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Il carnevale e le tradizioni della nostra cucina

La settimana grassa, così veniva chiamata la settimana di carnevale, precede la Quaresima, cioe’ il periodo di penitenza in preparazione al grande giorno della Resurrezione di Cristo. Poiche’ in periodi di stretta osservanza si era giunti alla astinenza totale sia dalle carni che dalle Uova,  era quasi doveroso che in questa settimana ci si sfogasse anche in cucina con la preparazione di piatti molto succulenti. Sicuramente ipercalorici dovevano essere i Salamitt cott, ul Suprafin cui lenticc, a pulenta e bruscitt, la Buseca, la Cazeula, i gnocc  da patati cundì cul grass da rost  e per il venerdi A Pirturina da Merluzz.

Tutti cibi robusti, piatti unici che se ingollati in una settimana meglio avrebbero consentito la penitenza successiva.  Una particolare attenzione meritano le uova. Abbiamo notato che nel periodo medioevale anche le uova erano considerate di grasso,  perchè prodotte da animali. Di conseguenza bisognava usarle tutte per il carnevale. Le altre poi, quelle deposte dopo potevano essere usate solo a San Giuseppe o a Pasqua.  Gli anziani ricorderanno che il giorno di Venerdì Santo si usava deporre ai piedi del Crocifisso in una apposita cesta proprio alcune uova, delle quali la casa di un contadino medioevale, dato il divieto di usarle doveva abbondare in quaresima. Infatti se ben si riflette perchè ancora oggi a Pasqua si  regalerebbero uova di cioccolata? Il senso pratico delle nostre massaie si era dunque sbizzarrito nel trovare mille modi per utilizzare le uova.

E saranno i Famosi TURTEI e i Ciaciar, che da noi a Jerago si chiamano anche i Ciaciar di Monig a rallegrare queste feste. Oggi si va in pasticceria, e più comodo e soprattutto si evita di impregnare la casa di quel fastidioso e greve odore di olio fritto. Qualche anno fa invece, era proprio quell’odore, che diffondendosi nelle vie ricordava la festa anche ai più distratti. Perche Ciacar di Monig. letteralmente chiacchiere delle Monache, niente di irriverente verso le nostre brave Suore, ma solo il ricordo della loro ineguagliata maestria nel confezionare quei dolci, offerti poi alle ragazze dell’Oratorio la sera del Giovedì Grasso. E’ interessante osservare come ogni famiglia conservasse una propria ricetta per fare i TURTEI, e le donne si facessero un punto di orgoglio nell’offrirne ai vicini. Passato carnevale e San Giuseppe le uova ricompariranno sulla tavola il giorno dell’Angelo con  SALATIN E CIAPP. Ciapp sono le uova indurite dentro un Baslott di Valeriana condita con olio e aceto fatto in casa.

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fonte immagine moulinex.it

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La statua di San Giuseppe ed i Falegnami jeraghesi

( testo di A. Carabelli)

(Dalle cronache parrocchiali)

 Domenica 3 luglio 1927:

“Il suono squillante delle campane chiama la popolazione alla nuova chiesa di San Giorgio dove sono arrivate le statue del Sacro Cuore di Gesù e di San Giuseppe… la Statua di San Giuseppe fu donata dai falegnami del paese ad onore del loro santo.”

Realizzata dalla ditta Raffaeli di Via Giusti di Milano è in gesso e raffigura il santo nella classica iconografia, è maestosa e di fattura pregevole, consente all’osservatore  una riflessione sulla ormai dimenticata rilevanza degli artigiani del legno nel nostro borgo in quegli anni. 

 La più antica falegnameria fu quella deiCardani dul Canton detti anche da Pedar.

 Già dal 1851 Gerolamo gestisce la prima falegnameria al Canton. Dai suoi figli avranno origine tre distinte botteghe di falegnameria:

Falegnameria Abramo Cardani- Bram con i figli: Carlo, Gerolamo e Giovanni che avrà laboratorio in via Varese. 

-Carlo Emanuele col figlio Gerolamo avrà laboratorio a San Rocco.

-GiovanAntonio Giuseppe coi figli: Giulietto, Luigi e Ambrogio, rimase al cantun tenendo vivo il laboratorio e la segheria dotata dirafandincioè di una sega alternativa che combinata ad un tavolo di avanzamento consentiva di ricavare assi dagli alberi

-Falegnameria Pagani di Via Garibaldi, mobiliere esperto e raffinato fornitore anche del Castello e della chiesa.

-Falegnameria fratelli Sessa Riccardo e Giovanni di via Indipendenza. Specializzata nella costruzione di cassettoni di contenimento dei movimenti per bilance. Più tardi i fratelli Sessa diedero inizio a due distinte imprese:

-Giovanni Sessa – specializzato nella costruzione di metri in legno, di casse per bilance   e Telarit, cioè anime o barchette di legno e carta per avvolgere i tessuti.

-Riccardo e il genero Renzo Chinetti continuarono con le casse per bilance e si specializzarono in strutture per divani. 

– Caruggi Enrico di via Dante- per produzione di mobili di casa molto apprezzati.

-Macchi Paolo–con falegnameria in tougnon – mobili e casse per bilance.

