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Ricordo di Vergerio Quinto

Ripubblichiamo un ricordo del soldato jeraghese Vergerio Quinto apparso a firma del commilitone Giovanni Balzarini sul giornale parrocchiale Un popolo in cammino nella primavera del 1995. Riportiamo per fedeltà la scansione di quelle pagine pubblicate originariamente in occasione della scomparsa del nostro concittadino

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4 novembre – Giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate – il Monumento ai caduti di Jerago

Nei pressi della cappella Bianchi e della chiesa di San Rocco, è sito a Jerago, il monumento commemorativo dei caduti e dei dispersi delle due guerre mondiali: la Prima Guerra Mondiale dal 1915 al 1918 e la Seconda Guerra Mondiale dal 1940 al 1945.

Tale monumento è stato costruito a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, sotto la spinta della memoria, sempre viva, di coloro che persero la loro vita per servire la Patria durante i due conflitti mondiali.

Riportiamo qui sotto una pagina estratta da Jerago – Rassegna di vita cittadina (numero del 1967), pubblicazione a cura del Centro Giovanile Ul Galett, articolo in cui si parla della prossima realizzazione di questo monumento commemorativo.

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Luoghi caratteristici di Jerago: la cappella del Cimitero

Sita all’interno del cimitero di Jerago, la Cappella conserva sui due lati delle lapidi in memoria dei caduti e dispersi jeraghesi delle due guerre mondiali.

La Cappella è posta al centro del complesso di colombari che sono siti sul lato est del cimitero e che sono rivolti verso l’entrata del cimitero stesso.

La sua posizione centrale è infatti in corrispondenza con il viale principale che dall’entrata del cimitero porta appunto ai colombari.

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Luoghi caratteristici di Orago: il monumento ai caduti di Orago

I caduti oraghesi della Prima Guerra Mondiale
i caduti oraghesi della Seconda Guerra Mondiale

Il monumento e´sito nel centro di Orago, nel mezzo dell’aiuola posta in piazza Vittorio Veneto.

Come riportato, ai piedi del cippo commemorativo, è stato posizionato in loco il 16 Ottobre 1921, 3 anni dopo la fine della prima Guerra Mondiale e poi successivamente modificato, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, inserendo foto e indicazioni dei caduti e dispersi durante quest´ultimo conflitto.

Il monumento ricorda tutti gli oraghesi che sono caduti per difendere la Patria durante questi due conflitti mondiali.

I caduti della 1° Guerra Mondiale: Besnate-Jerago-Orago

Jerago piccolo borgo turistico

Con l’avvento della ferrovia, molte famiglie milanesi o di jeraghesi residenti nella capitale, poterono raggiungere comodamente il borgo per le vacanze estive e per le  varie necessità. Primo fra tutti il prof. Dionigi Cardani, che quando la stazione di Cavaria non era ancora funzionante, scendeva a Besnate facendosi 4 chilometri a piedi. A Milano ricopriva l’incarico prestigioso di direttore didattico del complesso di Via Pisacane- Poerio e risiedeva nel paese natio per le vacanze estive dove apriva una colonia  pei ragazzi milanesi. Lo si vedeva anche in altre occasioni, per seguire con la collaborazione del sig. Santino Cassani la conduzione dei campi e dei beni familiari, o per le attività sociali alle quali era richiesto e cui partecipava volontieri. Di altri ci si ricorda: la famiglia Sartorelli; i Ghiringhelli, costruttori edili, con villa in Via San Rocco; il Cav. Zeni, sindaco all’inizio del secolo e titolare di vari negozi di casalinghi; i nipoti della nonna di Enrico, di cognome Colli, proprietari in città di prestino, droghiere, fabbro, e osteria . I Cova, titolari di una fabbrica e di negozi per la produzione e la vendita dei famosi letti e culle in ottone e ferro, desiderati da tutte le spose di Milano, uscivano a Jerago ospiti dal Filizzeu Felice Riganti in via G. Bianchi e solo in seguito costruirono la loro nobile dimora oggi sede del Municipio. I Castagna della rinomata carrozzeria per auto, edificarono la prima Villa dei Ronchetti, la seconda fu di un ingegnere della Rejna. Dal 1890 fin verso il 1940 molti diedero alloggio ad intere famiglie e pensiamo con un modesto beneficio economico, antesignani dei Garni tedeschi o degli agriturismo. Jerago, a pieno titolo e grazie alla ferrovia, era diventato un piccolo ma ospitale centro turistico e offriva quelle che oggi sono le ricercate vacanze in fattoria e in campagna, perché allora vi era tanta tisi in giro e dalla città si raggiungevano volentieri le colline più vicine per ritemprasi. 

