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Mese di Aprile

dipinto raffigurante San Giorgio e il Drago realizzato dal Sig. Gianfranco Battistella per la Chiesa Vecchia di San Giorgio restaurata – si notino ai lati le raffigurazioni degli ex parroci don Remo Ciapparella e don Angelo Cassani

Tratto  da ” Le ricette della Nonna -cucina, usi, espressioni, attività, feste religiose – nella vita di un borgo dell’alto milanese tra il 1800 e il 1940”, a cura di Anselmo Carabelli con Enrico Riganti, Tipografia Moderna, Collana Galerate, Gallarate, 2000

Celebrate le festività pasquali troviamo la Festa del S. Patrono: “ ul San Giörg”.

L’effigie del patrono a cavallo che uccide il drago contrassegna le nostre campane, appariva bellissima sulla facciata della vecchia parrocchiale, nel grande affresco del Tagliaferri, rimane ancora sullo Stendardo dei Confratelli, sulla croce Capitolare, ed è affrescata sulla volta della chiesa nuova dal pittore Orsenigo e sul quadro ad olio dell’ingresso laterale . Come non ricordare il San Giorgio della bandiera bianca della Unione Giovani Cattolici . Nel 1931 per ordine ministeriale, tutte le associazioni cattoliche nazionali dovettero essere sciolte, i dirigenti furono diffidati dallo svolgere attività e fu imposta la consegna dei simboli all’autorità. I Carabinieri si presentarono a Don Massimo per eseguire l’ordine. Egli rispose loro che quel simbolo non si trovava nella casa parrocchiale e forse, nel merito, poteva essere più preciso il Presidente Mario Paoletti. Il Carabiniere garbatamente lo tranquillizzò invitandolo a non preoccuparsi perché anche lui “ era un giovane cattolico” ; la bandiera fu così salvata. Con la stessa determinazione don Massimo difese anche le nostre Campane dal conferimento obbligatorio, ordinato nel periodo bellico, nascondendole sotto la terra del vecchio Cimitero della Chiesa.

Le campane della antica chiesa di San Giorgio In Jerago – Uno dei primi concerti di campane del famoso fonditore varesino Bizzozzero

Ul San Giörg”

Si è sempre celebrato la domenica successiva al 24 aprile, data della ricorrenza, e veniva preceduto da un  triduo di preparazione.

Domenica 30 aprile 1944

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La Chiesa vecchia di San Giorgio

(di Anselmo Carabelli)

Nell’impianto murario della Chiesa di San Giorgio, si evidenziano alcune tracce della nostra  storia. Ne sono conferma il Campanile Romanico, scoperto come tale nel 1989 e le testimonianze dell’impianto medievale della più antica chiesa, ancora evidenti nella parte sud occidentale della zona absidale.  Esse documentano chiaramente la presenza di una comunita’ locale numerosa e ben organizzata, tale da riuscire a produrre un manufatto ardito e complesso come il campanile databile tra il X  e l’XI sec. In conseguenza di questa datazione  allo storico si pone una domanda relativa alla mancaza di citazione della chiesa di San Giorgio nella descrizione di Goffredo da Bussero (circa 1280), in cui si legge “In plebe Gallarate, loco Alieragi, ecclesia sancti Jacobi Zebedei”. Perché dunque si cita la chiesa di San Giacomo e non la Chiesa di San Giorgio ? Non dobbiamo pero’ dimenticare che si fa riferimento alla pieve e quindi a  tutto cio’ che ecclesiasticamente attiene  al complesso di dipendenza religiosa dalla Pieve di Gallarate. Pieve, quella di Gallarate, che dal X secolo si era sostituta alla Pieve di Arsago da cui precedentemente dipendevamo. Si puo’ desumere  che quanto di non espressa appartenza alle Pieve potesse essere trascurato nella descrizione. In questa analisi ci soccorre il raffronto di alcuni particolari architettonici. Se si paragona San Giacomo a San Vittore di Arsago non si puo’ ignorare la affinità che intercorre tra le finestrelle monofore in sasso della piccola abside e del timpano della porta di accesso di San Giacomo con i particolari similari del lato nord della chiesa di San Vittore. Ma il motivo della dipendenza é semplice perché San Giacomo nasce come oratorio campestre dove i pievani di San Vittore di Arsago verranno a dir messa la domenica mentre le altre funzioni e i Sacramenti del Battesimo e della Cresima verranno amministrati nella chiesa battesimale di Arsago. Questo giustifica ed é connesso alla presenza del noto Battistero di Arsago e  rende necessario  spiegare che cosa rappresentasse per noi questo Battistero. La presenza contemporanea  prima del VII secolo di pagani, di ariani di vari sincretismi religiosi evidenziò la necessità di una profonda opera di missionarietà nella diffusione della autentica fede di osservanza romana, ecco dunque che nascono delle chiese, battesimali appunto dove il rito del Battesimo assume la autentica dimensione di entrata a far parte della comunità cristiana, che si distingue dalle altre comunità pure presenti sul territorio.