-Paolo Biganzoli – Iniziò dal 1898 la produzione di casalinghi in legno per i negozi milanesi di Zeni. Ampliò l’attività con la collaborazione dei figli maschi, Giovanni, Adamo, Abele, Virginio, Carlo e Pio e talvolta anche dalle figlie: Maria, Giuseppina, Flora ed Anna. Nel 1933 la ditta già si era trasferita in quella che fu la fonderia Sessa poi Reina, in Via Onetto, si espanderà poi ancora fino alla via Roma e alla Via Cavour. La collaborazione dei figli e l’introduzione delle produzione industriale dei giocattoli in legno, unitamente agli accessori casalinghi, impresse grande sviluppo. La commercializzazione capillare dei prodotti, anche sui mercati esteri, permise di occupare nella sola sede jeraghese anche più di 100 dipendenti.

-Giovanni, Salvatore e Angioletto Molla, falegnami in via Indipendenza produttori di casalinghi.

-Fratelli Cajelli : Alfonso, Angioletto ed Emilio, da giovani avevano un’attività di carpentieri esperti nell’arte di costruire i tetti e perciò soprannominati Trentitt.

Paolo Cassani, con il figlio Romildo ed Attilio Caruggi si specializzarono nella costruzione di mobili in legno per la casa di solida ed apprezzata fattura. 

-Enrico Cardani con falegnameria al Tougnon aperta dopo il rientro dal Sud America.

-Benvenuto Caruggi Nutin falegname con laboratorio alla fradiga, davanti alla curva del Renzo.

Tutte le falegnamerie nate intorno al 1880 acquistano le assi dai Cardani dul canton, oppure a Gallarate dai Bellora o le fanno arrivare, franco di porto, direttamente alla stazione di Cavaria.

Per consegnare il lavoro finito i nostri falegnami si servono di un asino, al giogo dello stravachin, piccolo carro ribaltabile. Il quadrupede, sta nella stalla e serve anche per i lavori agricoli. I loro attrezzi sono manuali, ad eccezione di qualche sega circolare a pedali. La colla è nota come colà da legnamè, sempre calda e liquida pronta all’uso sul birocc (stufetta a legna).. Il lavoro non manca sono numerosissimi gli oggetti di uso quotidiano in legno..Nel periodo tra le due guerre  gli unici manufatti  stampati saranno  di Bakelite , antesignana delle materie plastiche  ma  molto pregiata  che mai minacciò la produzione di oggetti di legno. Purtuttavia l’attenzione verso la nuova tecnologia, non fece difetto ai nostri artigiani. I fratelli Cardani Bram, realizzarono con pressa per Bakelite le prime casse per bilance a pendolo. Nel periodo anteguerra le nostre falegnamerie non subirono concorrenza nella produzione di suppellettili per la casa e prodotti per l’industria, perchè: scaffalature, casse, carri, casse da morto, tutto era in legno. I problemi nacquero dalla carenza di personale, perché la grande industria meccanica, locale e limitrofa sottrasse sempre più personale a queste attività antiche. Tutto si esaurì nel secondo dopoguerra, i titolari ormai si erano fatti anziani e i figli avevano scelto altre professioni, continuarono a produrre ancora per l’iniziativa di alcuni dipendenti che, dapprima associati, avevano poi rilevata l’attività.

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Nel corso del 2015 la statua è stata ravvivata dall’ intervento di Loredana ed Aurora Scaltritti. 

Culto di San Giuseppe ad Orago (avvalendosi delle ricerche di Carlo Mastorgio)

La statua di San Giuseppe, collocata nei prati di Orago, è stata oggetto di devozione da parte degli oraghesi  fin dal 1700, che il giorno 19 di marzo vi si recavano in processione  partendo dalla chiesa di San Giovanni Battista. A tale festa partecipava anche un buon numero di jeraghesi. Gli anziani narrano che talvolta  ci fosse ancora la neve  e talaltra  fiorissero già i primi fiori, a dimostrazione che il tempo ha sempre fatto di testa sua. Carlo Mastorgio, che della nostra storia è stato appassionato e documentato cultore ci aiuta con la sua descrizione: “l’itinerario muoveva dalla chiesa di S. Giovanni Battista, scendeva per la strada detta della Costa Nuova (cimitero odierno n.d.r.), indi la carrozzabile Gallarate-Varese sino alla statua; dopo la benedizione si ritornava alla chiesa per la medesima carrozzabile e per la strada della costa dell’Asilo. Famosa fu la processione del 19 marzo 1931 alla statua di San Giuseppe, dove era stato eretto un altare, lì potevi trovare tutto il paese, una folla di ben cinquecento persone inginocchiate per la benedizione”. Solo dopo il 1948 per ragioni di viabilità, dovute all’aumento di traffico, si optò per una processione ridotta che girava attorno all’isolato del Castello e si fermava dove inizia la discesa dello scalone d’onore, dalla cui sommità era ben visibile la statua ed il parroco del tempo (don Alberto Ghiringhelli) impartiva la benedizione.

Il culto del Santo rimase sempre ben radicato tra i giovani di Orago che lo elessero a patrono, tanto  che in quel giorno, all’epoca anche festa civile, si fece coincidere la festa dell’oratorio maschile, rallegrata da numerosi giochi.

Quella statua, per voleri testamentari e con legati specifici fu dalla sua origine esposta al culto su di un piedestallo nei prati, ab antiquissimi temporibus et perpetuo-da tempi immemorabili ed in perpetuo, quindi patrimonio esclusivo della comunità di san Giovanni Battista.