Durante la 2^ guerra trovarono rifugio numerose famiglie che sfuggivano ai bombardamenti aerei, così chi aveva una attività in città lasciava la famiglia al sicuro e poteva raggiungerla la sera col treno. Quegli stessi ragazzi sfollati frequentarono le nostre scuole elementari e si unirono volentieri ai giochi dei nostri, ma arrivavano pure tanti bambini piccoli per respirare aria buona, persino lattanti con le loro balie. Enrico rammenta che d’estate, quando accompagnava la mamma nei lavori dei campi, sovente incontrava “molte signore distinte, che passeggiavano, lungo la loro stessa strada, riparate da un ’ombrellino di seta, il cappello di paglia, coperte fino al gomito, erano bianche come il latte. In apparenza tanto fragili, hanno poi felicemente superata la venerabile età di novant’anni”.

Domenica 30 aprile 1944

Ricordo di un  giorno che per noi jeraghesi è entrato nella memoria  collettiva come:

quel di da San Giorg, quand ghe gremò tucc i risott su a stua. Quel giorno di San Giorgio,  quando sono bruciati tutti i risotti sulla stufa.

Dopo la messa grande in tarda mattinata, verso le 11.45, accadde qualcosa di tanto grave da rovinare a tutti gli jeraghesi le attese tavolate di amici e parenti per il tradizionale  risott giald cul zafrank – risotto giallo con carni bollite, imbandite per la festa del patrono. L’urlo della sirena della Rejna si sovrappose prepotentemente al ciarliero attardarsi dei fedeli sul sagrato annunciando l’inatteso ed imminente sorvolo di bombardieri nemici. Erano ormai così deboli le nostre reazioni belliche da consentire al nemico, per la prima volta in pieno giorno, l’attacco, quando l’ultimo era avvenuto il primo aprile e di notte.  Tutti immediatamente si precipitarono a casa per assicurarsi che i familiari fossero già fuggiti nei boschi, incalzati dal lugubre e noto rombo delle fortezze volanti, il cui carico mortale si sarebbe presto osservato cadere in un sinistro lampeggiar di bombe sulla Macchi di Varese. Se solo uno di quei bestioni lassù avesse scaricato accidentalmente un binis-un confetto una bomba– ne poteva andare anche della ghirba-vita. In quel frangente persino la più scrupolosa cuoca aveva abbandonato precipitosamente  la cucina con  le preziose vivande in cottura  nelle pentole, poichè  ben altre erano le sue  preoccupazioni. Furono attimi concitati ed  importanti della vita di ciascuno che ho appreso dal racconto dei miei e nella conversazione con tanti compaesani.

Gli aerei in oggetto erano i minacciosi e temuti B.17 Flying fortress-fortezze volanti U.S.A., volavano a 4000 metri e nei  loro confronti la contraerea tradizionale nulla poteva opporre. Provenivano dalle basi di Cerignola e Celone nel foggiano, sganciarono su Varese ben 800 bombe da 400 e 1200 kg, con tre attacchi ravvicinati a partire dalle 12.06 del giorno 30 aprile 1944 e con effetti devastanti sulla Aeronautica Macchi.  L’intervento americano si rese necessario perché il precedente attacco notturno operato della RAF -Rojal Air Force, avvenuto la notte sul 2 aprile  1944 su Varese , non produsse effetti. Da alcuni osservatori si ritiene che le date festive per gli attacchi fossero state suggerite dalla volontà di fare il minor numero possibile di vittime tra operai presumibilmente  in riposo festivo.

Di seguito alcune testimonianze raccolte da:

I campanari: Celeste Riganti,  Giovanni Riganti , Giacomo Riganti. (riassunto)

Celeste Riganti con Giovanni e suo figlio Giacomo si trovavano nella cella sotto il campanile in attesa di  suonare il mezzogiorno. Avvertita  la sirena della Rejna,  smisero di operare  e salirono in alto sotto i sacri bronzi, giusto in tempo per osservare una nube di terra e fumo e un forte boato proveniente da Albusciago, dove erano state scaricate bombe forse inceppate o prematuramente lanciate, ma alcuni dissero appositamente sganciate per colpire una villa sede di comando tedesco. Poco dopo, osservarono il bombardamento dell’areonautica Macchi a Masnago.