Estremamente importante era dunque il periodo di preparazione alla condivisione della fede cristiana, che avveniva attraverso un periodo che andava dal giorno di Epifania fino al giorno del Sabato Santo, quando veniva amministrato il Santo battesimo per immersione nella Vasca del Battistero. Coloro che si preparavano al Battesimo confluivano dalle zone viciniori al Battistero che aveva funzione di aula di insegnamento. Si chiamavano Catecumeni ed entravano nel Battistero dalla porta di nord: il nord simboleggiava le tenebre; gli studenti catecumeni si dividevano: gli uomini nell’aula ottagonale del battistero e le donne nel matroneo, cui si accedeva dalla piccola scala sulla sinistra dell’ingresso di nord. Il giorno di Sabato Santo chi era ammesso al Sacramento del Battesimo nell‘ambito dei riti della benedizione dell’acqua veniva battezzato per immersione e gli veniva imposta la veste bianca che portava fino alla domenica dopo Pasqua, che ancora viene chiamata in Albis (in bianco) e usciva dalla porta di sud del Battistero a simboleggiare che le tenebre erano state squarciate e si usciva alla luce del sole o della verità appunto. I catecumeni ormai Cristiani rientravano alle loro casupole intorno alla prime cappelline e per Alierago  (Jerago), quella cappellina era San Giacomo. San Giacomo poi passò alla pieve di Gallarate e passò alla parrocchia di Jerago quando questa assurse al titolo di Parrocchia di San Giorgio.  Ma allora perché di San Giorgio non esiste menzione? E’ appunto qui che si apre uno studio su un argomento fino ad ora trascurato, perché localmente privo di presupposti:  quello della presenza Benedettina. Quando infatti durante il restauro del Campanile di san Giorgio sono venute alla luce le originali finestrelle monofore, prima tamponate, si é potuto constatare come esse siano formate da voltino in cotto a mattoni di costa (reimpieghi  di tegulae romane) sormontate da mattoni di piatto, messi a “bardellone”.

Questa e’ una tecnica del tutto simile a quella usata nel monastero di Torba, nel complesso di San Primo e Feliciano di Leggiuno e nella Abbazia di San Donato in Sesto Calende, tutte in rapporto con gli ordini monastici benedettini di San Gallo. Tali ordini monastici sono da collegarsi alla azione dei cosiddetti monaci irlandesi scesi in Italia dal nord  all’epoca di Gregorio Magno e per suo volere, al fine di recuperare al cristianesimo romano le località, di presenza longobarda, diventate ariane e pagane nel VII sec.  In tale opera di riconquista religiosa si distinse san Colombano (che sara’ vescovo di Bobbio) e il suo discepolo san Gallo, che operò prevalentemente nelle nostre zone. A testimonianza di ciò rimangono le numerose dedicazioni di chiese alla sua memoria. Chiesa di san Gallo a Vergiate e Santa Maria del Gallo a Buzzano. L’opera di recupero alla fede religiosa avvenne appunto attraverso la formazione di comunità, cappelle e monasteri. Le comunità longobarde furono avvicinate anche attraverso la dedicazione di chiese a San Giorgio perché tale Santo soldato doveva essere molto vicino alle abitudini guerriere del popolo dominatore. I monasteri avevano il compito di affrancare il popolo dalle servitù che erano diventate insopportabili, in effetti alle tasse romane che erano rimaste, si erano aggiunte le tasse dei popoli dominatori e quindi la dipendenza da un monastero permetteva al contadino di affrancarsi da quel tipo di oppressione.  Jerago oltre ad avere una chiesa dedicata a San Giorgio, era in prossimità del Monastero femminile delle monache della Calvaria (Cavaria), Monastero che peraltro possedeva proprio dei beni nei pressi della chiesa di San Giorgio. Si deve anche ricordare che il Parroco di San Giorgio in Jerago fu anche confessore del Monastero di Cavaria. La parrocchia di San Giorgio teneva un pellegrinaggio antico presso la Chiesa di Santa Caterina del Sasso di Leggiuno tradizione molto più antica di quella del Pellegrinaggio al Sacro Monte. Altro pellegrinaggio assai interessante é quello dei fedeli di San Maurizio di Solbiate alla chiesa di Buzzano. Anche questa tradizione scopre un itinerario di fede antica e benedettina. Come abbiamo rilevato i popoli locali di prima cristianizzazione ridiventarono all’epoca della caduta dell’impero romano o ariani o di incerta fede e i missionari di San Gallo tentarono di recuperarli alla fede attraverso tradizioni antiche, quali appunto quella di San Maurizio martire. Questi era legionario nella legione tebea che la tradizione vuole di stanza in queste zone all’ epoca di Diocleziano. Fu martirizzato nei pressi di Octodurum (Martigny) per essersi rifiutato come cristiano di sacrificare alle divinità pagane. Il recupero della testimonianza cristiana di questo santo proprio a Solbiate da parte dei Benedettini secondo un modo che abbiamo visto usuale, permette questa riflessione. Il santo non é estraneo alla popolazione, ma fa rivivere la  vicenda cristiana di un personaggio noto che aveva vissuto qui, servendo negli accampamenti romani che in questa zona erano diffusi ed era martire Cristiano venerato alla luce del sole dopo l’editto di Milano 312. La tradizione fu recuperata dall‘opera benedettina che portò anche al pellegrinaggio verso una meta benedettina come appunto santa Maria del gallo di Buzzano.  Tutta questa serie di riflessioni, che debbono essere ulteriormente approfondite e ampliate tendono ad aprire uno spiraglio su un mondo quale il Medio evo che, solitamente, viene considerato come periodo dai secoli bui, ma bui anche perché non sufficientemente approfonditi o conosciuti.  Per quanto concerne la nostra vicenda, mentre si conosce tutto del periodo visconteo, la parte precedente alla caduta dei Torriani e di Castelseprio sta per essere approfondita dai vari studiosi proprio in questi tempi. Quindi con l’innesto della chiesa di San Giorgio nella vicenda benedettina per i motivi sopraesposti si apre un aggancio della nostra piccola comunità cristiana e civile alla più vasta vicenda del Seprio.   Tale vicenda si può leggere anche nello studio sulla antropizzazione antica delle nostre zone, cioe’ sul rapporto intercorrente tra uomo e ambiente nell’antichita’. (segue)