Fu così che quando il proprietario del fondo sul quale essa era collocata, fece abbattere il piedistallo, con la manifesta intenzione di trasferirla altrove ed in altro paese, un gruppo di giovani oraghesi, ritenne doveroso difendere la statua del Santo. La sottrasse nottetempo, affinché quegli intendimenti non andassero in porto e la nascose, con un blitz noto come il rapimento della Statua. Da qui proteste, denunce, intimidazioni, lettere e telefonate anonime. Alla fine la “commedia” finì e tutto si accomodò. La statua riapparve e di comune accordo fu collocata su di un nuovo piedistallo provvisorio, accanto all’ex mulino del Giambello. Orago salvò il suo cimelio, simbolo di una tradizione e di un culto secolare. Il parroco don Alberto Ghiringhelli poté annotare in un suo diario “Gli unici fra tutti, ai quali bisognava cavare tanto di cappello, sono venti ragazzi che agirono con vera retta intenzione e coraggio”.

La statua non poteva essere ricollocata nel luogo originale, perché  nel frattempo  erano sorte nuove costruzioni che avrebbero impedito per sempre l’antica suggestiva vista dallo scalone. Rimaneva la possibilità di una sistemazione prossima e ancora nei prati.  A tal fine si attivarono i fratelli Consolaro che, divenuti premurosi custodi della stessa, riuscirono a mobilitare un nutrito gruppo di volontari, perchè suscitassero e risolvessero il problema, a loro si unì con la sua  competenza e  passione storica  Carlo Mastorgio, che pubblicherà  per l’occasione un fascicolo  intitolato “Culto e tradizione di san Giuseppe ad Orago”. Dopo tale iniziativa e per interessamento del Comune di Jerago con Orago, essendo sindaco Livio Longhi nella amministrazione 95-99, fu approntato dall’ufficio tecnico comunale e finanziato dal Comune un progetto di restauro, che permise di posizionare la statua su di un nuovo piedistallo, ubicandola in zona prossima al molino Giambello, circondata ancora dal verde dei prati come in antico. Purtroppo in questi ultimi anni, dalla ricollocazione, la statua in arenaria è stata erosa dalle piogge acide, complice l’industrializzazione della zona, molto più di quanto non fosse avvenuto nei tre secoli precedenti, tanto da far temere una sua irrimediabile perdita. Si auspicano di nuovo urgenti ed improcrastinabili restauri, pena il vanificare di questa nostra vicenda. Forse si rende necessaria una squadra di nuovi volontari e devoti.

Ci si potrebbe chiedere il motivo del culto di San Giuseppe ad Orago, in un contesto ambrosiano che vede la prima chiesa dedicata al santo in Milano e solo nel 1530.

Fin verso il 1400 per motivi strategici il castello di Orago poteva ben ritenersi un baluardo sulla valle dell’Arno e perciò interessante per la potenza viscontea.  Il forte di Orago faceva parte di quel limen prealpino che da Massino inanellava tutta una serie di fortezze, le quali possiamo ancora riconoscere nelle vicinanze: Besnate- Crenna-Cajello-Jerago-Orago-Albizzate-Solbiate-Cassano.

Una serie di personaggi, funzionali alla potenza viscontea, più o meno importanti, vivevano in questi presidi fortificati intrattenendo coi Visconti relazioni caratterizzate da legami di famiglia.  Ciò consentiva ai Visconti milanesi di sfoggiare la loro forza nei momenti in cui a Milano era necessario mostrare i muscoli, servendosi anche dei villici che si trasferivano, armati di forconi, proprio da questi territori per fomentare o contrastare i vari moti di piazza contro le fazioni avverse ai Visconti. Per questa funzione di supporto, i Visconti titolari dei castelli e dei territori di pertinenza godevano l’esenzione dalle varie gabelle, altrimenti obbligatorie, verso il ducato o, quando i castelli incombevano sui luoghi di traffico, esercitavano in franchigia diritti di osteria, accoglienza e stallaggio. Fu chiaro che, quando cadde la potenza Viscontea, e venne meno la  funzione di frontiera dei nostri castelli, questi furono lasciati in abbandono con distruzione e decadenza delle rocche.  Divennero nuovamente interessanti se ad essi fosse stato legato un territorio produttivo dal punto di vista agricolo. La piana dell’Arno tra Solbiate e Cavaria, in territorio di Orago presentava già in antico due molini: Molinello e Giambello, oltre al Molino Scalone verso Oggiona; è piana irrigua , con canali alimentati da acque a regime pressoché continuo, quindi permette coltivazioni pregiate, a differenza dei territori di Jerago che sono  bagnati solo da acque sorgive e meteoriche. Nel 1500 il castello di Orago divenne di proprietà Lampugnani, attraverso il matrimonio di Bianca, l’ultima Visconti di Orago, dapprima con Ferdinando Lampugnani e, morto questo nel 1533, con Gaspare Antonio. I Lampugnani rimasero. proprietari fino ad Attilio che, verso il 1713, riedificò il castello come lo troviamo ora nella sua funzione di soggiorno e villa di campagna . Fu artefice del prezioso ingresso e dello scalone d’onore. Alla sua morte nel 1757 lasciò tutti i beni all’ospedale Maggiore di Milano.  Con riferimento al catasto del 1725, noto come Teresiano, rileviamo che:  delle 1565 pertiche milanesi  pertinenti al territorio di Orago, ben 1400 appartenevano al conte Attilio Lampugnani. Costui non lasciò eredi, perché tutti premorti e l’unico figlio maschio Giuseppe morì in giovane età. Fu in sua memoria che Attilio Lampugnani presumibilmente volle fosse dedicata una statua a San Giuseppe. Come si evince da un suo pio legato  citato  da Carlo Mastorgio “Voglio pure e dispongo, che dopo la mia  morte si faccia celebrare nel giorno della Festa del Glorioso Patriarca S. Giuseppe, e nella Chiesa Parrocchiale di Orago una messa cantata con fare l’immediata processione del Popolo al sito dove resta  collocata la statua di San Giuseppe vicino al Molino, e di rimpetto alla Porta del Castello, che guarda alla strada de Varese, ove si canterano le Littanie, dovendosi contribuire al sodetto R.do Paroco per tempo la elemosina di soldi trenta per le celebrazioni di detta messa e processione come sopra, e quando succedesse la festa di S. Giuseppe di venerdì, si dovrà fare la processione dal popolo nel medesimo giorno al sito, ove resta collocata la statua sodetta, e la messa cantata si dovrà celebrare nel giorno successivo, volendo pure come voglio  e dispongo, che in occasione di detta processione, e così nella festa di S. Giuseppe di cadaun anno sino in perpetuo si distribuiscano stara quattro di mistura in tanto pane al Popolo di Orago. “

