Ripubblicato in occasione della visita pastorale del 16 maggio 2021, come arcivescovo di Milano

Jerago 30 settembre 2007
Gli anziani narrano, che il beato Cardinale Ildefonso Schuster nella sua visita pastorale del 1938, osservando dall’altare i nuovi affreschi del catino absidale, dove il Cristo in maestà è affiancato dallo stesso Cardinale e dal Parroco don Massimo, avesse rivolto al parroco la domanda se loro fossero mai degni di tanto onore. Non conosciamo la risposta esplicita, ma senza usare troppa fantasia intuiamo quel naturalissimo farsi rosso in volto del nostro amato parroco. Oggi alla domanda del santo Cardinale, senza timore sapremmo rispondere affermativamente. Sicuramente sì, perchè da quel popolo cristiano, raffigurato in effige: dove si possono vedere ancora gli uomini devoti, le donne coi classici capelli raccolti nel michin, i bambini, tutti inginocchiati attorno al nostro Creatore; il Signore ha saputo suscitare un Vescovo, un successore degli Apostoli. E la chiesa universale, della quale la nostra piccola comunità è un granello, ma come ogni granello di sabbia della Bibbia mai dimenticato da Dio, gioisce di questa sua nomina e noi suoi parrocchiani siamo felici ed andiamo orgogliosi di questa sua vita che è stata progettata da Dio, fin da sempre e che ha potuto nutrirsi dei primi insegnamenti proprio qui, accompagnata delicatamente, dalla sua mamma, dal suo papà, da monsignor Francesco, dai nonni e da tanti bravi maestri: le suore dell’asilo, i parroci e i coadiutori, i catechisti e la maestra di scuola, che furono sempre rispettosi degli insegnamenti cristiani della nostra gente. Molti di loro la applaudono dal cielo, dove, come nell’affresco, sono già uniti al Signore nella contemplazione del suo volto. Quale emozione nel sapere che si è affannato correndo dietro un pallone, sullo stesso campetto dell’oratorio dove come tutti i ragazzi si è spellato le ginocchia cadendo, si è estasiato alle feste dell’oratorio e per il pallone aerostatico che prendeva orgogliosamente il cielo. E’ rimasto ammirato da un tramonto più luminoso sullo sfondo di uno stupendo Monterosa, o da un arcobaleno sulla valle dell’Arno dopo quel temporale che ci aveva fatti rifugiare sotto il portico dell’oratorio. Si è intirizzito al freddo ed alla nebbia di un mattino più rigido d’autunno, quando come tutti i chierichetti si andava a servire la prima messa. Ha poi deciso di accogliere totalmente la vocazione di dedicarsi all’edificazione della comunità cristiana e, divenuto sacerdote, ha accettato l’indirizzo dei superiori allo studio ed all’insegnamento; apprestandosi a lunghe veglie di studio e di preghiera, perché a coloro che le venivano affidati fosse spezzato il pane della divina sapienza e non mancasse contemporaneamente l’esempio della disciplina spirituale del maestro. Il Santo padre Benedetto XVI le ha conferito la dignità massima per un cristiano, la dignità di vescovo della Chiesa Apostolica Romana, diretto successore degli apostoli, un uomo che testimonia con la sua vita Cristo e di questo noi siamo sommamente lieti e fieri. Ci colpisce in un suo bellissimo testo questa frase attribuita ad Ambrogio: “Vengono gli anni in cui accettare la sfida di essere maestri, senza la presunzione di smettere di essere discepoli, senza il complesso di inferiorità di fronte a forme confuse e inconcludenti di attualità”. Leggendo sempre in un suo testo le auguriamo “la parola franca, il tempo speso perché chi cerca Dio possa trovare un testimone che sappia dire qualcosa della via da percorrere; e chi cerca una speranza e una ragione per vivere, questi si senta dire che cerca nientemeno che Dio” .
Ad Multos Annos Vescovo Mario. Per tutti gli anni che Cristo ci darà da vivere su questa terra e in questa vita e per tutti gli altri ancora, quando ci ricongiungeremo a Lui nell’altra in paradiso per l’eternità.