Ul presèpi in gésa – Il presepio della chiesa

Nel mio ricordo di Natale non è mai mancato il Presepio, primo fra tutti il presepio grande della chiesa. Già dalla settimana che segue i morti, un drappo impediva alla vista dei fedeli il vano dell’altare di San Carlo. Un impalcato di assi, che poggiava sulla mensa e sulla balaustra prospiciente, avrebbe fatto da piano al presepe, lasciando vuoto il solo spazio di una botola centrale per interventi di emergenza, quando qualcosa di luci o di meccanismi si fosse inceppata. Lì, abili parrocchiani trasformatisi in artigiani volontari avrebbero operato fino alla vigilia, costruendo e montando: scenografie, colline, deserti fondali, luci, studiate per rendere il diorama più attraente. Andavi a casa loro e già da agosto potevi osservarli segretamente all’opera in un avvento precoce. Gli sfondi, il fiume, le case in sasso, gli ambienti particolari, tanti marchingegni elettrici e meccanici, nascevano dalla loro vivace fantasia e dalla abilità delle loro mani, per poi essere ricomposti nel presepio. Le statue no, erano sempre le stesse, confinate nell’attesa dell’uso in una soffitta della sacrestia, là dove solitamente si radunano gli oggetti dismessi, in vano noti solo ai fortunati chierichetti in esplorazione. Esse avevano tutte una propria storia, che emergeva dal racconto dell’anziano mentre le liberava con delicatezza dall’involucro di carta da giornale: Vedi, la Madonna è ancora quella di Don Massimo, gliela aveva regalata la sorella suora, ma il San Giuseppe no, perché si era rotto nel trasloco della Chiesa Vecchia e allora lo aveva procurato l’architetto progettista della Nuova, lui era di Milano e nella capitale, si sa, c’è proprio tutto.  Ma anche il Bambinello veniva da Milano, dal  negozio dove si riforniscono i preti, quello di fianco al Duomo. Don Luigi vi aveva mandato il Romano perchè ne comperasse uno, di quelli grandi, per l’altare, da posare in un cestino come fosse la mangiatoia, che poi, quando veniva la ricorrenza della strage degli innocenti, vestiva di rosso, perché la gente capisse. Era così bello il Bambinello, che il Romano,  già che c’era, ne aveva comperato anche uno più piccolo per il presepe, perché quello vecchio della capanna non sfigurasse con quello nuovo dell’altare. Vedi queste statue qui quanto sono pesanti, sono ancora in gesso pieno, solide, di prima della guerra, le vendevano bianche e poi si pitturavano in casa. Il bue, l’asinello, per non parlare delle numerose pecore, dei cammelli, dei dromedari accasciati a terra coi basti e dei tanti personaggi; li aveva dipinti il Gino, l’Ambrogio Riganti, che  era un bravo pittore, diplomato all’Accadenia di Brera. Sai, quella bella casa in mattoni rossi di fianco all’Auditorium era la sua e lì aveva anche il suo studio. Portava sempre un basco blu molto largo come gli artisti parigini..”  Ecco, simili ed altre argomentazioni potevi ascoltare, se avevi la fortuna di essere nel gruppo di questi indimenticabili costruttori. Ti facevano  collaborare, anche se piccolo ma solo col permesso della mamma, magari per tirare un filo elettrico, per passare la cassetta dei chiodi, per fare il garzone e forse riponevano in te la segreta speranza che un giorno avresti potuto continuare la loro passione. Come  dimenticare, il sig Eugenio Colombo, bravo elettricista e i suoi marchingegni, ruote, manovelle, bielle che animavano una infinità di statuine, ma anche la ruota a settori che serviva a fare il giorno e la notte, il riduttore di velocità, che permetteva di dare un ritmo lento ed umano ai movimenti delle statuine e ad azionare il reostato meccanico, che aumentando o diminuendo l’intensità della corrente, permetteva all’aurora di farsi giorno e al giorno di farsi notte in maniera quasi naturale. Erano ancora lontani i tempi dell’elettronica con i suoi mirabolanti programmi. Il top della nostra tecnologia si affidava interamente all’elettromeccanica da cantina casalinga ricorrendo all’assemblaggio di pezzi da rigattiere; una pompa da lavatrice per il fiume, l’energia meccanica era tratta dal motore di una Pfaff , sostituito perché bruciato e poi riavvolto coi consigli degli elettricisti locali: il Zaffaroni, il Remo Lorenzon o l’indimenticabile sig. Carosi della Rejna. E così ti impratichivi di meccanica, di elettricità, diventavi un fa-façc un tuttofare. Ma anche col muschio non si scherza, va colto per tempo e va fatto essiccare per bene perchè altrimenti il gesso e la cartapesta delle statuine al suo contatto ammuffirebbero. Lo chiamavano munina,  e la più bella era quella che cresceva al bacino sui ceppi vecchi a nord e vi era anche quella rasata e quella più alta che però venivano dal monte Moscone, famoso forse perchè Muschio e Muscon sono assonanti. Un anno, alla ricerca di un inusuale effetto nordico, invece del muschio usarono ul bumbäs, quello che i tessitori chiamano anche munina e a Jerago, allora, non mancavano  n’è gli uni, né l’altra. In quei tempi cominciava la ricerca del nuovo erano gli anni di don Luigino e dei tanti ragazzi che collaboravano. Poi al sig. Colombo subentrarono: il sig. Francesco Cajelli, il sig. Italo Bollini coadiuvati per sapienza elettrica dall’Aldo Riganti, comunque  bravi e valenti quali erano, aspettavano sempre con ansia il giorno della vigilia, quando, tolto il velario, la gente si sarebbe affrettata alla visita e ad esprimere un giudizio. Lì, dopo la Messa Grande di Natale, tutti  si scambiavano gli auguri, e lo sguardo si posava prima sulla capanna: il Bambinello Gesù, Maria e Giuseppe, l’angelo, la stella cometa e poi, via via apprezzava tutti i particolari che emergevano nella luce del giorno ed il villaggio si animava di statuine che prendevano a muoversi. Potevi riconoscere ul pulentat, ul legnamè, i pastur e i so pegur, i berit, il padrone che conduce l’asinello fino a sparire nella galleria dietro le montagne di cartapesta, il bivacco dei cammellieri. La notte spegneva tutte le luci e in sottofondo  rimaneva il solo gorgogliare del ruscello alla tenue luce della luna e l’incombente e inquietante presenza del castello di Erode.  Due angeli, in trionfo, sospesi alle due quinte laterali apparivano col beneaugurante cartiglio “Gloria in excelsis Dei, et in terra pax hominibus bonae voluntatis“.

