
Testo di Francesco Carabelli – originariamente pubblicato su Un popolo in cammino – Luglio 1995
Il periodo in cui agisce la figura di S.Carlo Borromeo è senza dubbio uno dei più importanti, anzi può essere il punto cruciale di tutta l’età rinascimentale post-medioevale. La situazione è problematica, visto che la Riforma ha colpito tutta l’Europa, prima con Lutero in Germania e poi con Calvino in Svizzera, in Francia e anche in Inghilterra. Per la Chiesa cattolica romana è necessaria una riaffermazione del proprio potere e, meglio ancora, del proprio prestigio per evitare che, anche zone come il nord Italia o la Spagna cadano nel “baratro” protestante. La Spagna, da parte sua, ha un re (Filippo II) che non lesina le persecuzioni e i processi per eresia; il problema resta quindi la zona del milanese vicina alla Svizzera e alla Valtellina (colpita dal movimento valdese). E’ proprio in questa condizione precaria che trova spazio e si impone sopra le altre la figura di Carlo Borromeo, poi fatto santo proprio per l’impegno dimostrato nel risolvere questa delicata situazione. Nonostante le nobili origini, S.Carlo non sfrutta la sua posizione, ma passa per anni e anni di apprendistato e di studio e, solo dopo molto tempo, ottiene la sede vescovile di Milano. Obiettivo primario della sua opera è quello di riproporre alla gente la figura del religioso, come di un uomo che si dimostra disponibile in ogni problema e diventa così esempio per tutta la società. In fin dei conti, come afferma il Tenenti, la riforma nasce dalla lenta ma progressiva corruzione di quei valori e di quegli ideali che accomunavano tutto il popolo europeo, cioè i valori cristiani. Fonte della corruzione erano senz’altro gli stessi rappresentanti del clero che, invece di dedicarsi alla loro funzione primaria, si occupavano troppo della vita politica ed economica e spesso si davano al vizio. Da qui lo sviluppo di un certo lassismo che, come affferma il Bendiscioli, doveva esser contrastato in ogni modo per rilanciare la reputazione della Chiesa.
Certamente S.Carlo non vuole dar vita ad un movimento controriformista, ma sa che è necessaria la severità e soprattutto una costante vicinanza al popolo. Necessaria è quindi anche la rieducazione dei nuovi sacerdoti a questi valori e, mezzo per far ciò, è un’idea rivoluzionaria: il seminario. Il primo e’ quello di S.Vito al Carrobbio nel 1565, ma a questo ne seguono ben presto molti altri, visto che l’idea viene approvata dal papa e diffusa anche al di fuori della diocesi milanese. A questa istituzione si accompagna la formazione di una “scuola dellla dottrina cristiana” col compito di formare i sacerdoti già da tempo in servizio, affinché imparino ad essere maggiormente responsabili delle loro azioni e del loro compito. S.Carlo cerca anche di avere un contatto più diretto con il clero e con il popolo, attraverso sinodi e visite pastorali con le quali portare conforto alla gente.
In questo modo egli riafferma la funzione pastorale del vescovo, che da tempo era diventata solo un trampolino di lancio per cariche più importanti. Ma la sua opera non si conclude a questi pochi, ma significativi, provvedimenti. Egli impone un contegno ineccepibile a frati e suore, e per ottenere il suo scopo fa si che non ci sia promiscuità degli ordini. Inoltre impone una clausura totale a tutti gli ordini che precedentemente la trascuravano e costituisce un tribunale apposito per il clero, con la minaccia di espellere chiunque osi trasgredire le regole. Tutto questo sembrerà un po’ brusco, ma non c’era altro modo per ricomporre una confusione che nasceva soprattutto dalla perpetua commistione di politica e religione. In questo modo, S.Carlo limita l’afflusso forzato dei figli cadetti dei nobili verso i monasteri, anche imponendo seri controlli sulle vocazioni, e costringe tutti i monaci a prendere sul serio il proprio compito e a riflettere sulla loro condotta di vita, spesso sregolata. Certamente i metodi non sono però quelli dell’inquisizione, visto che S.Carlo non si vuol porre nell’ambito controriformista ma sono sufficienti a richiamare all’ordine le fila. Il controllo non si limita solo agli ordini conventuali, ma anche ai singoli parroci attraverso la figura del “vicario foraneo”. S.Carlo cerca di dare nuovo stimolo e in gran parte ci riesce conquistando anche il rispetto e l’amore del popolo che si vede aiutato da qualcuno a migliorare la propria conduzione, anche grazie all’opera educativa a livello agricolo e medico delle scuole parrocchiali. Non a tutti però piace l’opera di S.Carlo, soprattutto quando pretende di sostituirsi allo stato per condannare le ingiustizie, e questo gli provoca, se non l’odio, almeno l’avversione degli spagnoli, che egli spesso scomunica (vedi Requesnez). La figura del cardinale diventa esempio di una nuova era, in cui il vescovo, seguendo i dettami del concilio di Trento ritorna alla sede vicino al suo “gregge”, ma è anche esempio perché capace di nuove soluzioni che diventano importanti a livello internazionale. Laddove la controriforma in corso di sviluppo porta al terrrore e all’oppressione, S.Carlo porta ordine, ma dà anche sbocchi nuovi alla gente comune e a coloro che sono assetati di sapere, attraverso, la costituzione del “Collegio Borromaico”. Il Borromeo si fa espressione evidente del rigore della nuova Chiesa, rigore che spesso, riprendendo il Croce, veniva limitato dall’opera controriformista per non dar spazio a movimenti che potevano risultare negativi alla riaffermazione del dogma. S.Carlo è quindi da lodare per quello che ha fatto, ma anche per essere riuscito a dimostrare quanto valida e positiva fosse la riforma cattolica pura, priva di persecuzioni o di inquisizioni.
Si ringrazia la prof.sa Cristina Boracchi per l’inquadramento della figura di San Carlo Borromeo, oggetto di una delle sue lezioni presso il liceo scientifico di Gallarate – a.s. 1994/95. A questa lezione si rifà il testo qui sopra riportato.