 

 

Alcune tradizioni quaresimali

nel ricordo di Anselmo Carabelli

Tutto il periodo quaresimale era naturalmente vissuto nell’attesa del giorno della Resurrezione di Cristo e i riti e le usanze erano spontaneamente tesi all’Unico Evento. I ragazzi delle elementari,  la mattina dei giorni feriali, anticipavano le lezioni di un’ora frequentando a sculèta-catechismo,  ripartiti per classi,  tra le  panche delle cappelle della chiesa nuova.  Si impegnavano ad apprendere gli insegnamenti delle solerti e premurose Suor Marietta, Suor Rosina e delle altre suore il cui nome ora mi sfugge. Di esse  rammento l’infinita pazienza nello spiegare il Catechismo di San Pio X, le cui domandine per riassunto  avremmo  mandate a memoria  per l’interrogazione del giorno dopo. Studiate a fatica e apprese con le altre materie di scuola la sera stessa quando, la mamma, nel tepore di una cucina ancora riscaldata dalla stufa economica, si assicurava  provandocele che fossimo preparati. Usciti, poi di chiesa, cercando di non perdersi troppo per strada, sollecitati  dalle compagne, sempre più diligenti di noi ragazzi,  si tornava alla scuola. Al suono della campanella la maestra in Quaresima mai mancava di leggerci un brano evangelico e le ragazze ornavano dei primi fiori le immagini della Madonna, che ci proteggeva da un tronetto dietro la cattedra.  In Chiesa invece le immagini sacre erano state celate da velari morello.  Tutti i venerdì erano di magro e digiuno e le nonne scrupolose si astenevano nel cucinare anche dai grassi animali, il burro veniva sostituito dall’olio di oliva e ul disnà e a scena-il pranzo e la cena, per quanto possibile, si facevano ancora più sobri. I ragazzi che avevano la fidanzata, in segno di penitenza e rispetto non andavano a farle visita. E al venerdì tutti si partecipava al quaresimale, solitamente tenuto da un padre cappuccino, di quelli che incutevano rispetto al solo ammirarne la lunga barba bianca e fluente parchè, come si diceva l’è a barba ca fa a predica- è la barba che  fa la predica . “Fate o Madre dolorosa- che le piaghe del Signore- siano impresse nel mio cuorequesto era il canto col quale accompagnavamo la via Crucis del Venerdì,  mentre Parroco e chierichetti traslavano da una Stazione all’altra la nuda Croce nera a filetti d’argento, annodata nei bracci dal bianco sudario. Il rispetto pei venerdì era corale, gli uomini si sforzavano di non fumare e se sul lavoro non potevano evitare di arrabbiarsi cercavano almeno di porre freno ad un linguaggio altrimenti pesante. Ma anche in città la programmazione dei cinema si faceva rispettosa del periodo: scomparivano i titoli e le locandine ritenute offensive e al Venerdi Santo, tutte le sale cinematografiche  rimanevano rigorosamente chiuse, mentre alla radio e alla televisione i programmi eliminavano gli argomenti leggeri e le canzonette, preferendo musica classica. Anche esternamente, la quotidiana  vita civile con la scelta del silenzio pareva spingere verso  quella riflessione che una società da sempre cristiana si imponeva per il periodo quaresimale. Il giorno di San  Giuseppe però era sempre vissuto con grande allegria: i ciaciar di Monig, i turej, a putiscia  erano le squisite leccornie, che cotte nell’olio o nel grasso di maiale bollente, venivano servite abbondantemente ricoperte di zucchero da nonne premurose ai nipoti golosi e   scambiate tra le massaie del vicinato. Tante le uova per la Quaresima, soprattutto quelle sode o indurì che i vecchi chiamavano ciapp e trionfavano al centro di una imponente Bièla da salatin, per il giorno di sant’Angelo, quando si andava a pregare alla Madonnina dei Casan, una cascina dietro il castello che oggi è scomparsa e si raccoglieva la valeriana di prato (salatin). Ma il giorno di San Giuseppe era tradizione andare ad Orago per far devozione alla statua di San Giuseppe in di prà dul giambel nei prati del Giambello,  scendendo dallo scalone del Castello di Orago.  E a conferma che il tempo ha sempre fatto di testa sua, alcuni anni era bello, quasi primavera in un tripudio di fiori, e altre annate la neve e il ghiaccio imperlavano le rive delle rogge che irrigavano i campi tra  fiori di ghiaccio e qualche  timido bucaneve.