In un angolo della navata, nascosti dietro uno dei  grandi pilastri del tiburio, i costruttori, soddisfatti e felici come non mai, assaporavano la gioia di un lavoro ben fatto remunerato ampiamente dallo stupore e dalla meraviglia che intuivano negli occhi dei bambini impegnati a spintonarsi per conquistare i posti piu vicini alla capanna. Questi davanti alla capanna o in piedi sulle panche che fanno da divisorio non volevano proprio più allontanarsi dal Presepio .

Sicuramente Carmine Garavaglia, che lo scorso anno ha ottenuto dalla FOM l’alto e prestigioso riconoscimento di miglior costruttore di presepi nella diocesi, era fra quei bambini.  

La vita del borgo tra il 1920 ed il 1960 rivive nella memoria fatta e redatta in dialetto dalla sig.na Rina Cardani

(stesura del testo dialettale e testo italiano: A. Carabelli)

Ma pär una bèla roba cuntà su cuma sa vivéa in dul nost paés  in di an indré, qui dul Carlo Cudiga, tant pa intendass, quandu i noni d’incoeu ean giuin. A matina bunura dul di laù, par scurlà su chi ca ghea anmò indurmentò e butà giò dul let i pusé pigar, l’éa ul campanin a dà la sveglia cui so campan. Ga penséa ul Valentin (Valentino Balzarini, indimenticabile sacrestano di don Massimo Cervini) che già ai cinq al sunea l’Avemaria e pö dopu ul primm, ul segund, ul terz segn e a campanèla, ai cinq e mèza ul don Masim l’ea già su l’Altär pa a Mésa e ai ses e un quärt la Funzion l’ea già finia, parché bisugnea andà al laurà: i uperari a stabliment e i paisan in campagna. Un quärt ai növ a campana di sculär par visài ca l’éa ura d’andà a scöla. L’ éa a stésa campana ca servia da riciam quand vignéa l’esatùr a scöd i tass, e tücc, bén o malbén, sa duea andà da cursa a pagà ul  tributo. Quéla campana lì la déa anca ul ségn da l’Ambulanza dul dutùr Tani,  quandu sa pudéa andà in dul so ambulatòri a fass visità, parchè pai pusé malò, l’ea lù che tücc i dì andéa a truai in cà. Quand l’éa fèsta granda: San Giorg, ul di da a Madona dul Carmine, sunéan i Campan a fèsta, l’éa ul Ratin (Carlo Ratti, disperso nella campagna di Russia, II guerra mondiale) ch’andéa sul Campanin, in scìma, al lighea i campan e lu, ca l’ea un brau sunadùr da a Musica, al tiréa föra chi bèi “Carillon” du l’Ave Maria, dul Garibaldi fu ferito e sa stéa lì tücc cunt la boca vèrta a scultà e a guardà in sü. Al sa déa da fà anca a sunài quand murìa un quèi fieu piscinin. Pai grand l’éa ul Valentin a sunà i doon. E tücc a pensà, chisà chi ca ghé mort e sa cuntéan i culpi fina a növ, se i campan sa ferméan lì l’éa na dona, se andéan inànzi fina trédas un omm. Inlùra sa cugnuséum tücc, mia cume incoeu ca sa cugnòsum quasi pü. Tücc, an bisogn sa ütean, anca da nocc, quand sunéan i campan a martèll: ghé fög, ghé fög, i homm, in forza curéan cui sidéi e chi ca ghéa l’asnin cui butt d’acua par smurzà ul fög e par dà na man. E se pö, d’estä, vegnìa brut témp, ul tempuräl da Santa Catérina sa sunéa ul Rümm, par spacà a tempèsta, e ul don Masim, tutt inprèsa al curéa su a porta da a Gésa par dà a benedizion e dumandà al Signur a cälma di element. In di tempi indrè sa vivéa da campagna e na tempèsta al sarìa stai propri un bel disastar. Quand i coscritt andéan a pasà la léva, prima da andà a Varés o a Galarà, scultean Mésa e fean na bèla scampanò ca la duréa anca mèzura. Pai Spusalizi e i Fénérai l’ea tème mò. 

 

P.S. pensi propri da vé cuntò sù tuscoss dul laur di nostar campan e spéri che questi ricordi va sian propri piasù anca se, adesso che c’è il progresso, queste cose vi potranno essere parse solo quisquiglie.