Maria Aliverti. – all’epoca era una bambina di 10 anni, così rammentava il bombardamento alla Macchi:

……, ricordo che era in aprile… 1944  quando  c’è stato l’allarme. Era una domenica verso mezzogiorno, una bella domenica serena…. C’è stato l’allarme e siamo usciti a vedere, si sono visti tutti gli squadroni… una decina di squadriglie..  Gli aerei erano in gruppi di quattro a forma di rombo …, ma quello che ci ha impressionato erano tutte quelle striscioline che venivano giù…. striscioline di alluminio.. Erano striscioline che lanciavano per confondere i radar, non sapendo che non ce n’erano di radar.  Erano americani, le fortezze volanti…….. …si sentiva il classico rombo..  vvuuuu…vvuuuu… Poi dopo un minuto o due si è cominciato a sentire i colpi…del bombardamento…Ma noi eravamo lì tranquilli…  Poi siamo andati a mangiare…il papà aveva preparato il risotto.

Giovanni Aliverti

Era di aprile, la domenica in Albis,  verso  mezzogiorno, venivamo fuori da chiesa.. era una giornata di sole bellissima. C’erano tutti gli aerei  in  squadriglia a punta da cinque, uno davanti e poi quattro ai lati, proprio tutti a cuneo; ne ho contati cento e passa di  aerei, centoquindici o roba del genere. Si sentiva che erano pesanti dal rumore del motore …rrrrr….rrrrr….si intuiva che  erano carichi di bombe. Poi, dopo, hanno cominciato il bombardamento a tappeto dell’Aeronautica Macchi. Quando sono ritornati si sentiva che il motore andava via leggero, ormai avevano scaricato tutto il peso. Dopo con lo zio Pasquale siamo andati su in bicicletta, fino a Varese per vedere il bombardamento della Macchi. L’aeronautica Macchi l’avevano colpita, però anche tutte le villette che erano lì in giro le avevano  semidistrutte tutte. Un disastro.

Gianfranco Alberio:

Ero piccolo, sette anni, la mamma Angelica ha radunato noi fratelli, Pierino, Santina, Clara ed io. Ricordo ancora Clara, con i vestiti indossati alla rinfusa, e i capelli ancora  bagnati, perchè stava facendo il bagno e si era rivestita in fretta e furia. Siamo usciti da casa, unendoci al folto numero dei vicini della nostra  via PurcinaCavour che    correvano verso il campo del Bagatt, dove ora sorge la piscina, ma  allora era più elevato dell’attuale parcheggio.  Con stupore  e paura guardavamo verso Varese.  dove vedevamo indirizzarsi quegli aerei.  Erano cento e forse più in formazione a cuneo.

Enrico Riganti.

Era la domenica scelta quell’anno per la festa di San Giorgio..Tornavo in bici da Gallarate, perchè allora alla domenica mattina si faceva scuola di disegno tecnico alle Ponti. Appena uscito dalla scuola, verso le 11.40 suonò l’allarme. Attraversai la città senza incontrare anima viva. All’altezza di Cajello avvertivo distintamente il rombo delle fortezze volanti che mi passavano sopra. Un signore, da sotto di un gelso, mi gridò di togliermi dalla strada, così mi nascosi sotto un albero. Nel cielo di quella splendida giornata di primavera osservavo le fortezze volanti brillare impunemente al sole ed i caccia che le circondavano, di colore scuro, quasi non si vedevano. Tutti gli aerei erano ripartiti in tre formazioni, poco distanti l’una dall’altra, con venti aerei ciascuna oltre i caccia a difesa; una visione  terrificante…. Capii che proseguivano e allora ripresi la strada fino alla  Majno di Cavaria…. dove un immenso boato mi paralizzò dallo spavento.

Fortunatamente San Giorgio Protesse il nostro paese, anche se ritornando a casa, dopo lo  scampato pericolo, ci si accorse che i risotti erano irrimediabilmente bruciati: ean gremò.