Putiscia, ovvero il dolce jeraghese per San Giuseppe

La putiscia sta alle tortelle come i brüsej stanno ai dolci. Fu l’antica tortella di quando si era poveri e si disponeva di pochi ingredienti, ad esempio non vi era il lievito per dolci. E’ semplice perché basta mettere due uova intere in una scodella aggiungere due cucchiai di farina, due cucchiai di zucchero o anche meno, amalgamare. Poi si versano un paio di cucchiai del composto nell’olio  bollente di un pentolino. La peculiarità della putiscia era di essere piatta e ben cotta. Ottenuta dopo che la si fosse girata sui due lati, messa a sgocciolare su di un canovaccio e servita zuccherata. Deve ricordare una piccola bistecca dolce.

Passeggiata fra le cappelline e le immagini sacre di Jerago con Orago

Il nostro borgo offre al viandante ed al pellegrino numerose immagini sacre prevalentemente mariane e molte cappelline, che testimoniano una devozione popolare che proviene da tempi remoti e si rinnova continuamente.  La tecnica pittorica a fresco delle immagini ed il materiale cementizio di supporto, le rendono facilmente aggredibili dal tempo.  E’ proprio questa peculiarità che suscita nei contradaioli per l’affetto Verso Maria Santissima il desiderio di mantenere viva l’immagine con opportune manutenzioni, o come avvenuto in molti casi, con la riproposizione della stessa ex novo sulla scorta di antiche testimonianze fotografiche. Con una simpatica riflessione, il nostro parroco Don Remo Ciapparella, osservava che chi passa nei pressi di esse recitando una Ave Maria è come se mandasse un SMS al Cielo. Significativo rilevare come nel mese di maggio i contradaioli vi si riuniscano, guidati dal parroco, per la recita del S. Rosario.

Edicola della Madonnina di Loreto ( Via  G. Bianchi)

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Addossata alla Casa Rustighini di struttura settecentesca, raffigura il trasporto della Santa Casa di Nazareth ad opera di Angeli.  Madonna con bambino assisa sulla santa  casa con due  angeli che la incoronano regina, tra i santi Rocco e Antonio e san Carlo ai lati. Vi si trova affrescata pure la conchiglia del pellegrino, memoria del passaggio di pellegrini che percorrevano, passandole nei pressi, la via Novaria per Santiago.

In Particolare  appare il Campanile della antica chiesa di san Giorgio nella sua originale struttura romanica di prima della sopraelevazione barocca, quando ancora aveva due sole  campane. Gli ultimi restauri  dell’edicola risalgono al 1983, per la direzione del Prof . Bernardo Carli  quando era  Parroco Don Luigi Mauri.

N.B La nostra comunità Parrocchiale è dedicata a Maria Regina della Famiglia quindi, ex post appaiono molto significativi questi due angeli  che reggono la corona di Maria

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Edicola della deposizione (Anticamente nota come l’Addolorata  dei Pagani)

Via Garibaldi

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Edicola settecentesca con dipinto di buona fattura, nasce isolata nei prati. Solo successivamente sarà inglobata nella costruzione di casa Pagani. Il parroco dell’epoca era Carlo Francesco Pozzi di origine bustese, è quindi possibile abbia affidato la realizzazione pittorica ad affreschisti conosciuti in san Giovanni di Busto, operativi anche allaCertosa di Garegnano (viale Certosa Milano). L’opera presenta richiami stilistici alla deposizione di Simone Paterzano in San Fedele a Milano. All’epoca, terminati i cicli dei Sacri Monti, voluti da San Carlo Borromeo i paesi si arricchiscono di Cappelline devozionali e votive, che possono ricordare i pellegrinaggi nei luoghi sacri, ormai difficilmente raggiungibili. Questa osservazione vale anche per l’edicola coeva della santa casa di Loreto

Restaurata nel 1995 con finanziamento dalla Pro loco, presidente Luigi Turri, Restauratore Claudio Veschetti di Azzate, studi Prof. Armando Vanzini, opere cementizie Antonio Lo Fiego.

Madonna con Gesù Bambino, Madonna del viandante (centro anziani Don Alberto Ghiringhelli Orago)

anziani

Affresco antico di pregiata fattura  posto in origine  sulla  facciata di una  probabile osteria  (zona via Marconi – curt di occ- cortile delle oche) prospiciente l’antica via Helvetica. Con la rettifica della viabilità provinciale nella nuova varesina, la casa perse valore e tutto cadde in abbandono. L’affresco fu strappato per interessamento di Don Ireneo Scaltritti (circa 1970) e dimenticato nella canonica di Oggiona.  Ritrovato  per opera di Carlo Mastorgio ed Eliseo Valenti fu riallocato all’interno del cortile del centro Ghiringhelli nel corso degli anni novanta.

Statua di San Giuseppe nei prati di Orago (ubicata nei pressi del Molino Giambello)

san giuseppe

Oggetto di grande devozione da parte degli oraghesi fin dal 1700, che ogni 19 di marzo vi si recavano in processione partendo dalla chiesa di San Giovanni Battista, scendendo dalla strada di Costa Nuova, tratto di carrozzabile Gallarate-Varese, inoltro nei prati. Benedizione solenne, indi ritorno per la costa dell’asilo. La statua, per voleri testamentari e legati specifici, fin dalla sua origine fu esposta al culto su di un piedistallo, da tempi immemorabili ed in perpetuo. Subì tante e  complesse  vicende descritte con precisione da Carlo Mastorgio in “culto e tradizione di San Giuseppe ad Orago”. Il testo fu riproposto  su “Popolo in cammino”  aprile 2013 pag. 5. Ultimo restauro del piedistallo e ricollocazione  1995 per interessamento dei fratelli Consolaro, su studi dell’ufficio tecnico Comunale, essendo sindaco Livio Longhi.