La signorina Rina Cardani ci ha lasciati nel gennaio 2006 

Traduzione: mi sembra bello raccontare come si viveva nel nostro paese, gli anni passati, quelli del Carlo Cotenna, per intendersi, quando i nonni d’oggi erano giovani. Alla mattina presto dei giorni feriali, per scrollare dal sonno gli addormentati e buttar giù dal letto i pigri, era il campanile a dare la sveglia con le sue campane. Ci pensava il Valentino (Valentino Balzarini, indimenticabile sacrestano di don Massimo) che già alle cinque suonava l’Avemaria e poi, dopo i tre segni di campane alle cinque e trenta, don Massimo era già sull’Altare per dir Messa e alle sei e un quarto la Funzione era già finita. Allora bisognava andare al lavoro presto: gli operai negli opifici e i contadini nei campi. Un quarto alle nove: la campana degli scolari avvisava che era ora di scuola. La stessa serviva di avviso quando veniva l’esattore per riscuotere le tasse, e bene o male si doveva correre per pagare il tributo. Quella campana, dava il segno dell’Ambulanza del dott. Tani quando si poteva andare nel suo ambulatorio a farsi visitare, perché per i malati gravi, era lui che quotidianamente andava a far visita. Quando era festa grande per S. Giorgio, per la Festa del Carmine, suonavano le campane a festa. Era Carlo Ratti (disperso in Russia nella II guerra mondiale), che saliva sul Campanile, in cima, legava le campane e, da bravo suonatore nella Banda, sapeva trarre in ritmi di “Carillon” l’Ave Maria, o il Garibaldi fu ferito; tutti si restava con la bocca aperta ad ascoltare e a guardare in alto. Si dava da fare a suonarle anche per la morte di un bambino. Per i grandi era il Valentino che suonava i “doon”. E tutti a chiedersi chi sarà morto, si contavano i rintocchi fino a nove, se si fermavano lì, era una donna, se proseguivano a tredici un uomo. Allora ci si conosceva tutti, non come adesso che non ci si conosce più. Tutti, per una necessità ci si aiutava, anche la notte se suonavano le campane a martello: c’è fuoco, c’è fuoco, gli uomini validi, correvano coi secchi, chi aveva l’asino con i tini d’acqua per spegnere e per dare una mano. D’estate, alla minaccia del temporale da S. Caterina si suonava il Rumm per rompere la tempesta,  don Massimo correva sulla porta della Chiesa per la benedizione, e implorava Iddio perché calmasse la furia degli elementi. Allora si viveva del frutto dei campi e una tempesta avrebbe prodotto un grave danno. Quando i Coscritti andavano per la visita di leva a Varese o Gallarate, prima, ascoltavano Messa e poi facevano una grande scampanata di mezzora. Per gli Sposalizi e per i Funerali era come oggi.

PS: mi pare di avervi raccontato proprio tutto della fatica delle nostre campane e spero che questi ricordi, vi abbiano fatto piacere, anche se ora che c’è il progresso, queste cose possono essere parse anche piccole.

Passeggiata fra le cappelline e le immagini sacre di Jerago con Orago

Il nostro borgo offre al viandante ed al pellegrino numerose immagini sacre prevalentemente mariane e molte cappelline, che testimoniano una devozione popolare che proviene da tempi remoti e si rinnova continuamente.  La tecnica pittorica a fresco delle immagini ed il materiale cementizio di supporto, le rendono facilmente aggredibili dal tempo.  E’ proprio questa peculiarità che suscita nei contradaioli per l’affetto Verso Maria Santissima il desiderio di mantenere viva l’immagine con opportune manutenzioni, o come avvenuto in molti casi, con la riproposizione della stessa ex novo sulla scorta di antiche testimonianze fotografiche. Con una simpatica riflessione, il nostro parroco Don Remo Ciapparella, osservava che chi passa nei pressi di esse recitando una Ave Maria è come se mandasse un SMS al Cielo. Significativo rilevare come nel mese di maggio i contradaioli vi si riuniscano, guidati dal parroco, per la recita del S. Rosario.

Edicola della Madonnina di Loreto ( Via  G. Bianchi)

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Addossata alla Casa Rustighini di struttura settecentesca, raffigura il trasporto della Santa Casa di Nazareth ad opera di Angeli.  Madonna con bambino assisa sulla santa  casa con due  angeli che la incoronano regina, tra i santi Rocco e Antonio e san Carlo ai lati. Vi si trova affrescata pure la conchiglia del pellegrino, memoria del passaggio di pellegrini che percorrevano, passandole nei pressi, la via Novaria per Santiago.

In Particolare  appare il Campanile della antica chiesa di san Giorgio nella sua originale struttura romanica di prima della sopraelevazione barocca, quando ancora aveva due sole  campane. Gli ultimi restauri  dell’edicola risalgono al 1983, per la direzione del Prof . Bernardo Carli  quando era  Parroco Don Luigi Mauri.

N.B La nostra comunità Parrocchiale è dedicata a Maria Regina della Famiglia quindi, ex post appaiono molto significativi questi due angeli  che reggono la corona di Maria

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Edicola della deposizione (Anticamente nota come l’Addolorata  dei Pagani)

Via Garibaldi

deposizione

Edicola settecentesca con dipinto di buona fattura, nasce isolata nei prati. Solo successivamente sarà inglobata nella costruzione di casa Pagani. Il parroco dell’epoca era Carlo Francesco Pozzi di origine bustese, è quindi possibile abbia affidato la realizzazione pittorica ad affreschisti conosciuti in san Giovanni di Busto, operativi anche allaCertosa di Garegnano (viale Certosa Milano). L’opera presenta richiami stilistici alla deposizione di Simone Paterzano in San Fedele a Milano. All’epoca, terminati i cicli dei Sacri Monti, voluti da San Carlo Borromeo i paesi si arricchiscono di Cappelline devozionali e votive, che possono ricordare i pellegrinaggi nei luoghi sacri, ormai difficilmente raggiungibili. Questa osservazione vale anche per l’edicola coeva della santa casa di Loreto

Restaurata nel 1995 con finanziamento dalla Pro loco, presidente Luigi Turri, Restauratore Claudio Veschetti di Azzate, studi Prof. Armando Vanzini, opere cementizie Antonio Lo Fiego.

Madonna con Gesù Bambino, Madonna del viandante (centro anziani Don Alberto Ghiringhelli Orago)

anziani

Affresco antico di pregiata fattura  posto in origine  sulla  facciata di una  probabile osteria  (zona via Marconi – curt di occ- cortile delle oche) prospiciente l’antica via Helvetica. Con la rettifica della viabilità provinciale nella nuova varesina, la casa perse valore e tutto cadde in abbandono. L’affresco fu strappato per interessamento di Don Ireneo Scaltritti (circa 1970) e dimenticato nella canonica di Oggiona.  Ritrovato  per opera di Carlo Mastorgio ed Eliseo Valenti fu riallocato all’interno del cortile del centro Ghiringhelli nel corso degli anni novanta.

