mo Sacramento agli infermi. Si faccia un baldacchino per portare il Sacramento.

Si provveda doi fodrette per custodire il calice.

 Si facciano quattro fazzoletti per asciugare le mani nella messa.

Si compri un cossino et scabellino per il messale.”

Ordini particolari per il parroco Dell’Acqua: “Fra un anno venga da noi a Milo (Milano) all’esamine”[5]

[1]Lutero, Zwingli, Calvino, Melantone, Ecolampadio sono considerati i padri della riforma protestante. Nella Confederazione elvetica si erano formate due fazioni contrarie: Unione cristiana, protetta dagli austriaci che riuniva i cinque cantoni cattolici e l’alleanza evangelica dei quattro cantoni protestanti: Zurigo, Basilea, Berna, Sciaffusa con gli alleati San Gallo, Bienne, Mulhouse e Strasburgo. I cantoni Glarona; Friburgo, Soletta e Appenzello rimasero neutrali. vedi Piero Bianconi, Simona Canevascini, L’esilio dei protestanti Locarnesi, Locarno 2006, Armando Dadò Editore.

[2]Il riferimento è alla nota precedente sull’origine dei protestanti locarnesi

[3]Il papa cui si deve la carta geografica in oggetto

[4]Archivio Arcivescovile . Sez,X, pieve di Gallarate

[5]Archivio Plebano/Gallarate) f.81-89-119 – La lingua usata nel testo delle ordinazioni non è propriamente letteraria; utilizza un gergo volgare tale da renderlo comprensibile ai destinatari