Beata Vergine del Pilatello (al bivio tra via Pilatello e via Varese)

pilatello

La disponibilità di una delle prime foto a colori di un’antica immagine su cascina Pilatello ha consentito al pittore Gianfranco Battistella di riprodurre ed offrire quell’affresco ormai irrimediabilmente perso,  consentendoci di apprezzarne, anche se in una collocazione diversa l’intenso messaggio religioso ad essa legato. La Madonna assisa in trono con corona ed aureola medievale e rosario nella mano destra, regge il  Bambino rappresentato nell’atto del Cristo Pantrocator. A sinistra San Giovanni Battista con mantello rosso dei martiri  indica l’agnello che ha in braccio e prefigura l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo (Gv 1,29) . A destra  Maria Maddalena con una coppa balsamario coperchiata. La Maddalena nel Vangelo di san Marco 16,1 risulta essere la prima annunciatrice della Resurrezione. Il balsamario non fu mai aperto, perché l’essenza con la quale si recava al sepolcro per ungere il cadavere di Cristo rimase inutilizzata nella teca chiusa, Cristo era risorto.  La nuova  Cappellina è stata benedetta da don Remo Ciapparella il 27-5-2012

Autore del dipinto Gianfranco Battistella. Cappellina, costruita da Antonio Lo Fiego in Collaborazione con Luigi Turri. Coordinazione del  progetto e studi Associazione Figli di Don Angelo  (una descrizione più approfondita in Popolo in Cammino – dic.  2012 – pag. 8-9). Simpatico ricordare come il Parroco di Orago Don Giacomino Bonza, osservando questo quadro nella sua complessità simbolica e nella qualità pittorica dell’esecuzione rilevata peraltro su altri affreschi nel paese, abbia affidato al pittore Battistella la realizzazione del suo desiderio  di collocare nella parrocchiale di San Giovanni Battista  a fronte della Natività una Resurrezione di N. S. Gesù, che si ispirasse ad un autore piemontese a lui particolarmente caro, Giuseppe Giovenone.

Resurrezione di N.S. Gesù

Chiesa di San Giovanni Battista Orago

risurrezione

S.Ecc. il Cardinale Francesco Coccopalmerio svela e benedice l’affresco della Resurrezione realizzato da Gianfranco Battistella per don Giacomino Bonza, giugno 2013.

Don Giussani diceva che per l’uomo naturale la vita è come un malinconico stare a guardare sulla riva del mare, una barca con le persone e le cose amate che si allontanano sempre più all’orizzonte fino a sparire. Ma dopo la resurrezione di Cristo e la sua vittoria è tutto rovesciato: è come stare sulla riva e veder avvicinare sempre più le persone amate, che riavremo per sempre nella felicità.

Questo è il significato di questo quadro. una resurrezione di Cristo ambientata sullo sfondo della collina di Orago con vista ad oriente sul Resegone ed ad Aquilone sul Sacro monte. Dove tra personaggi seicenteschi ed il soldato romano, identificato come testimone della storicità ed autenticità dell’evento, si possono riconoscere le figure di don Giacomino Bonza a  destra  e don Angelo Cassani a sinistra , rappresentati in vesti liturgiche. I parroci di Orago e di Jerago , sempre in unità col Vescovo hanno da sempre collaborato nella diffusione del messaggio cristiano alle nòstre popolazioni, sino alla attuale unione pastorale delle tre parrocchie di Jerago, Orago e Besnate.

Salve regina (casa Caruggi su via Varese)

salve regina

Dedicato alla memoria di Don Angelo Cassani  e Carlo Mastorgio. Dipinto da Gianfranco Battistella, su pannello preparato da Antonio Lo Fiego, riproduce la Madonna del Molinello in Solbiate. Benedetto da Don Remo Ciapparella nel dic. 2010.

La dedicazione ricorda la stima reciproca tra l’archeologo e storico Mastorgio e don Angelo nata nel corso dei restauri del campanile e della Chiesa  Antica di San Giorgio. Carlo Mastorgio aveva  pubblicizzato questo antico dipinto che in originale conteneva l’invocazione cara  agli antichi “ liberaci o signore dalla morte improvvisa”. La vicenda personale  di Carlo volle che fosse proprio don Angelo ad accompagnarlo nell’affrontare cristianamente un male allora privo di rimedi. Nell’omelia  tenuta nella antica chiesa di San Vittore in Arsago, durante la Messa esequiale di Carlo Mastorgio, don Angelo fece riferimento alla fede di Carlo, che  nella sua prima visita a lui ammalato, lo accolse con l’espressione: Don Angelo sono nell’orto degli Ulivi. Si avverava, con grande sofferenza personale, e con l’assidua e fraterna presenza del Don quanto in quel cartiglio, da lui tanto amato, si auspicava, “Liberaci o Signore dalla morte improvvisa”.

Edicola della Sacra famiglia di Via Grandi (Jerago – zona viale Reina)

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Voluta e Donata da Don Angelo Cassani per coronare il nuovo quartiere ed il terzo millennio.

Dipinta dalla pittrice Sabrina Cardani e colleghe,  progettata dall’arch. Luigi Battistella

Benedizione  anno 2000

Nel 2007 Don Remo Ciapparella prese ufficialmente ingresso in Parrocchia muovendo da questa immagine.