Statua di San Giuseppe nei prati di Orago (ubicata nei pressi del Molino Giambello)

san giuseppe

Oggetto di grande devozione da parte degli oraghesi fin dal 1700, che ogni 19 di marzo vi si recavano in processione partendo dalla chiesa di San Giovanni Battista, scendendo dalla strada di Costa Nuova, tratto di carrozzabile Gallarate-Varese, inoltro nei prati. Benedizione solenne, indi ritorno per la costa dell’asilo. La statua, per voleri testamentari e legati specifici, fin dalla sua origine fu esposta al culto su di un piedistallo, da tempi immemorabili ed in perpetuo. Subì tante e  complesse  vicende descritte con precisione da Carlo Mastorgio in “culto e tradizione di San Giuseppe ad Orago”. Il testo fu riproposto  su “Popolo in cammino”  aprile 2013 pag. 5. Ultimo restauro del piedistallo e ricollocazione  1995 per interessamento dei fratelli Consolaro, su studi dell’ufficio tecnico Comunale, essendo sindaco Livio Longhi.

Beata Vergine del Pilatello (al bivio tra via Pilatello e via Varese)

pilatello

La disponibilità di una delle prime foto a colori di un’antica immagine su cascina Pilatello ha consentito al pittore Gianfranco Battistella di riprodurre ed offrire quell’affresco ormai irrimediabilmente perso,  consentendoci di apprezzarne, anche se in una collocazione diversa l’intenso messaggio religioso ad essa legato. La Madonna assisa in trono con corona ed aureola medievale e rosario nella mano destra, regge il  Bambino rappresentato nell’atto del Cristo Pantrocator. A sinistra San Giovanni Battista con mantello rosso dei martiri  indica l’agnello che ha in braccio e prefigura l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo (Gv 1,29) . A destra  Maria Maddalena con una coppa balsamario coperchiata. La Maddalena nel Vangelo di san Marco 16,1 risulta essere la prima annunciatrice della Resurrezione. Il balsamario non fu mai aperto, perché l’essenza con la quale si recava al sepolcro per ungere il cadavere di Cristo rimase inutilizzata nella teca chiusa, Cristo era risorto.  La nuova  Cappellina è stata benedetta da don Remo Ciapparella il 27-5-2012

Autore del dipinto Gianfranco Battistella. Cappellina, costruita da Antonio Lo Fiego in Collaborazione con Luigi Turri. Coordinazione del  progetto e studi Associazione Figli di Don Angelo  (una descrizione più approfondita in Popolo in Cammino – dic.  2012 – pag. 8-9). Simpatico ricordare come il Parroco di Orago Don Giacomino Bonza, osservando questo quadro nella sua complessità simbolica e nella qualità pittorica dell’esecuzione rilevata peraltro su altri affreschi nel paese, abbia affidato al pittore Battistella la realizzazione del suo desiderio  di collocare nella parrocchiale di San Giovanni Battista  a fronte della Natività una Resurrezione di N. S. Gesù, che si ispirasse ad un autore piemontese a lui particolarmente caro, Giuseppe Giovenone.

Resurrezione di N.S. Gesù

Chiesa di San Giovanni Battista Orago

risurrezione

S.Ecc. il Cardinale Francesco Coccopalmerio svela e benedice l’affresco della Resurrezione realizzato da Gianfranco Battistella per don Giacomino Bonza, giugno 2013.

Don Giussani diceva che per l’uomo naturale la vita è come un malinconico stare a guardare sulla riva del mare, una barca con le persone e le cose amate che si allontanano sempre più all’orizzonte fino a sparire. Ma dopo la resurrezione di Cristo e la sua vittoria è tutto rovesciato: è come stare sulla riva e veder avvicinare sempre più le persone amate, che riavremo per sempre nella felicità.

Questo è il significato di questo quadro. una resurrezione di Cristo ambientata sullo sfondo della collina di Orago con vista ad oriente sul Resegone ed ad Aquilone sul Sacro monte. Dove tra personaggi seicenteschi ed il soldato romano, identificato come testimone della storicità ed autenticità dell’evento, si possono riconoscere le figure di don Giacomino Bonza a  destra  e don Angelo Cassani a sinistra , rappresentati in vesti liturgiche. I parroci di Orago e di Jerago , sempre in unità col Vescovo hanno da sempre collaborato nella diffusione del messaggio cristiano alle nòstre popolazioni, sino alla attuale unione pastorale delle tre parrocchie di Jerago, Orago e Besnate.

Salve regina (casa Caruggi su via Varese)

salve regina

Dedicato alla memoria di Don Angelo Cassani  e Carlo Mastorgio. Dipinto da Gianfranco Battistella, su pannello preparato da Antonio Lo Fiego, riproduce la Madonna del Molinello in Solbiate. Benedetto da Don Remo Ciapparella nel dic. 2010.

La dedicazione ricorda la stima reciproca tra l’archeologo e storico Mastorgio e don Angelo nata nel corso dei restauri del campanile e della Chiesa  Antica di San Giorgio. Carlo Mastorgio aveva  pubblicizzato questo antico dipinto che in originale conteneva l’invocazione cara  agli antichi “ liberaci o signore dalla morte improvvisa”. La vicenda personale  di Carlo volle che fosse proprio don Angelo ad accompagnarlo nell’affrontare cristianamente un male allora privo di rimedi. Nell’omelia  tenuta nella antica chiesa di San Vittore in Arsago, durante la Messa esequiale di Carlo Mastorgio, don Angelo fece riferimento alla fede di Carlo, che  nella sua prima visita a lui ammalato, lo accolse con l’espressione: Don Angelo sono nell’orto degli Ulivi. Si avverava, con grande sofferenza personale, e con l’assidua e fraterna presenza del Don quanto in quel cartiglio, da lui tanto amato, si auspicava, “Liberaci o Signore dalla morte improvvisa”.

Edicola della Sacra famiglia di Via Grandi (Jerago – zona viale Reina)

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Voluta e Donata da Don Angelo Cassani per coronare il nuovo quartiere ed il terzo millennio.

Dipinta dalla pittrice Sabrina Cardani e colleghe,  progettata dall’arch. Luigi Battistella

Benedizione  anno 2000

Nel 2007 Don Remo Ciapparella prese ufficialmente ingresso in Parrocchia muovendo da questa immagine.

Madonna del Fuoco (antica casa Bardellini in  Via San Rocco)

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Acrilico dipinto dal pittore prof. Armando Vanzini

Benedetta ed inaugurata nel dic. 2011 da Don Remo Cipparella

Intervento ad opera della amministrazione del condominio “Corte Lombarda”

Nel vano dove è allocata, anticamente esisteva una immagine di Madonna con Bambino ed angeli detta Madonna del fuoco. Il tempo ha irrimediabilmente cancellato l’immagine e non disponendo di alcun documento fotografico Armando Vanzini ha riproposto, con maestria ed efficacia una Madonna con Bambino di impostazione classica ispirata al pittore veneto Giovanni Bellini, regalandoci uno scorcio sulla Via sacra della Madonna del Sacro Monte di Varese

Sacra famiglia di Nazareth – facciata della “Casa di Nazareth Don Angelo Cassani” via Volta

nazareth

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Dipinto da Gianfranco Battistella per la fondazione su soggetto indicato da Suor Maria del monastero delle Suore Trappiste di Vitorchiano. San Giuseppe in un momento di riposo dal lavoro gioca compiaciuto col Bambino Gesù, un cagnolino scodinzola.  Maria lavora all’aspo e osserva attentamente.  La finesta è aperta sulla piazza di Jerago ed il Campanile. La benedizione di tutto il complesso avvenne il 17 sett. 2016 ad opera di S.Ecc il Vescovo  Mons. Luigi Stucchi

Edicola Votiva  della Madonna della Strada  (Corso Europa Jerago)

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(Rif. Iconografico, Madonna della Strada in Roma consevata nella chiesa del Gesù). Dipinta dal pittore  Gianfranco Battistella per  Franco Delpini.  Inaugurata e benedetta  da S.Ecc Mons. Mario Delpini il 18-12-2016.

Il promotore dr. Franco Delpini così ne descrive  le motivazioni ”La gratitudine al Signore ed alla Madonna per la conservazione della vita di Maria Chiara è all’origine della costruzione. Durante i lavori di edificazione molte altre persone hanno voluto esprimere la riconoscenza e l’amore alla vergine Maria e affidarsi alla sua protezione donando la loro opera, materiali, contributo di idee e suggerimenti, i fiori , l’illuminazione, la musica che ha accompagnato la cerimonia. A tutti va il più vivo ringraziamento” (da Camminando insieme – febb. 2017 – pag. 4)

Grotta di Lourdes (retro abside chiesa di San Giorgio Jerago)

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Fermamente voluta e realizzata da Don Luigi Mauri dedicata alla Immacolata Concezione di Maria Vergine nel ricordo delle apparizioni di Lourdes. Anno 1960

Da questo luogo, così come dalla Sacra statua  di Maria Immacolata nella Chiesa di Orago irradia la devozione mariana dei nostri paesi culminata con l’Atto di affidamento del Comune alla Beata Vergine Maria emanato dell’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Eliseo Valenti unitamente a tutti i consiglieri il giorno 31 dicembre  del 2007 nel centenario di fondazione del Comune.

Così  è descritto questo significativo atto pubblico in ”Jerago con Orago un secolo con i suoi protagonisti” a pag. 98 :

“Con questo atto si riconosce, nel centenario del Comune, come le radici cristiane della nostra popolazione e la sua fede in Dio e nella protezione pubblica e privata della Madonna abbiano sempre guidato la concordia civile, sia nei momenti di dialettica politica più accesa, sia nei momenti di sospensione forzosa di tale dialettica, proteggendoci da esiti sovente irreparabili se non fossero stati mitigati da una profonda fede ….  Una popolazione che ha  trovato conforto, voglia di progredire, coraggio, proprio nella certezza dell’aiuto divino, con l’insegnamento dei parroci e guidata da amministrazioni il cui agire era profondamente ispirato dalla dottrina sociale della Chiesa”.

Statua della B. V. di Lourdes posta nella Grotta

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San Rocco Pellegrino (Frontale Chiesa di San Rocco in Jerago)

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Mosaico realizzato su disegno del Pittore jeraghese Ambrogio Riganti, eseguito dalla ditta Sgorlon di Milano.

Anno 1964 Committente Don Luigi Mauri in collaborazione col gruppo amici di San Rocco

(descrizione in “Camminiamo insieme” febbraio 2017 – pag. 12-13)

Statua del Buon Pastore o del Bel Pastore (giardino della Canonica – angolo Piazza della Chiesa)

buonpastore

Nasce dal Desiderio di don Remo di Onorare la memoria dei Parroci di San Giorgio. Il buon Pastore che rappesenta la figura di Gesù, è sempre stato il riferimento amato da ogni sacerdote, quando inviato nella Parrocchia per mandato del Vescovo vive ed offre la sua vita per i parrocchiani che gli sono affidati. Opera dello  scultore  jeraghese Fabrizio Milani con studi presso l’accademia di belle arti di Firenze. Committente associazione figli di don Angelo. (Rif. “Camminiamo insieme” – Marzo 2015 – pag. 11).  Benedizione dicembre 2014 ad opera di Don Remo Ciapparella.