Madonna del Fuoco (antica casa Bardellini in  Via San Rocco)

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Acrilico dipinto dal pittore prof. Armando Vanzini

Benedetta ed inaugurata nel dic. 2011 da Don Remo Cipparella

Intervento ad opera della amministrazione del condominio “Corte Lombarda”

Nel vano dove è allocata, anticamente esisteva una immagine di Madonna con Bambino ed angeli detta Madonna del fuoco. Il tempo ha irrimediabilmente cancellato l’immagine e non disponendo di alcun documento fotografico Armando Vanzini ha riproposto, con maestria ed efficacia una Madonna con Bambino di impostazione classica ispirata al pittore veneto Giovanni Bellini, regalandoci uno scorcio sulla Via sacra della Madonna del Sacro Monte di Varese

Sacra famiglia di Nazareth – facciata della “Casa di Nazareth Don Angelo Cassani” via Volta

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Dipinto da Gianfranco Battistella per la fondazione su soggetto indicato da Suor Maria del monastero delle Suore Trappiste di Vitorchiano. San Giuseppe in un momento di riposo dal lavoro gioca compiaciuto col Bambino Gesù, un cagnolino scodinzola.  Maria lavora all’aspo e osserva attentamente.  La finesta è aperta sulla piazza di Jerago ed il Campanile. La benedizione di tutto il complesso avvenne il 17 sett. 2016 ad opera di S.Ecc il Vescovo  Mons. Luigi Stucchi

Edicola Votiva  della Madonna della Strada  (Corso Europa Jerago)

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(Rif. Iconografico, Madonna della Strada in Roma consevata nella chiesa del Gesù). Dipinta dal pittore  Gianfranco Battistella per  Franco Delpini.  Inaugurata e benedetta  da S.Ecc Mons. Mario Delpini il 18-12-2016.

Il promotore dr. Franco Delpini così ne descrive  le motivazioni ”La gratitudine al Signore ed alla Madonna per la conservazione della vita di Maria Chiara è all’origine della costruzione. Durante i lavori di edificazione molte altre persone hanno voluto esprimere la riconoscenza e l’amore alla vergine Maria e affidarsi alla sua protezione donando la loro opera, materiali, contributo di idee e suggerimenti, i fiori , l’illuminazione, la musica che ha accompagnato la cerimonia. A tutti va il più vivo ringraziamento” (da Camminando insieme – febb. 2017 – pag. 4)

Grotta di Lourdes (retro abside chiesa di San Giorgio Jerago)

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Fermamente voluta e realizzata da Don Luigi Mauri dedicata alla Immacolata Concezione di Maria Vergine nel ricordo delle apparizioni di Lourdes. Anno 1960

Da questo luogo, così come dalla Sacra statua  di Maria Immacolata nella Chiesa di Orago irradia la devozione mariana dei nostri paesi culminata con l’Atto di affidamento del Comune alla Beata Vergine Maria emanato dell’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Eliseo Valenti unitamente a tutti i consiglieri il giorno 31 dicembre  del 2007 nel centenario di fondazione del Comune.

Così  è descritto questo significativo atto pubblico in ”Jerago con Orago un secolo con i suoi protagonisti” a pag. 98 :

“Con questo atto si riconosce, nel centenario del Comune, come le radici cristiane della nostra popolazione e la sua fede in Dio e nella protezione pubblica e privata della Madonna abbiano sempre guidato la concordia civile, sia nei momenti di dialettica politica più accesa, sia nei momenti di sospensione forzosa di tale dialettica, proteggendoci da esiti sovente irreparabili se non fossero stati mitigati da una profonda fede ….  Una popolazione che ha  trovato conforto, voglia di progredire, coraggio, proprio nella certezza dell’aiuto divino, con l’insegnamento dei parroci e guidata da amministrazioni il cui agire era profondamente ispirato dalla dottrina sociale della Chiesa”.

Statua della B. V. di Lourdes posta nella Grotta

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San Rocco Pellegrino (Frontale Chiesa di San Rocco in Jerago)

san rocco

Mosaico realizzato su disegno del Pittore jeraghese Ambrogio Riganti, eseguito dalla ditta Sgorlon di Milano.

Anno 1964 Committente Don Luigi Mauri in collaborazione col gruppo amici di San Rocco

(descrizione in “Camminiamo insieme” febbraio 2017 – pag. 12-13)

Statua del Buon Pastore o del Bel Pastore (giardino della Canonica – angolo Piazza della Chiesa)

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Nasce dal Desiderio di don Remo di Onorare la memoria dei Parroci di San Giorgio. Il buon Pastore che rappesenta la figura di Gesù, è sempre stato il riferimento amato da ogni sacerdote, quando inviato nella Parrocchia per mandato del Vescovo vive ed offre la sua vita per i parrocchiani che gli sono affidati. Opera dello  scultore  jeraghese Fabrizio Milani con studi presso l’accademia di belle arti di Firenze. Committente associazione figli di don Angelo. (Rif. “Camminiamo insieme” – Marzo 2015 – pag. 11).  Benedizione dicembre 2014 ad opera di Don Remo Ciapparella.

Angelo Custode (cortile Scuola Materna Ippolita Bianchi Gori visibile da Via Indipendenza)

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Desiderato da Don Remo Ciapparella perché distinguesse la nostra scuola dell’infanzia e benedetto il 17-11-2013 in occasione della apertura della nuova sezione Primavera intitolata a Don Angelo Cassani.  Affresco offerto ed eseguito dal pittore Gianfranco Battistella. Preparazione del pannello e collocazione di Antonio Lo Fiego

(relazione su Popolo in Cammino – genn. 2014 – pag. 6-7 e VIII-IX)

Beata Vergine della Salette  (via G. Bianchi – Jerago)

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Apparizione di Maria Santissima  a due Pastorelli nelle alpi francesi il 19-sett 1846