Angelo Custode (cortile Scuola Materna Ippolita Bianchi Gori visibile da Via Indipendenza)

angelo custode

Desiderato da Don Remo Ciapparella perché distinguesse la nostra scuola dell’infanzia e benedetto il 17-11-2013 in occasione della apertura della nuova sezione Primavera intitolata a Don Angelo Cassani.  Affresco offerto ed eseguito dal pittore Gianfranco Battistella. Preparazione del pannello e collocazione di Antonio Lo Fiego

(relazione su Popolo in Cammino – genn. 2014 – pag. 6-7 e VIII-IX)

Beata Vergine della Salette  (via G. Bianchi – Jerago)

vergine salette

Apparizione di Maria Santissima  a due Pastorelli nelle alpi francesi il 19-sett 1846

La pittura di Gianfranco Battistella ripropone il tema dell’affresco originale (ormai perso) nel luogo dove fu posto dagli emigranti jeraghesi in Francia (Lione) al fine di sciogliere il loro voto a Maria per l’avvenuto rimpatrio. Poiché in origine si affacciava sul primo Oratorio maschile voluto da Don Massimo Cervini si è ritenuto di associarlo nel ricordo a Don Angelo costruttore dell’attuale oratorio B.V. del Carmelo – Si apprezzi come il monte imbiancato rappresenta la nostra vista sul Rosa

San Giorgio A Cavallo che uccide il drago (facciata della Chiesa antica di San Giorgio a Jerago)

Affresco di Gianfranco Battistella

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La nicchia sopra il portale della antica chiesa perse nel tempo l’immagine di san Giorgio che era stata affrescata dal Pittore Luigi Tagliaferri di Pagnona verso il 1881. Mancarono purtroppo anche le documentazioni fotografiche.

Con Don Remo fu  valutata la possibilità di ridare una  nota pittorica alla facciata che fosse consona al contesto grazie al rifacimento di un affresco su pannello da inserire successivamente nella nicchia. Nasce così questo intervento affidato  all’opera del pittore Gianfranco Battistella.

Il pannello speciale in alluminio alveolare  e policarbonato  fu offerto dalla Associazione Figli di don Angelo. La preparazione del pannello con malte speciali ed il successivo posizionamento in sede fu di Antonio Lo Fiego. La ricerca storica di Anselmo Carabelli permise di individuare un soggetto simile dello stesso Tagliaferri nella parrocchiale di Cassina in Valsassina. Inaugurato e benedetto da don Remo per la festa di San Giorgio 2015. (relazione su Camminiamo insieme – marzo 2015 – pag .4-5).

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Chiaramente il motivo di San Giorgio che uccide il drago è un evidente richiamo al patrono di Jerago ed alla nostra comunità parrocchiale . Un cristiano è sempre attento (lancia in resta) a vincere le deviazioni eretiche e varie (drago)  che serpeggiano nella cristianità e si presentano sempre nel corso della storia, con modalità e forme diverse. Tutti i parroci sono qui rappresentati da Don Remo e dal predecessore don Angelo, effigiati ai lati mentre guardano il Santo. Essi sono i committenti di questa opera.  Come avveniva nei quadri antichi sono stati effigiati nell’atto di osservare il Santo in azione, vogliono dirci come in sintonia col proprio Vescovo, operino gaglìardamente per difendere la comunità dalla continua e possibile deriva di comportamenti che, tollerati allontanerebbero dalla nostra Santa Chiesa.

Madonna con Bambino  (Via Cavour 34 – Jerago)

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Dipinta da Gianfranco Battistella per Anselmo Carabelli, dedicata a don Angelo Cassani nel secondo anniversario del Dies Natalis, collocata in situ da Luigi Turri e Antonio Lo Fiego.

Benedetta da Don Remo Ciapparella nel dicembre 2008

Madonna del riposo (località monte della Premornera-nel bosco di Luigi Turri)

madonna del riposo

Vi  si accede dalla strada campestre che fiancheggia Fiat Gallotti e ci si inoltra nel bosco tenendo la destra.

In una accogliente radura sorge   la cappellina votiva che è stata fortemente pensata e desiderata  da Luigi Turri.  Costruita con robusti blocchi di sarizzo in collaborazione con Antonio Lo Fiego. Accoglie l’affresco della Madonna del Riposo dipinto magistralmente da Gianfranco Battistella. Offre un d’après da Giovan Battista Salvi  detto il Sassoferrato, il cui originale era nella chiesa di San Rocco E’ attorniata da fiori piante di alto fusto e panchine in uno spazio invitante al raccoglimento e alla preghiera. Benedetta da Don Remo Ciapparella il 29 maggio 2012 (dettagli in “Popolo in Cammino” – Giugno 2012).

Cappellina della Madonna del Riposo

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Radura della Madonna del Riposo

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Cappellina della sacra famiglia  (incrocio Corso Europa-Via Carducci)

sacra famiglia

Voluta da Luigi Caiola e da lui edificata con porfidi della Valganna, affrescata da Gianfranco Battistella

Benedetta da Don Remo Ciapparella  nel dicembre 2007

Madonnina del Carmine (in località Sassone nei boschi di corso Europa)

madonna del carmine

Voluta dalla famiglia Paganini Adriano e Silvina per onorare la patrona di Jerago

Affrescata del pittore Gianfranco Battistella, realizzata da Luigi Caiola con porfidi della Valganna

Anno 2000

Maternità  di Maria (portico della casa di Gianfranco Battistella)

maternità di Maria

Dipinta da Gianfranco Battistella nel 2014 per la propria abitazione

Benedetta da Don Remo Ciapparella

Madonna in Meditazione

madonna in meditazione

Acrilico  di Gianfranco Battistella per la casa di Oscar Bertoli (Milano)

Immagine di San Francesco da Paola (Via Manzoni su casa Filippelli)

San Francesco di Paola

Vetrata Artistica Raffigurante il grande  Santo  nella classica iconografia.

Desiderata e realizzata da Francesco Filippelli in segno di filiale  ringraziamento  al santo patrono protettore delle genti di Calabria.

Benedetta da don Angelo Cassani 1995

Paolo VI che abbraccia la cristianità  sullo sfondo dei monumenti di Besnate

Paolo VI

Dipinto di Gianfranco Battistella, collocato nell’asilo di Besnate in occasione della dedicazione della della scuola dell’infanzia a S.S. G.B. Montini .

Inaugurato e benedetto da don Remo Ciapparella nell’anno….