La pittura di Gianfranco Battistella ripropone il tema dell’affresco originale (ormai perso) nel luogo dove fu posto dagli emigranti jeraghesi in Francia (Lione) al fine di sciogliere il loro voto a Maria per l’avvenuto rimpatrio. Poiché in origine si affacciava sul primo Oratorio maschile voluto da Don Massimo Cervini si è ritenuto di associarlo nel ricordo a Don Angelo costruttore dell’attuale oratorio B.V. del Carmelo – Si apprezzi come il monte imbiancato rappresenta la nostra vista sul Rosa

San Giorgio A Cavallo che uccide il drago (facciata della Chiesa antica di San Giorgio a Jerago)

Affresco di Gianfranco Battistella

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La nicchia sopra il portale della antica chiesa perse nel tempo l’immagine di san Giorgio che era stata affrescata dal Pittore Luigi Tagliaferri di Pagnona verso il 1881. Mancarono purtroppo anche le documentazioni fotografiche.

Con Don Remo fu  valutata la possibilità di ridare una  nota pittorica alla facciata che fosse consona al contesto grazie al rifacimento di un affresco su pannello da inserire successivamente nella nicchia. Nasce così questo intervento affidato  all’opera del pittore Gianfranco Battistella.

Il pannello speciale in alluminio alveolare  e policarbonato  fu offerto dalla Associazione Figli di don Angelo. La preparazione del pannello con malte speciali ed il successivo posizionamento in sede fu di Antonio Lo Fiego. La ricerca storica di Anselmo Carabelli permise di individuare un soggetto simile dello stesso Tagliaferri nella parrocchiale di Cassina in Valsassina. Inaugurato e benedetto da don Remo per la festa di San Giorgio 2015. (relazione su Camminiamo insieme – marzo 2015 – pag .4-5).

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Chiaramente il motivo di San Giorgio che uccide il drago è un evidente richiamo al patrono di Jerago ed alla nostra comunità parrocchiale . Un cristiano è sempre attento (lancia in resta) a vincere le deviazioni eretiche e varie (drago)  che serpeggiano nella cristianità e si presentano sempre nel corso della storia, con modalità e forme diverse. Tutti i parroci sono qui rappresentati da Don Remo e dal predecessore don Angelo, effigiati ai lati mentre guardano il Santo. Essi sono i committenti di questa opera.  Come avveniva nei quadri antichi sono stati effigiati nell’atto di osservare il Santo in azione, vogliono dirci come in sintonia col proprio Vescovo, operino gaglìardamente per difendere la comunità dalla continua e possibile deriva di comportamenti che, tollerati allontanerebbero dalla nostra Santa Chiesa.

Madonna con Bambino  (Via Cavour 34 – Jerago)

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Dipinta da Gianfranco Battistella per Anselmo Carabelli, dedicata a don Angelo Cassani nel secondo anniversario del Dies Natalis, collocata in situ da Luigi Turri e Antonio Lo Fiego.

Benedetta da Don Remo Ciapparella nel dicembre 2008

Madonna del riposo (località monte della Premornera-nel bosco di Luigi Turri)

madonna del riposo

Vi  si accede dalla strada campestre che fiancheggia Fiat Gallotti e ci si inoltra nel bosco tenendo la destra.

In una accogliente radura sorge   la cappellina votiva che è stata fortemente pensata e desiderata  da Luigi Turri.  Costruita con robusti blocchi di sarizzo in collaborazione con Antonio Lo Fiego. Accoglie l’affresco della Madonna del Riposo dipinto magistralmente da Gianfranco Battistella. Offre un d’après da Giovan Battista Salvi  detto il Sassoferrato, il cui originale era nella chiesa di San Rocco E’ attorniata da fiori piante di alto fusto e panchine in uno spazio invitante al raccoglimento e alla preghiera. Benedetta da Don Remo Ciapparella il 29 maggio 2012 (dettagli in “Popolo in Cammino” – Giugno 2012).

Cappellina della Madonna del Riposo

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Radura della Madonna del Riposo

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Cappellina della sacra famiglia  (incrocio Corso Europa-Via Carducci)

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Voluta da Luigi Caiola e da lui edificata con porfidi della Valganna, affrescata da Gianfranco Battistella

Benedetta da Don Remo Ciapparella  nel dicembre 2007

Madonnina del Carmine (in località Sassone nei boschi di corso Europa)

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Voluta dalla famiglia Paganini Adriano e Silvina per onorare la patrona di Jerago

Affrescata del pittore Gianfranco Battistella, realizzata da Luigi Caiola con porfidi della Valganna

Anno 2000

Maternità  di Maria (portico della casa di Gianfranco Battistella)

maternità di Maria

Dipinta da Gianfranco Battistella nel 2014 per la propria abitazione

Benedetta da Don Remo Ciapparella

Madonna in Meditazione

madonna in meditazione

Acrilico  di Gianfranco Battistella per la casa di Oscar Bertoli (Milano)

Immagine di San Francesco da Paola (Via Manzoni su casa Filippelli)

San Francesco di Paola

Vetrata Artistica Raffigurante il grande  Santo  nella classica iconografia.

Desiderata e realizzata da Francesco Filippelli in segno di filiale  ringraziamento  al santo patrono protettore delle genti di Calabria.

Benedetta da don Angelo Cassani 1995

Paolo VI che abbraccia la cristianità  sullo sfondo dei monumenti di Besnate

Paolo VI

Dipinto di Gianfranco Battistella, collocato nell’asilo di Besnate in occasione della dedicazione della della scuola dell’infanzia a S.S. G.B. Montini .

Inaugurato e benedetto da don Remo Ciapparella nell’anno….